Ordinanza N. 280 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
23/07/2001
Data deposito/pubblicazione
23/07/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
05/07/2001
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK;
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
promosso dal tribunale di sorveglianza di Sassari, con ordinanza
emessa il 20 luglio 2000, iscritta al n. 646 del registro ordinanze
2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, 1a
serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha
sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4-bis [primo comma, primo periodo] della legge 26 luglio
1975, n. 354, recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” [come
modificato dall’art. 15 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito,
con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356], nella parte in
cui prevede che il permesso premio non può essere concesso ai
soggetti condannati per i reati ivi indicati che non collaborino con
la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordinamento
penitenziario, anche nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna è
precedente all’entrata in vigore della legge di modifica;
che il tribunale di sorveglianza di Sassari – investito del
reclamo avverso il decreto di diniego di permesso premio, proposto da
persona, detenuta in espiazione pena dal luglio 1991, condannata con
sentenza del maggio 1990 a venti anni di reclusione per sequestro di
persona a scopo di estorsione e altri reati commessi nel 1983 – aveva
già sollevato la questione con ordinanza del 25 febbraio 1999, sul
presupposto che il principio di irretroattività della legge penale
si riferisce “non soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie
astratte di reato e le conseguenze sanzionatorie […] ma anche a
quelle che formano il diritto dell’esecuzione della pena e che
incidono sulla quantità e sulla qualità della pena da espiare in
concreto”;
che con ordinanza n. 180 del 2000 questa Corte aveva disposto
la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione
della rilevanza della questione alla luce della sentenza n. 137 del
1999, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario “nella parte in cui
non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere
concesso nei confronti dei condannati che prima dell’entrata in
vigore dell’art. 15, comma 1, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,
abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio
richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di
collegamenti attuali con la criminalità organizzata”;
che con ordinanza del 20 luglio 2000, introduttiva del
presente giudizio, il rimettente ripropone la stessa questione
affermandone la perdurante rilevanza in quanto al momento
dell’entrata in vigore della nuova disciplina non era ancora decorso
il termine previsto per l’accesso al beneficio richiesto, non avendo
il detenuto espiato un quarto della pena inflittagli;
che, quanto al grado di rieducazione raggiunto dal detenuto,
il rimettente osserva che l’esecuzione della pena è iniziata il
3 luglio 1991 e che, stante la brevità del periodo di osservazione
scientifica della personalità del condannato, “non si può
ragionevolmente affermare che quest’ultimo abbia raggiunto prima
dell’entrata in vigore della disciplina restrittiva un grado di
rieducazione adeguato al permesso premio”;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, in particolare, l’Avvocatura rileva che l’art. 25,
secondo comma, della Costituzione si riferisce alle sole disposizioni
strettamente incriminatrici, mentre le regole relative al trattamento
penitenziario sfuggono alla previsione costituzionale, che “non
potrebbe essere applicata alla materia de qua senza il robusto
contributo di una lettura per così dire “adeguatrice” del principio
di irretroattività della legge penale sfavorevole”;
che, infatti, lo stesso rimettente esclude “la possibilità
di individuare nella commissione del “fatto il momento al quale fare
riferimento per determinare “non solo l’entità della pena che da
questo può conseguire ma anche il tipo di trattamento penitenziario
“, indicando quale momento di riferimento il passaggio in giudicato
della sentenza.
Considerato che il tribunale di sorveglianza di Sassari solleva
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, primo
comma, primo periodo, dell’ordinamento penitenziario, come modificato
dall’art. 15 deld.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui
preclude l’accesso ai permessi premio ai soggetti condannati per i
reati ivi indicati che non collaborino con la giustizia a norma
dell’art. 58-ter del medesimo ordinamento penitenziario, anche
nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna è precedente all’entrata
in vigore della legge di modifica, assumendo il contrasto di tale
disciplina con il principio di irretroattività della legge penale di
cui all’art. 25, secondo comma, Cost;
che il giudice a quo, rinviando alle argomentazioni svolte
nella precedente ordinanza del 25 febbraio 1999, ritiene che il
principio di irretroattività della legge penale vada riferito non
soltanto alle norme che disciplinano le fattispecie astratte di reato
e le conseguenze sanzionatorie, ma anche a quelle che formano il
diritto dell’esecuzione e che incidono sulla qualità e quantità
della pena da espiare in concreto;
che sarebbe pertanto violato l’art. 25, secondo comma, Cost.,
in quanto la disciplina censurata ha operato un innegabile
peggioramento del trattamento sanzionatorio del condannato, che, ove
non fosse intervenuta la nuova e più restrittiva disciplina,
potrebbe ora usufruire del permesso premio;
che con sentenza n. 273 del 2001 questa Corte ha dichiarato
non fondata analoga questione di legittimità costituzionale della
disciplina che preclude ai soggetti che non collaborino con la
giustizia di essere ammessi alla liberazione condizionale
(artt. 4-bis, primo comma, dell’ordinamento penitenziario e 2 del
d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, nella
legge 12 luglio 1991, n. 203), sollevata, sempre in riferimento
all’art. 25, secondo comma, Cost., dallo stesso tribunale con
ordinanza del 15 giugno 2000;
che nella menzionata sentenza la Corte ha rilevato che, “in
relazione all’esecuzione delle pene detentive per i delitti indicati
dal primo comma, primo periodo, dell’art. 4-bis la collaborazione con
la giustizia – già rilevante nell’ordinamento sul terreno del
diritto penale sostanziale (…) – assume, non irragionevolmente, la
diversa valenza di criterio di accertamento della rottura dei
collegamenti con la criminalità organizzata, che a sua volta è
condizione necessaria, sia pure non sufficiente, per valutare il
venir meno della pericolosità sociale ed i risultati del percorso di
rieducazione e di recupero del condannato, a cui la legge subordina,
ricorrendo a varie formulazioni sostanzialmente analoghe,
l’ammissione alle misure alternative alla detenzione e agli altri
benefici previsti dall’ordinamento penitenziario”;
che tale conclusione riposa sulla constatazione che nei
confronti degli autori dei delitti di cui al primo periodo del primo
comma dell’art. 4-bis, che sono espressione di forme di criminalità
organizzata connotate da livelli di pericolosità particolarmente
elevati, “la collaborazione con la giustizia è un comportamento che
deve necessariamente concorrere ai fini della prova che il condannato
ha reciso i legami con l’organizzazione criminale di provenienza”;
che pertanto, per effetto delle modifiche apportate nel 1992
alla disposizione censurata, “l’atteggiamento di chi non si adoperi
“per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori o per aiutare “concretamente l’autorità di polizia o
l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la
ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli
autori dei reati (art. 58-ter dell’ordinamento penitenziario) è
valutato come indice legale della persistenza dei collegamenti con la
criminalità organizzata”;
che la persistenza di tali collegamenti esclude che possano
ritenersi sussistenti le condizioni a cui la legge subordina
l’ammissione alle misure alternative alla detenzione e ai vari
benefici dell’ordinamento penitenziario considerati dall’art. 4-bis;
che analoghe considerazioni possono essere svolte nei
confronti della disciplina che preclude di concedere i permessi
premio ai condannati che non collaborano con la giustizia, atteso che
l’accesso a tale beneficio implica l’assenza di pericolosità
sociale, che ne costituisce un presupposto sostanziale, mentre la
norma censurata individua un criterio legale di valutazione di un
comportamento che deve necessariamente concorrere al fine di
accertare che il condannato abbia reciso i collegamenti con la
criminalità organizzata e, quindi, non risulti socialmente
pericoloso;
che la questione deve pertanto essere dichiarata
manifestamente infondata, in quanto la disciplina impugnata, non
comportando una modificazione dei presupposti sostanziali dei
permessi premio, rimane estranea alla sfera di applicazione del
principio di irretroattività della legge penale di cui all’art. 25,
secondo comma, Cost.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta), sollevata, in
riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal
tribunale di sorveglianza di Sassari, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 luglio 2001.
Il direttore della cancelleria: Di Paola