Sentenza N. 384 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
05/11/1996
Data deposito/pubblicazione
05/11/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/10/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18
ottobre 1995 dal giudice per le indagini preliminari presso il
tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Pannella
Giacinto detto Marco ed altri, iscritta al n. 862 del registro
ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 38, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Visto l’atto di costituzione di Pannella Giacinto detto Marco ed
altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella udienza pubblica del 1 ottobre 1996 il giudice relatore
Renato Granata;
Uditi gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Alfredo Gaito
per Pannella Giacinto detto Marco e l’avvocato dello Stato Paolo di
Tarsia di Belmonte per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
detto Marco, ed altri, tratti in arresto nella flagranza del reato di
cessione a terzi di sostanze stupefacenti, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Roma, in sede di udienza di
convalida degli arresti, ha sollevato con ordinanza del 18 ottobre
1995 (a seguito di eccezione della parte) questione incidentale di
legittimità costituzionale dell’art. 294, comma 6, del codice di
procedura penale (come novellato dalla legge 8 agosto 1995, n.332) –
disposizione questa che prescrive che l’interrogatorio della persona
in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non
può precedere l’interrogatorio del giudice – nella parte in cui non
trova applicazione anche all’interrogatorio dell’arrestato, per
sospetta violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione; in
particolare si censura l’omessa previsione della parola arrestata o
dopo le parole l’interrogatorio della persona.
Nel caso di specie l’arrestato era stato interrogato (ex art. 388
del codice di procedura penale) dal pubblico ministero prima
dell’udienza di convalida dell’arresto, nonché liberato ex art. 121
disp. att. del codice di procedura penale.
Osserva in particolare il giudice per le indagini preliminari
rimettente che l’interrogatorio del pubblico ministero indicato
nell’art. 294, comma 6, del codice di procedura penale ha natura
investigativa così come quello previsto dall’art. 388 dello stesso
codice, che, non avendo il requisito dell’obbligatorietà, non può
essere funzionale soltanto a valutazioni sulla legittimità
dell’operato della polizia giudiziaria e sull’esercizio del potere di
liberazione di cui all’art. 121 disp. att. del codice di procedura
penale; in tal modo però – prosegue il giudice rimettente – il
sistema nel suo complesso appare contraddittorio in quanto
l’arrestato in flagranza di reato, che viene limitato nella libertà
personale con atto di polizia, può essere sottoposto ad
interrogatorio investigativo del pubblico ministero prima ancora che
il giudice per le indagini preliminari abbia proceduto alla
valutazione sulla legittimità dell’avvenuto arresto; mentre
l’indagato sottoposto a misura cautelare personale con provvedimento
giurisdizionale emesso dopo che sono stati valutati non solo gli
elementi portati dal pubblico ministero, ma anche tutti gli elementi
a favore dell’imputato e le eventuali memorie difensive già
depositate, usufruisce del trattamento di garanzia previsto dal comma
6 dell’art. 294 del codice di procedura penale. Sicché, quindi, a
situazioni uguali identificabili genericamente nella limitazione
della libertà personale, si applica una diversa regolamentazione ed
anzi soggetti sottoposti a limitazione della libertà personale per
atto non giurisdizionale, vengono irragionevolmente trattati con
minori garanzie processuali rispetto a soggetti sottoposti a misura
cautelare personale adottata con provvedimento giurisdizionale.
2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato
concludendo per la non fondatezza della questione sollevata, in
ragione della diversa funzione che, rispetto all’indagato in stato di
custodia cautelare, assumono l’interrogatorio da parte del giudice
delle indagini preliminari e l’interrogatorio da parte del pubblico
ministero. Il primo mira precipuamente a controllare la sussistenza
delle condizioni e dei presupposti dello status custodiae; il
secondo, invece, condotto dal medesimo organo che gestisce le
indagini e che ha richiesto l’applicazione della misura, assume una
finalità essenzialmente investigativa, tendendo fondamentalmente ad
acquisire dall’indagato elementi utili al fine della prosecuzione
delle indagini.
3. – La difesa delle parti private costituite ha concluso per la
incostituzionalità della disposizione censurata, aderendo, anche con
memoria presentata nell’imminenza dell’udienza, alle argomentazioni
dell’ordinanza di rimessione.
costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione
– dell’art. 294, comma 6, del codice di procedura penale (come
novellato dall’art. 11 dellalegge 8 agosto 1995 n.332), nella parte
in cui non prescrive che anche l’interrogatorio ad opera del pubblico
ministero della persona arrestata nella flagranza del reato, al pari
del (già previsto) interrogatorio della persona in stato di custodia
cautelare, non possa precedere l’interrogatorio del giudice per le
indagini preliminari; è, in particolare, sospettata la violazione
del principio di eguaglianza e di ragionevolezza sotto il profilo
che, in fattispecie similari (dell’arresto e della custodia
cautelare) in cui l’indagato o l’imputato versa comunque in una
situazione di limitazione della libertà personale, vi sarebbe una
disciplina ingiustificatamente differenziata perché verrebbero
trattati con minori garanzie processuali (quale è la regola
introdotta dalla disposizione censurata) i soggetti tratti in
arresto, che a tale limitazione sono sottoposti con atto non
giurisdizionale, rispetto ai soggetti sottoposti a misura cautelare
personale adottata con provvedimento giurisdizionale.
2. – Il comma 6 dell’art. 294 del codice di procedura penale, nella
sua originaria formulazione, consentiva espressamente che
l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da
parte del pubblico ministero (ex art. 388 del codice di procedura
penale) potesse anche precedere l’interrogatorio al quale il giudice
per le indagini preliminari doveva procedere non oltre cinque giorni
dall’inizio dell’esecuzione della custodia al fine di verificare la
permanenza, o meno, delle condizioni di applicabilità e delle
esigenze cautelari poste a fondamento della misura stessa, sempre che
ciò non determinasse ritardo nel compimento di questo ultimo
interrogatorio.
Tale formulazione è stata rovesciata dalla recente novella (art.
11 della legge 8 agosto 1995, n.332) che, viceversa, ha prescritto
che l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da
parte del pubblico ministero non possa precedere l’interrogatorio del
giudice.
Non è stato però introdotto analogo divieto – e di ciò si duole
il giudice a quo – nella disciplina dell’interrogatorio
dell’arrestato (e – può aggiungersi – del fermato, la cui posizione
peraltro non viene in gioco nel presente giudizio) in sede di udienza
di convalida da parte del giudice per le indagini preliminari (art.
391 del codice di procedura penale); sicché ancora oggi
l’interrogatorio dell’arrestato da parte del pubblico ministero ex
art. 388 del codice di procedura penale può legittimamente precedere
quello del giudice per le indagini preliminari.
Tale simmetrico divieto il giudice rimettente tende ad introdurre
invocando una pronuncia additiva sulla disposizione censurata in
ragione dell’allegata disparità di trattamento, che ridonderebbe –
nella sua prospettazione – anche in violazione della tutela
giurisdizionale, sicché possono essere esaminate congiuntamente le
denunciate violazioni dei due parametri evocati.
3. – In primo luogo, è opportuno precisare che non impropriamente
il giudice a quo sottopone allo scrutinio della Corte la disposizione
dettata dall’art. 294, comma 6, perché è questa che ha introdotto
il divieto in questione con un ambito di operatività che – sempre
nella prospettazione del giudice rimettente – sarebbe
illegittimamente limitato all’ipotesi dell’interrogatorio
dell’indagato dopo l’applicazione della custodia cautelare in
carcere.
Sussiste poi la rilevanza della questione perché nella specie
risulta (dall’ordinanza di rimessione) che l’arrestato è stato
interrogato dal pubblico ministero prima dell’udienza di convalida e
ciò – ove la questione fosse accolta – costituirebbe violazione di
legge, di cui il giudice per le indagini preliminari – come non
implausibilmente egli stesso ritiene – non potrebbe non farsi carico
(quali possano essere le conseguenze ipotizzabili di una tale
violazione) per essere a lui demandato il controllo di legittimità
sulla sequenza procedimentale successiva fino alla decisione sulla
convalida.
4. – Nel merito, la questione è infondata.
4.1. – La comparazione posta dal giudice rimettente implica – per
come è strutturata la disposizione censurata – un duplice raffronto
al fine di verificare se sia stato, o non, rispettato nella
fattispecie il principio di eguaglianza. Devono infatti considerarsi
sia l’atto precluso dalla disposizione censurata, sia l’atto del
quale è sancita la necessaria precedenza, per poi comparare l’uno e
l’altro con quelli tra i quali non è prescritta (illegittimamente,
secondo il giudice rimettente) la medesima scansione temporale.
Orbene, questo duplice raffronto però conduce a ritenere la non
assimilabilità, da una parte, dell’interrogatorio del giudice per le
indagini preliminari in sede di verifica della persistenza delle
condizioni e delle esigenze della misura cautelare con
l’interrogatorio del medesimo giudice per le indagini preliminari in
sede di giudizio sulla richiesta di convalida dell’arresto non
accompagnata da richiesta di misura cautelare e, d’altra parte,
dell’ordinario interrogatorio del pubblico ministero (art. 364 del
codice di procedura penale) con quello – ad opera del medesimo organo
dell’accusa – dell’arrestato (art. 388 del codice di procedura
penale), onde deve ritenersi insussistente tra le due situazioni
comparate, al di là della loro innegabile contiguità, una identità
sostanziale tale da imporre, per il rispetto del principio di
eguaglianza, la medesima disciplina.
4.2. – Da una parte si ha infatti che l’interrogatorio
(dell’arrestato) al quale può procedere ex art. 388 del codice di
procedura penale il pubblico ministero – anche in vista delle sue
determinazioni in ordine alle richieste da promuovere e alle
iniziative investigative da adottare – ha una sua peculiarità
rispetto a quello ordinario (dell’indagato) ex art. 364 del codice di
procedura penale, al quale si riconduce l’interrogatorio ex art. 294
del soggetto sottoposto a misura cautelare sempre da parte del
pubblico ministero, perché persegue una finalità (oltre che
investigativa) anche di garanzia, atteso che il pubblico ministero,
se verifica che l’arresto è stato eseguito per errore di persona o
fuori dai casi previsti dalla legge, dispone l’immediata liberazione
dell’arrestato (art. 389 del codice di procedura penale). Analoga
finalità di garanzia è sottesa al provvedimento, che parimenti può
adottare il pubblico ministero, di liberazione dell’arrestato ex art.
121 disp. att. del codice di procedura penale nell’ipotesi in cui
egli ritenga di non dover chiedere l’applicazione delle misure
coercitive. Questa concorrente finalità di garanzia connota l’atto
di interrogatorio dell’arrestato da parte del pubblico ministero sì
da differenziarlo rispetto alla figura generale dell’interrogatorio
dell’indagato da parte ancora del pubblico ministero, al quale fa
riferimento la disposizione censurata, tant’è che è espressamente
previsto dalla direttiva n. 34 della legge delega, la quale
risulterebbe viceversa inattuata in parte qua ove la questione fosse
accolta nei termini richiesti dal giudice rimettente.
4.3. – D’altra parte deve parimenti rilevarsi che anche
l’interrogatorio dell’indagato in stato di custodia cautelare ad
opera del giudice per le indagini preliminari, ex art. 294 del
codice di procedura penale, non è pienamente equiparabile a quello
dell’arrestato al quale procede il giudice per le indagini
preliminari medesimo in sede di udienza di convalida ex art. 391
dello stesso codice quando il pubblico ministero non chieda
l’adozione di misure cautelari. Infatti, mentre il primo persegue lo
scopo – come enuncia espressamente il terzo comma dell’art. 294 del
codice di procedura penale – di valutare se permangono le condizioni
di applicabilità e le esigenze cautelari previste dai precedenti
artt. 273, 274 e 275, invece l’interrogatorio dell’arrestato, come
tale, persegue la diversa finalità di verificare se sussistano, o
meno, le (del tutto diverse) condizioni che legittimano l’arresto.
Come questa Corte (ord. n.267 del 1996) ha già affermato, infatti,
la convalida dell’arresto, pur implicando una valutazione sulla
riferibilità del reato all’indagato, non comporta la formulazione di
un giudizio di merito, neppure prognostico, sulla sua colpevolezza,
essendo volta a verificare la legittimità o meno dell’arresto;
sicché tale ipotesi non è assimilabile – come nella citata
decisione è stato ritenuto, seppure al diverso fine del rispetto del
principio dell’imparzialità del giudice – a quella della misura
restrittiva della libertà personale adottata dal giudice per le
indagini preliminari.
4.4. – La segnalata diversità è poi accentuata dalla previsione
per il solo interrogatorio di cui all’art. 294 del codice di
procedura penale di un meccanismo acceleratorio (introdotto dal comma
1-ter dello stesso articolo) alla stregua del quale il pubblico
ministero può chiedere che l’interrogatorio della persona sottoposta
a misura cautelare avvenga entro il termine di 48 ore; il che vale in
qualche misura a bilanciare la contestuale introduzione del divieto,
sancito dalla disposizione censurata, a procedere all’interrogatorio
prima del giudice per le indagini preliminari. Nessun analogo
strumento acceleratorio – la cui eventuale introduzione non potrebbe
che essere riservata alla discrezionalità del legislatore – è
invece previsto con riguardo all’interrogatorio dell’arrestato,
sicché, ove analogo divieto fosse esteso anche a tale
interrogatorio, come richiesto dal giudice rimettente, risulterebbe
del tutto frustrata l’esigenza del pubblico ministero di procedere in
tempi brevi al compimento di tale atto, laddove nel caso di arresto
in flagranza le esigenze investigative del pubblico ministero,
normalmente, si presentano connotate proprio da particolare e
pressante urgenza e da necessità di assoluta immediatezza.
Né a sostegno del giudizio di equivalenza potrebbe utilmente
richiamarsi la potestà attribuita agli ufficiali di polizia
giudiziaria dall’art. 350, comma 5, del codice di procedura penale –
pure richiamato dal giudice rimettente – di “assumere dalla persona”
indagata “notizie e indicazioni utili ai fini della immediata
prosecuzione delle indagini” in quanto tale facoltà può essere
esercitata soltanto “sul luogo o nella immediatezza del fatto”, e
comunque non dal pubblico ministero.
4.5. – Rimane – come hanno rilevato il giudice rimettente e la
difesa privata – l’esonero (previsto dal comma 1 dell’art. 294 del
codice di procedura penale) del giudice per le indagini preliminari
dall’obbligo di procedere all’interrogatorio della persona sottoposta
a misura cautelare ove vi abbia già provveduto nel corso
dell’udienza di convalida dell’arresto; ma tale prescrizione – alla
quale è essenzialmente sottesa un’esigenza di speditezza e di
economia processuale – non è di per sé idonea a sminuire i plurimi
elementi di differenziazione sopra esposti.
5. – Né la assimilabilità, carente, come si è visto, sotto
molteplici profili, tra le due menzionate coppie di interrogatorio,
può essere predicata, per altro verso, sotto l’aspetto di una
pretesa identità sostanziale in ragione del dato fattuale della
privazione dello status libertatis, atteso che questo elemento della
fattispecie si presenta, al di là del suggestivo accostamento
operato dal giudice rimettente, anch’esso in realtà diverso nell’una
e nell’altra evenienza.
5.1. – Infatti tale privazione nella ipotesi dell’arresto è in
ogni caso limitata al breve periodo di tempo (96 ore) sancito
dall’art. 13, terzo comma, della Costituzione ed – in conformità ad
esso – dalla disciplina dei termini per la convalida dell’arresto;
invece la (soltanto analoga) privazione per la persona in stato di
custodia cautelare può avere un’estensione temporale ben più ampia,
ancorché nei limiti di durata massima di tale misura. Quindi diversa
è la situazione dell’indagato in stato di arresto, la cui
prospettiva di riacquistare la libertà è – a differenza della
persona in custodia cautelare – certa nell’an e nel quando.
5.2. – Ancora sotto il profilo sostanziale, può poi ulteriormente
considerarsi che nel caso di arresto la eventuale ammissione da parte
dell’indagato dei fatti contestatigli è priva di diretta incidenza
sullo status libertatis, il quale – durante il limitato periodo di
vigenza della misura – dipende invece dalla legittimità dell’arresto
stesso ed è destinato ad essere comunque recuperato all’esito del
giudizio di convalida ove non vengano disposte misure coercitive
(art. 391, comma 6, del codice di procedura penale). D’altra parte la
rilevanza dell’ammissione di responsabilità, come evenienza idonea
ad evitare che il pubblico ministero chieda l’adozione di una
siffatta misura, non è diversa da quella ipotizzabile nei riguardi
dell’indagato libero che – interrogato dal pubblico ministero – può
temere l’iniziativa cautelare di quest’ultimo. Vero è che nel caso
dell’arresto si ha (ex art. 121 disp. att. del codice di procedura
penale) la liberazione dell’arrestato ove il pubblico ministero si
astenga dal richiedere l’applicazione della custodia cautelare; ma
ciò rappresenta solo una possibile conseguenza indiretta
dell’ammissione di responsabilità. Nel caso, invece, di custodia
cautelare in atto, l’ammissione dei fatti contestati è direttamente
idonea ad incidere sul presupposto di fatto che legittima la
privazione dello status libertatis, perché potrebbe far venir meno
l’esigenza probatoria che in ipotesi sia stata posta a fondamento del
provvedimento restrittivo della libertà.
6. – Mette conto infine rilevare – a complemento delle
argomentazioni finora svolte – che il legislatore del 1995, mentre si
è mosso nella direzione di limitare i poteri del pubblico ministero
con riferimento alla situazione della persona sottoposta a misura
cautelare personale introducendo il divieto in esame, ha viceversa,
con riferimento alla posizione dell’arrestato, ampliato altri poteri
accentuando la funzione di garanzia svolta dal pubblico ministero
prima dell’udienza di convalida dell’arresto; ha infatti assegnato al
pubblico ministero anche il potere di disporre che l’arrestato sia
custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell’art. 284 del
codice di procedura penale (art. 386, comma 5, del codice di
procedura penale, come emendato dall’art. 20 della legge 8 agosto
1995, n.332, cit.); indirettamente così palesando che l’omessa
estensione del divieto in esame anche all’interrogatorio
dell’arrestato non è da imputarsi al fatto che la novella non abbia
preso in considerazione la posizione di quest’ultimo e le esigenze di
garanzia connesse alla privazione del suo stato di libertà, bensì
è dipesa da una consapevole scelta dal legislatore compiuta
nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 294, comma 6, del codice di procedura penale, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Roma con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 ottobre 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Granata
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 novembre 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola