Sentenza N. 333 del 2000
Corte Costituzionale
Data generale
24/07/2000
Data deposito/pubblicazione
24/07/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/07/2000
Presidente: Cesare MIRABELLI;
Giudici: Francesco GUIZZI, Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI,
Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK;
11 maggio 1999, n. 141, recante “Trasformazione dell’Ente autonomo
acquedotto pugliese in società per azioni a norma dell’art. 11,
comma 1, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59”, promosso con
ricorso della regione Puglia, notificato il 21 giugno 1999 presso
l’Avvocatura generale dello Stato ed il 28 dello stesso mese presso
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositato il 24 e 30
giugno, ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 1999.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore
Piero Alberto Capotosti;
Uditi gli avvocati Vincenzo Caputi Jambrenghi per la regione
Puglia e l’avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il Presidente
del Consiglio dei Ministri.
generale dello Stato e il 28 dello stesso mese presso il Presidente
del Consiglio dei Ministri, la regione Puglia ha promosso questione
di costituzionalità, in riferimento agli articoli 5, 97 e 117 della
Costituzione, del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141
(Trasformazione dell’Ente autonomo acquedotto pugliese in società
per azioni, a norma dell’art. 11, comma 1, lettera b) della legge 15
marzo 1997, n. 59). La ricorrente si duole del fatto che l’atto
impugnato, attribuendo tutte le azioni della costituenda società al
Ministero del tesoro, viola le proprie competenze costituzionali,
poiché, per effetto di detta attribuzione, “il Presidente del
Consiglio e i suoi Ministri eserciteranno tutte le funzioni di
gestione e amministrazione della società per l’acquedotto pugliese
nella totale assenza dell’Ente cui la Costituzione riserva la materia
degli acquedotti”.
2. – La regione Puglia espone che il decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 ha trasferito alle regioni tutte le funzioni relative
alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche
di qualsiasi natura, e che la legge 5 gennaio 1994, n. 36 ha affidato
alle medesime regioni “il compito di individuare le forme e modi di
cooperazione affinché comuni e province provvedano alla gestione del
servizio idrico integrato tramite convenzione”. Da tali competenze
deriva, secondo la ricorrente, che nella trasformazione in società
per azioni di tutti gli enti acquedottistici dislocati sul territorio
nazionale, trasformazione prevista dall’art. 1, comma 83, della legge
28 dicembre 1995, n. 549, “non può essere in alcun modo trascurato
il ruolo esercitato dalle Regioni, nella veste di titolari del potere
legislativo in materia di acquedotti, gestori ex lege di tutte le
opere idrauliche e promotori del servizio idrico integrato”. Inoltre,
prosegue la regione Puglia, poiché l’art. 10 della legge n. 36 del
1994 prevede per gli enti gestori di acquedotti disciolti il transito
obbligatorio nel soggetto gestore del servizio idrico, l’Ente per
l’acquedotto pugliese “resterà ancora soggetto alla disciplina della
legge n. 36 del 1994 a condizione che sia dichiarato incostituzionale
il decreto legislativo impugnato”.
Le competenze regionali in materia non sarebbero neppure escluse,
secondo la ricorrente, dalla circostanza che l’ente acquedottistico
in questione sia annoverato fra gli enti pubblici non economici c.d.
parastatali ai sensi della legge 20 marzo 1975, n. 70, poiché
proprio l’art. 35 della legge lascerebbe fermi “i poteri di
costituzione, soppressione e fusione degli enti pubblici operanti
nelle materie attribuite alla competenza delle regioni secondo
l’art. 117 della Costituzione”.
La ricorrente deduce il carattere illegittimo del decreto
legislativo impugnato anche laddove questo prevede che le regioni
Puglia e Basilicata siano sentite in merito all’approvazione del
piano per la ristrutturazione ed il risanamento della società
“Acquedotto pugliese”, che l’organo di amministrazione di detta
società deve presentare al Ministro del tesoro nel corso del primo
esercizio del suo mandato. A suo avviso si tratta di un procedimento
di interpello “del tutto elusivo del dettato costituzionale”, in
quanto consentirebbe “di conoscere soltanto le linee del piano di
ristrutturazione”, restando “estraneo e persino ignoto qualsiasi
altro aspetto concernente la gestione concreta di un acquedotto che
ha sede e svolge la sua attività all’interno della regione Puglia”.
3. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque
infondata.
La difesa erariale deduce che l’intendimento perseguito dalla
legge n. 549 del 1995 di trasformare radicalmente la natura degli
enti acquedottistici, secondo obbiettivi di risparmio ed efficienza,
non integra alcuna violazione delle competenze regionali, in quanto
l’art. 117 attribuisce alle regioni potestà legislativa nell’ambito
dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. Sarebbe
infondata, a suo avviso, la doglianza della regione Puglia “di essere
stata esautorata dal processo di trasformazione dell’Ente”, in quanto
questo “già dal 1997 era stato commissariato e ripetutamente
finanziato dall’amministrazione statale, sicché non può risultare
anomalo che il Tesoro sia l’unico azionista della società”.
4. – In prossimità della pubblica udienza, la regione Puglia ha
depositato una memoria difensiva nella quale ha dedotto in
particolare l’inidoneità del parere richiesto alla regione Puglia in
merito alla ristrutturazione della società Acquedotto pugliese a
rispettare le competenze regionali in materia. La stessa regione
sottolinea altresì che neanche vale ad incidere su dette competenze
la circostanza che l’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese abbia
usufruito di finanziamenti da parte dello Stato, e ribadisce il
carattere a suo dire illogico della “sottrazione alla competenza
regionale di ogni ingerenza nell’erogazione di un servizio quale
quello della distribuzione dell’acqua potabile che tutte le altre
norme di legge vigenti affidano all’ente regione nel quadro di
competenze più vaste e non modificate dal decreto legislativo
impugnato”.
5. – In una memoria presentata in prossimità dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei Ministri ha eccepito la natura
sovraregionale dell’ente acquedottistico in questione, ciò che
escluderebbe la competenza della regione Puglia, in quanto l’art. 117
attribuisce potestà legislativa alle regioni in materia di
“viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale”.
Inoltre ha sottolineato la distinzione concettuale e normativa
esistente fra il profilo relativo alle modalità di gestione
dell’ente ed il diverso profilo della gestione del servizio idrico,
da effettuarsi ai sensi della legge n. 36 del 1994. Per quanto
attiene ai modi di gestione dell’ente, la regione, ad avviso della
difesa erariale, non potrebbe vantare alcuna posizione giuridicamente
protetta, poiché è soltanto nella successiva fase della gestione
del servizio, che “assumeranno rilievo gli interessi regionali e
locali”.
La difesa dello Stato, infine, ha ribadito che, data la natura
statale dell’ente interessato, “nessun vincolo costituzionale
imponeva al legislatore di mantenere operante il collegamento con le
comunità locali”.
regione Puglia ha ad oggetto l’intero decreto legislativo 11 maggio
1999, n. 141, con il quale è stata disciplinata, in attuazione
dell’art. 11, comma 1, lettera b) della legge 15 marzo 1997, n. 59,
la trasformazione dell’Ente autonomo per l’acquedotto pugliese in
società per azioni. Secondo la ricorrente il suddetto decreto,
omettendo di prevedere forme di partecipazione della stessa regione
Puglia sia alla proprietà sia alla amministrazione e gestione della
costituenda società per azioni “Acquedotto pugliese”, violerebbe le
attribuzioni costituzionali in materia di acquedotti stabilite
dall’art. 117 della Costituzione a garanzia dell’autonomia regionale,
nonché violerebbe anche gli artt. 5 e 97 della Costituzione. Tali
violazioni peraltro non sarebbero comunque evitate dal procedimento
previsto dall’art. 1, comma 5, dello stesso decreto impugnato,
secondo cui le regioni Puglia e Basilicata debbono essere sentite in
merito al piano di ristrutturazione della società “Acquedotto
pugliese”.
2. – Il ricorso è inammissibile.
La regione Puglia ha promosso il presente giudizio di
legittimità costituzionale mediante uno stesso ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei Ministri, una prima volta, il 21 giugno
1999 presso la sede dell’Avvocatura generale dello Stato, ed una
seconda volta il 28 dello stesso mese presso la sede della Presidenza
del Consiglio dei Ministri.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “ai giudizi
costituzionali non si applicano le norme sulla rappresentanza dello
Stato in giudizio previste dall’art. 1 della legge 25 marzo 1958,
n. 260 e dalla legge 3 aprile 1979, n. 103”, con la conseguenza che
per la rituale proposizione del giudizio l’atto deve essere
notificato presso la sede del Presidente del Consiglio dei Ministri
(sentenze n. 135 del 1997, n. 295 del 1993, n. 355 del 1992). Si
tratta dunque di una modalità particolare di un regime processuale
che tiene conto anche della speciale posizione di “rappresentanza
dell’unità dell’ordinamento statale” che il Presidente del Consiglio
assume quando si costituisce nei giudizi di costituzionalità in via
principale (sentenze n. 194 del 1997, n. 172 del 1994).
Nella fattispecie in esame, quindi, non può ritenersi
validamente instaurato il giudizio in forza della notificazione del
ricorso avvenuta, nei termini, presso l’Avvocatura generale dello
Stato, mentre il ricorso risulta notificato presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri tardivamente, quando il termine previsto per
l’impugnazione era già decorso, essendo stato pubblicato il decreto
legislativo impugnato nella Gazzetta Ufficiale del 21 maggio 1999.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe proposto
dalla regione Puglia avverso il decreto legislativo 11 maggio 1999,
n. 141 (Trasformazione dell’ente autonomo acquedotto pugliese in
società per azioni, a norma dell’art. 11, comma 1, lettera b) della
legge 15 marzo 1997, n. 59), in riferimento agli artt. 5, 97 e 117
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 12 luglio 2000.
Il Presidente: Mirabelli
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola