Sentenza N. 108 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
secondo comma, 94, primo e secondo comma, e 468 del codice di procedura
penale, nonché dell’art. 559, terzo comma, del codice penale, promossi
con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 30 gennaio 1969 dal pretore di San Giovanni
Valdarno nel procedimento penale a carico di Traquandi Alfredo,
iscritta al n. 56 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
2) ordinanza emessa il 7 febbraio 1969 dal tribunale di Arezzo nel
procedimento penale a carico di Fantozzi Ubaldo, iscritta al n. 66 del
registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
3) ordinanza emessa il 9 luglio 1969 dal pretore di Postiglione nel
procedimento penale a carico di Spiniello Esterina e Valitutto Gerardo,
iscritta al n. 373 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 280 del 5 novembre 1969.
Visti gli atti d’intervento del presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore
Ercole Rocchetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Con ordinanza emessa il 30 gennaio 1969, nel corso del
procedimento penale a carico di Traquandi Alfredo, il pretore di San
Giovanni Valdarno ha proposto, ritenendole rilevanti e non
manifestamente infondate, le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 93, comma secondo, e 94, commi primo e secondo, del codice
di procedura penale in relazione agli artt. 24, comma secondo, e 3,
comma primo, della Costituzione.
Le norme impugnate dispongono che la dichiarazione costitutiva di
parte civile nel processo penale può essere proposta nel procedimento
di primo grado fino a che non siano state compiute per la prima volta
le formalità di apertura del dibattimento (art. 93, comma secondo,
c.p.p.); in tal caso, essa è ricevuta dal cancelliere che assiste
all’udienza con atto separato da unirsi al processo verbale, e deve
contenere, fra l’altro, a pena di inammissibilità, l’esposizione
sommaria dei motivi che la giustificano (art. 94 commi primo e
secondo).
Secondo il giudice a quo, le norme impugnate, in quanto consentono
alla persona offesa dal reato di introdurre la azione civile
direttamente in udienza e di rinviare al momento della discussione la
determinazione del quantum del risarcimento, limiterebbero gravemente i
diritti di difesa dell’imputato, il quale, non essendo informato con un
congruo anticipo delle domande proposte nei suoi confronti, non avrebbe
la possibilità di esercitare un reale contraddittorio e una efficace
difesa.
L’ordinanza prospetta poi un ulteriore motivo di illegittimità
delle norme citate, che contrasterebbero anche con il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3, comma primo, della Costituzione, creando
una disparità di trattamento, nonostante l’identità della domanda
proposta nell’una e nell’altra sede processuale, tra l’imputato, nei
cui confronti l’azione civile viene proposta in dibattimento, e il
convenuto nel processo civile, la cui difesa è garantita dall’istituto
del termine per comparire.
2. – Per motivi sostanzialmente identici a quelli prospettati dal
pretore di San Giovanni Valdarno, le stesse questioni di legittimità
costituzionale sono state promosse, con ordinanza emessa il 7 febbraio
1969, dal tribunale di Arezzo nel procedimento penale a carico di
Fantozzi Ubaldo. L’ordinanza deduce, altresì, con riferimento agli
artt. 24, comma secondo, e 3 della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art 468 del codice di procedura
penale, in quanto la facoltà della parte civile di determinare
l’ammontare dei danni in sede di conclusione priverebbe l’imputato
della possibilità di difendersi adeguatamente in ordine alla richiesta
del quantum, in contrasto con i principi del contraddittorio e della
precisazione della domanda, vigenti nel giudizio civile.
3. – Anche il pretore di Postiglione, con ordinanza emessa il 9
luglio 1969 nel corso dei procedimenti penali riuniti a carico di
Spiniello Esterina e Valitutto Gerardo, ha proposto le questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 93, comma secondo, 94, commi
primo e secondo, e 468, comma primo, del codice di procedura penale, in
relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con argomentazioni
analoghe a quelle esposte dal pretore di San Giovanni Valdarno e dal
tribunale di Arezzo.
Nella suddetta ordinanza viene pure sollevata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 559, comma terzo, del codice
penale (relazione adulterina), in riferimento agli artt. 3 e 29 della
Costituzione.
4. – Nei giudizi promossi dai pretori di San Giovanni Valdarno e di
Postiglione si è costituita, in rappresentanza del Presidente del
Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato la quale
chiede che le dedotte questioni di legittimità costituzionale siano
dichiarate non fondate.
Al riguardo l’Avvocatura osserva che la costituzione della parte
civile in udienza e la mancanza di un termine a difesa non sembrano
menomare le possibilità difensive dell’imputato perché egli non può
ritenersi impreparato di fronte ad una simile eventualità a lui di
certo non ignota.
Ritiene poi l’Avvocatura che la indeterminatezza iniziale del
petitum – consentita dall’art. 95 comma secondo – e il differimento
alle conclusioni finali della precisazione dell’ammontare dei danni –
consentito dallo stesso articolo e dal 468, comma primo, del codice di
procedura penale – nel mentre rispondono a peculiari e razionali
esigenze del procedimento civile abbinato e inserito in quello penale,
non diminuiscono, o almeno non rendono estremamente difficile,
l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato.
Perciò quelle norme non contrasterebbero né con l’art. 3, comma
primo, né con l’art. 24, comma secondo, della Costituzione.
1. – I giudizi come sopra proposti, avendo per oggetto questioni
connesse, possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
Il pretore di Postiglione solleva nella sua ordinanza, unitamente
ad altre relative alla legittimità costituzionale delle norme che
concernono la parte civile, anche una questione attinente la
legittimità dell’art. 559, comma terzo, del codice penale, in
riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione.
Poiché però la Corte, con sentenza n. 147 del 1969, ha dichiarato
la illegittimità costituzionale dell’art. 559, comma terzo, del codice
penale, la questione sollevata sulla stessa norma dal pretore di
Postiglione va dichiarata manifestamente infondata, mentre le altre
sulla parte civile, per essere ad essa connesse, divengono
manifestamente irrilevanti.
2. – Il dubbio sulla legittimità costituzionale degli articoli 93,
comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468, comma primo, del
codice di procedura penate, prospettato alla Corte dal pretore di San
Giovanni Valdarno e dal tribunale di Arezzo, investe la intera
struttura dell’istituto della parte civile per quanto attiene alla
possibilità riconosciutale di costituirsi anche all’udienza, fino al
compimento in primo grado delle formalità di apertura del
dibattimento, e di esporre, all’atto della costituzione, solo
sommariamente i motivi che la giustificano, rinviando alle conclusioni
finali la precisazione dell’ammontare dei danni.
Secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni contenute negli
articoli citati, innanzi tutto violerebbero, nei confronti
dell’imputato, il diritto di difesa (art. 24, comma secondo, Cost.)
perché egli, in mancanza di un termine a difesa e di una sufficiente e
tempestiva conoscenza dei motivi della richiesta di restituzione e di
risarcimento e dell’ammontare dei danni, non potrebbe far valere le sue
ragioni e contrastare quelle avversarie.
3. – Le proposte questioni di legittimità costituzionale non sono
fondate.
La costituzione di parte civile della parte offesa dal reato non
rappresenta certo per l’imputato una eventualità che egli non possa
rappresentarsi sin dal momento in cui è sorta per lui la imputazione e
gli è stato reso noto, nei dati sommari del fatto da contenersi in
ogni mandato (art. 264 c.p.p.), il nome della parte offesa dal reato.
Dalla prevedibilità dell’evento deriva che l’imputato può ben
preparare tempestivamente le ragioni della sua opposizione alla
costituzione di parte civile, se egli ha da farne valere. E per quanto
riguarda le ragioni, di ordine sopratutto formale, che eventualmente
sussistano in rapporto all’atto di costituzione, esse possono essere
prontamente rilevate e contestate dall’imputato che è assistito,
obbligatoriamente, da un difensore.
Nelle ordinanze si insiste molto sull’ampiezza dei poteri spettanti
alla parte civile, per sottolineare l’importanza che nel processo
rappresenta l’atto della sua costituzione e la conseguente rilevanza di
una attività dell’imputato diretta a contrastarne l’ammissione. Ma non
si riflette che quei poteri, volti all’accertamento della
responsabilità dell’imputato ai fini delle restituzioni e del
risarcimento, sono poteri che, per loro natura, in un processo a
struttura, almeno parzialmente, accusatoria, trovano la loro
estrinsecazione nel dibattimento, che è la sede in cui si accertano in
via definitiva i fatti e le loro conseguenze giuridiche; ond’è che non
ha rilievo se la parte civile si costituisca prima o all’atto
dell’apertura di esso. Uno solo di quei poteri, quello che attiene
alla deduzione delle prove, deve essere esercitato, ai fini della
lealtà del contradittorio, in fase predibattimentale ed entro termini
fissati dalla legge (art. 415 c.p.p.).
Ma ciò vale per tutte le parti, sì che la parte civile, che non
si costituisca in istruttoria, non può pretendere l’ammissione di
testi a difesa, richiedere letture, richiamare documenti. Ond’è che,
sotto tale profilo, il ritardo della costituzione della parte civile
sino alla chiusura delle formalità di apertura del dibattimento di
primo grado, rappresenta un vantaggio e non uno svantaggio per
l’imputato, ed egli perciò non può lamentare al riguardo alcuna
menomazione del suo diritto di difesa.
4. – Nelle ordinanze si sostiene altresì che una causa di
diminuzione delle possibilità di tutela di quel diritto, sarebbe da
rinvenirsi nella facoltà concessa alla parte civile di precisare
l’ammontare dei danni solo all’atto delle conclusioni.
Ma nemmeno a questo rilievo può attribuirsi consistenza.
La parte civile fa le sue precisazioni in merito ai danni alla fine
dell’istruttoria dibattimentale perché solo allora, dalle risultanze
emerse, può stabilirsi quanta parte della responsabilità
dell’imputato, nella dinamica del fatto reato produttivo del danno, sia
rimasta provata. Ma essa lo precisa comunque interloquendo per prima,
com’è naturale, nel dibattito processuale, e così dandosi alla difesa
dell’imputato, la possibilità di contrastare la richiesta con quegli
elementi che sono già nel processo. Che se poi nel processo essi già
non fossero, la richiesta, non provata, della parte civile, si
risolverebbe in una enunciazione che non avrebbe più valore del
diniego che ad essa contrapporrebbe l’imputato; onde il giudice non
potrebbe che rinviare la liquidazione in sede civile secondo il
disposto dell’art. 489, comma secondo, del codice di procedura penale.
5. – Nelle ordinanze si lamenta anche la violazione del principio
di eguaglianza, perché la parte lesa, costituendosi parte civile in
giudizio penale, è tenuta inizialmente alla sola “esposizione sommaria
dei motivi” e poi alla precisazione del petitum, mentre, agendo come
attore in giudizio civile, è tenuto fin dall’atto di citazione a
precisare la causa petendi, il petitum e gli altri elementi previsti
dall’art. 163 del codice di procedura civile. Inoltre, nelle stesse
ordinanze, si osserva che l’imputato, se citato come convenuto in
giudizio civile, ha a suo vantaggio i termini a comparire dell’art. 163
bis, mentre può non avere termini di sorta di fronte all’esercizio
dell’azione spettante alla parte civile in sede penale.
Al riguardo va opposto che, a situazioni giuridiche diverse possono
corrispondere discipline giuridiche differenziate.
E non è dubbio che l’inserimento dell’azione civile nel giudizio
penale, una volta disposta, a fini di utilità generale, dal
legislatore, entro i limiti della sua discrezionalità, pone in essere
una situazione processuale profondamente, o almeno notevolmente,
differente da quella riservata all’esercizio dell’azione civile nel
processo civile, anche se si tratti di azione di restituzione o di
risarcimento di danni derivanti da reato.
Tale rilievo priva di ogni consistenza le denunziate antinomie fra
il trattamento che la legge riserva a quella azione se portata nell’una
o nell’altra sede processuale.
Ma il vero è che quelle antinomie sono in realtà soltanto
apparenti, perché in sede penale, in cui vi è costituzione di parte
civile, il fatto reato e le sue conseguenze sono esaminati in un unico
processo, in cui l’accertamento dei fatti ha efficacia polivalente:
serve cioè all’accertamento della responsabilità dell’imputato, sia
ai fini penali che a quelli civili.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara:
a) manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 559, comma terzo, del codice penale, già
dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 147 del 1969;
b) inammissibili le questioni proposte dal pretore di Postiglione
con ordinanza 9 luglio 1969 e relative agli artt. 93, comma secondo,
94, commi primo e secondo, e 468, comma primo, del codice di procedura
penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
c) non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 93, comma secondo, 94, commi primo e secondo, e 468 del codice di
procedura penale, proposte dal pretore di San Giovanni Valdarno con
ordinanza in data 30 gennaio 1969 e dal tribunale di Arezzo con
ordinanza 7 febbraio 1969, in riferimento agli artt. 24, comma
secondo, e 3, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VEZIO
CRISAFULLI – NICOLA REALE – PAOLO
ROSSI.