Sentenza N. 237 del 1975
Corte Costituzionale
Data generale
30/10/1975
Data deposito/pubblicazione
30/10/1975
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/10/1975
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI – Avv. LEONETTO
AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONIO DE STEFANO, Giudici,
e 720 del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 9 dicembre 1972 dal pretore di Avigliano nel
procedimento penale a carico di Rosiello Rocco ed altri, iscritta al n.
165 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973;
2) ordinanza emessa il 9 dicembre 1971 dal pretore di Pesaro nel
procedimento penale a carico di Candiracci Leo ed altri, iscritta al n.
177 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 176 dell’11 luglio 1973;
3) ordinanza emessa il 17 aprile 1973 dal pretore di Viadana nel
procedimento penale a carico di Favagrossa Vittoria ed altri, iscritta
al n. 256 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 205 dell’8 agosto 1973.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 1975 il Giudice relatore
Leonetto Amadei;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Nel corso del procedimento penale a carico di Rosiello Rocco
ed altri, imputati del reato di cui all’art. 720 del codice penale, il
pretore di Avigliano ha sollevato d’ufficio la questione di
legittimità costituzionale della precitata norma penale, in
riferimento agli artt. 3,14,17, 18 e 41 della Costituzione.
Il giudice a quo, pur prendendo atto che la Corte, con sentenza n.
80 del 1972, si è pronunciata già sulla questione in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dichiarandola non fondata, ha ritenuto
doverla riproporre, anche in relazione a detto articolo, sulla base di
nuove considerazioni.
Si assume, nell’ordinanza, che il principio di eguaglianza
risulterebbe violato sotto il profilo che la diversa disciplina
normativa stabilita dal legislatore in tema di gioco a seconda la
natura dei soggetti che ad esso partecipano o dei soggetti ai quali
viene riconosciuta la facoltà di esercitarlo o di organizzarlo, non
troverebbe valida giustificazione. In particolare, non avrebbe logico
fondamento la distinzione tra gioco e gioco operata dal primo comma
dell’art. 721 cod. pen., come non avrebbero logico fondamento le varie
disposizioni di legge che, per una ragione o per l’altra, consentono ad
enti e a privati la gestione di giochi, qualunque ne siano le peculiari
caratteristiche, ad altri vietati.
In ogni tipo di gioco, ad avviso del proponente, sarebbero
presenti, sia dal punto di vista oggettivo, sia dal punto di vista
soggettivo, quegli elementi di base che, per l’art. 721 cod. pen.,
caratterizzerebbero il gioco d’azzardo. In effetti, tutti i tipi di
gioco, compresi quelli “a pronostico”, oltre a poggiare sul fine di
lucro, dipenderebbero esclusivamente da fattori al di fuori della
influenza del giocatore. In sostanza, obbiettivamente, nessuna
differenza sostanziale sarebbe rilevabile tra giochi proibiti e giochi
consentiti, essendo comuni l’aleatorietà e il fine di lucro.
Non varrebbero, infine, a legittimare una diversa disciplina penale
per un gioco rispetto ad un altro le finalità di ordine pratico od
utilitario perseguite in alcuni casi dal legislatore ordinario, in
quanto tali finalità non potrebbero, nell’ambito del principio di
eguaglianza, costituire ragionevole fonte di disparità di trattamento
trattandosi di situazioni giuridiche sostanzialmente identiche.
La questione avrebbe anche un apprezzabile fondamento in
riferimento agli altri articoli richiamati nell’ordinanza.
Si osserva, a riguardo, che mentre da una parte viene riconosciuta
piena liceità alla partecipazione a giochi aleatori per la loro
connessione con interessi economici pubblici, dall’altra viene
perseguita la partecipazione agli stessi giochi al di fuori di quelle
strutture e organizzazioni beneficiate, anche se essi si svolgono
privatamente, come nei circoli riservati esclusivamente ai soci. Ciò
inciderebbe “oltre ogni ragionevolezza” sul diritto di ognuno di
svolgere privatamente le attività che meglio soddisfino, da un punto
di vista soggettivo, le proprie esigenze, nonché sul diritto di
disporre liberamente del proprio patrimonio secondo una libera scelta
d’impiego.
Non vi è stata costituzione di parte, né intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri.
2. – Altra questione di legittimità costituzionale dell’articolo
720 del codice penale è stata sollevata dal pretore di Pesaro, su
istanza della difesa, limitatamente alla parte in cui prevede la
punizione della partecipazione al gioco d’azzardo in circoli privati di
qualsiasi specie, in riferimento all’art. 41 della Costituzione.
Per il proponente la posizione di colui che partecipa al gioco in
circoli privati si differenzia sostanzialmente da quella di coloro che
invece tengono o agevolano il gioco stesso. Solo in questo secondo caso
si avrebbe una aggressione a quei beni che lo Stato ha ritenuto, nel
suo libero apprezzamento, tutelare penalmente nell’interesse della
collettività sotto il profilo della utilità e della sicurezza
sociale.
Nel primo caso, invece, chi partecipa al gioco d’azzardo
danneggerebbe solo se stesso e il proprio patrimonio, in quanto non
sussisterebbe alcun interesse dello Stato ad impedire al cittadino di
“impiegare liberamente i propri risparmi in quelle attività economiche
che più gli aggradano, non escluso il gioco d’azzardo, caratterizzato,
come tutte le attività economiche, dal fine di lucro”.
Vi è stata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato.
L’Avvocatura dello Stato contesta la validità di un inquadramento
del gioco d’azzardo nel concetto di iniziativa economica privata.
La partecipazione al gioco d’azzardo costituirebbe, invero, proprio
l’antitesi del concetto espresso dall’art. 41 della Costituzione. Tale
partecipazione, oltre a danneggiare la sicurezza e la dignità di chi
vi prende parte, costituirebbe anche un attentato alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana e alla utilità sociale, e ciò in piena
antitesi col fondamento dell’iniziativa economica, che presuppone pur
sempre una attività operativa non solo diretta a creare e costituire
una azienda, ma anche inerente alla vita e allo svolgimento di essa.
3. – Una terza questione di legittimità costituzionale degli artt.
718 e 720 del codice penale, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, è stata proposta altresì dal pretore di Viadana con
ordinanza del 17 aprile 1973.
Il complesso normativo che regola e disciplina il gioco d’azzardo
costituirebbe, per il proponente, violazione del principio
d’eguaglianza sotto il profilo che, mentre le disposizioni contenute
nel codice penale puniscono, in via generale, il gioco d’azzardo, lo
Stato, d’altra parte, riserverebbe a se stesso la monopolizzazione, in
alcuni casi, del gioco stesso e, in altri casi, autorizzerebbe
addirittura enti o privati ad esercitarlo (Comuni di Sanremo, Campione
d’Italia, Venezia; C.O.N.I., U.N.I.R.E. ecc.) privilegiando nel
contempo coloro che vi partecipano.
Il principio di eguaglianza esigerebbe che, in linea di principio,
il gioco fosse consentito a tutti di organizzarlo e praticarlo,
sottoponendolo, peraltro, ad una disciplina regolamentare uniforme, non
discriminatoria o privilegiata, come attualmente avviene.
Non vi è stata costituzione di parte e non è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Le questioni di legittimità costituzionale proposte con le
ordinanze dei pretori di Avigliano, di Pesaro e di Viadana si
riferiscono alle stesse disposizioni di legge e conseguentemente le
relative cause vengono decise con unica sentenza.
2. – Per il pretore di Avigliano la disciplina a cui il legislatore
ha sottoposto il giuoco d’azzardo, oltre a costituire una non
ragionevole fonte di disparità di trattamento (art. 3 della Cost.) per
le distinzioni operate tra giuoco e giuoco, tra i soggetti che ad esso
partecipano o ai quali viene riconosciuta o negata la facoltà di
esercitarlo, rappresenterebbe, anche, una limitazione al diritto di
ognuno di svolgere in privato, associandosi o meno (artt. 14, 17 e 18
Cost.), quelle attività che meglio ne soddisfino le esigenze personali
e una compressione inammissibile del diritto di disporre del proprio
patrimonio secondo una libera scelta di impiego (art. 41 Cost.).
3. – Anche per il pretore di Pesaro la repressione penale della
partecipazione al giuoco d’azzardo, quando questo venga esercitato in
luoghi privati di qualsiasi specie, violerebbe l’articolo 41 Cost., in
quanto il diritto da tale articolo riconosciuto ad ogni cittadino di
liberamente impiegare i propri beni in quelle attività economiche che
“più gli aggradano”, sarebbe di natura tale da escludere ogni
possibile intervento limitativo da parte dello Stato. In sostanza, la
norma costituzionale non consentirebbe di accomunare la posizione di
colui che partecipa al giuoco d’azzardo con quella di colui o di coloro
che agevolano o tengono il giuoco.
4. – Per il pretore di Viadana l’attuale disciplina del giuoco
d’azzardo violerebbe il principio di eguaglianza nella considerazione
che mentre il codice penale punisce in via generale il giuoco stesso,
il legislatore, poi, in deroga alle norme di carattere generale,
avrebbe, con singole disposizioni legislative, riservato a sé e
concesso ad altri la facoltà di organizzarlo e di esercitarlo nelle
forme e nei modi più svariati, privilegiando coloro che vi
partecipano.
5. – Nel suo unico intervento, già precisato in epigrafe,
l’Avvocatura dello Stato esclude, nel caso, ogni validità al
riferimento all’art. 41 della Costituzione, in quanto il concetto
costituzionale di libera iniziativa economica si legherebbe alla sua
utilità sociale e al non danno per la sicurezza, la libertà e la
dignità umana, elementi tutti che contrasterebbero con il giuoco
d’azzardo.
6. – Questa Corte ha già esaminato direttamente o indirettamente
alcuni aspetti delle questioni prospettate con le tre ordinanze. In
particolare ha ritenuto, con sentenza n. 80 del 1972, alla quale sono
seguite ordinanze di conferma, non fondata la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 718, primo e secondo comma, e 720, primo
comma, del codice penale, proposta, in riferimento all’art. 3, primo e
secondo comma, della Costituzione, sotto il profilo della violazione
del principio di eguaglianza per il diverso trattamento disposto dal
legislatore nei confronti dei cittadini che tengono o agevolano un
giuoco d’azzardo o che vi prendano parte in qualsiasi località del
territorio nazionale rispetto a quei soggetti che, invece, sono
autorizzati, da un complesso di norme particolari derogatorie della
disciplina generale fissata dal codice penale, ad esercitare o a
partecipare a tali giuochi. Con tale sentenza la Corte ha affermato il
principio che nel rapporto tra norme generali e norme derogatorie,
questioni di legittimità costituzionale per violazione del principio
di eguaglianza, sotto l’uno o l’altro degli aspetti di cui all’art. 3
della Costituzione, possono eventualmente sorgere soltanto in ordine a
quest’ultime e non certamente in ordine alle prime, che dettano una
disciplina comune a tutti i cittadini. Poiché la questione proposta
dal pretore di Viadana sostanzialmente non si discosta da quella decisa
con la sentenza n. 80 del 1972 e non vengono addotti argomenti nuovi,
ne deve essere dichiarata la manifesta infondatezza.
7. – Nuove argomentazioni, invece, sempre con riferimento all’art.
3 Cost. vengono, come già precisato, sviluppate nell’ordinanza del
pretore di Avigliano, per il quale il principio di eguaglianza
troverebbe violazione non tanto nel raffronto tra le norme generali che
regolano e disciplinano il giuoco d’azzardo e le norme particolari
derogatorie, quanto nell’ambito della stessa disciplina generale.
Vale, a riguardo, ricordare che questa Corte ha costantemente
ritenuto che, nel rispetto del principio di eguaglianza, il legislatore
possa adottare norme differenziate per disciplinare situazioni ritenute
obiettivamente diverse e che, per tale principio, la valutazione dei
criteri in base ai quali il legislatore ha ritenuto ipotizzare una
diversità di situazioni, sia incensurabile nei limiti in cui la
valutazione stessa risulti ragionevole e non arbitraria.
Non è accettabile, pertanto, l’affermazione contenuta
nell’ordinanza, ossia che non sarebbe ragionevole la distinzione
operata dal legislatore con l’art. 721 del codice penale, con il quale
l’impugnato art. 718 deve porsi in correlazione, nel determinare le
caratteristiche che differenzierebbero il giuoco d’azzardo da ogni
altro tipo di giuoco, in quanto ogni tipo di giuoco presenterebbe
identici aspetti di aleatorietà e motivi di lucro. A parte il fatto
che i due elementi devono coesistere in concreto ai fini della
repressione penale del giuoco d’azzardo, devesi rilevare che se è pur
vero che in ogni tipo di giuoco può innestarsi un fine di lucro, non
v’è dubbio che l’aleatorietà varia col variare del giuoco stesso e
può assumere una incidenza diversa, più o meno accentuata se non
addirittura esclusiva o quasi.
Da questi ultimi aspetti dell’incidenza il legislatore
legittimamente e ragionevolmente ha tratto conseguenze giuridiche
diverse nell’esercizio del suo potere di libera scelta.
In ordine alla parte dell’ordinanza riferita agli artt. 14, 17 e 18
della Costituzione, la Corte osserva:
a) la tutela garantita dall’art. 14 non copre la sfera di quei
divieti che la legge penale può imporre al cittadino circa l’uso del
luogo adibito a suo domicilio quando l’uso sia penalmente illecito;
b) la libertà sancita dall’art. 17 e il diritto consacrato
nell’art. 18 ben possono trovare dei limiti nella esigenza di
prevenzione e di sicurezza sociale e di giustizia.
8. – Non pertinente, infine, il riferimento all’art. 41 della
Costituzione contenuto tanto nell’ordinanza del pretore di Avigliano
quanto in quella del pretore di Pesaro.
Il divieto posto dalle norme penali impugnate non oltrepassa il
limite che l’art. 41 consente di porre all’iniziativa economica
privata. In effetti le norme in questione concorrono a far sì che
l’iniziativa economica privata non si svolga in contrasto con quella
utilità sociale che sta a fondamento del precetto costituzionale.
Questa Corte ha già, in più pronuncie, riconosciuto che non
contrastano con l’autonomia e l’iniziativa economica privata quei
limiti che a queste la legge ponga in funzione della utilità sociale e
per impedire che possa derivarne danno alla sicurezza, alla libertà e
alla dignità umana, elementi con i quali mali si concilia, per gli
aspetti che gli sono propri, il giuoco d’azzardo.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
a) la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 718 e 720 del codice penale, sollevata, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, con l’ordinanza del pretore
di Viadana indicata in epigrafe e già dichiarata non fondata con la
sentenza n. 80 del 27 aprile 1972;
b) non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 720 del codice penale, sollevate dal pretore di Pesaro e dal
pretore di Avigliano, con le ordinanze in epigrafe, in riferimento agli
artt. 3, 14, 17, 18 e 41 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI –
LEONETTO AMADEI – GIULIO GIONFRIDA –
EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI –
MICHELE ROSSANO – ANTONIO DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere