Sentenza N. 489 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
07/11/1989
Data deposito/pubblicazione
07/11/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/10/1989
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (“Riforma del sistema
previdenziale forense”) promosso con ordinanza emessa il 2 marzo 1989
dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Napolitani
Corrado e la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e
Procuratori, iscritta al n. 264 del registro ordinanze 1989 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima
serie speciale, dell’anno 1989;
Visto l’atto di costituzione della Cassa Nazionale Previdenza ed
Assistenza Avvocati e Procuratori nonché l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 3 ottobre 1989 il Giudice relatore
Luigi Mengoni;
Uditi l’avv. Maurizio Cinelli per la Cassa Nazionale di Previdenza
e Assistenza Avvocati e Procuratori e l’Avvocato dello Stato Giorgio
D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Napolitani contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a
favore degli avvocati e dei procuratori legali per sentire dichiarare
parzialmente prescritti i contributi dovuti in relazione agli anni
1975-1979, il Pretore di Napoli, con ordinanza del 2 marzo 1989, ha
sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 19, secondo comma, della legge
20 settembre 1980, n. 576, nella parte in cui fa decorrere la
prescrizione dei crediti contributivi della Cassa relativi al periodo
suddetto dalla data di trasmissione all’Ente della dichiarazione
dell’ammontare dei redditi prodotti e dei contributi dovuti prevista
dall’art. 23 della legge citata.
Secondo il giudice remittente la norma impugnata deroga, senza
alcuna giustificazione razionale, a due principi in tema di
prescrizione, il principio di decorrenza dal giorno in cui il diritto
può essere fatto valere (art. 2935 cod. civ.) e il principio che
fissa in dieci anni il termine della prescrizione ordinaria (art.
2946). La deroga al primo principio e il conseguente allungamento del
termine prescrizionale oltre i dieci anni sarebbero ingiustificati
perché la comunicazione dei redditi prodotti e l’autoliquidazione
dei contributi dovuti, a norma dell’art. 23 della legge n. 576 del
1980, non sono una condizione di esigibilità del credito della
Cassa.
Oltre che irrazionale in sé, la norma denunciata sarebbe anche
fonte di ingiustificata disparità di trattamento fra gli iscritti
alla Cassa debitori di contributi per gli anni compresi tra il 1975 e
il 1979 (soggetti a termini prescrizionali superiori ai dieci anni) e
i debitori di contributi relativi agli anni successivi (soggetti a
prescrizione decennale), nonché, e ancor più, i debitori di
contributi relativi ad anni precedenti, ai quali, secondo costante
giurisprudenza, si applica la prescrizione quinquennale.
2. – Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Cassa di
previdenza degli avvocati concludendo per l’inammissibilità o, in
subordine, per l’infondatezza della questione.
La questione sarebbe inammissibile perché mancante del necessario
carattere di pregiudizialità rispetto alla decisione di merito.
Ammesso (ma non concesso, secondo la difesa della Cassa) che il
titolo dell’obbligazione contributiva, cui si riferisce l’art. 23,
quarto comma, sia sempre quello originario costituito dalla legge n.
319 del 1975, la dichiarazione prevista nel primo comma, in quanto
implica riconoscimento del diritto da parte del soggetto passivo ai
sensi dell’art. 2944 cod.civ., ne avrebbe interrotto la prescrizione
determinando l’inizio di un nuovo periodo a partire dal 29 giugno
1981.
Quanto all’infondatezza, la Cassa sostiene in principalità che –
allo scopo di rendere possibile l’applicazione del nuovo sistema di
finanziamento della previdenza forense anche ai redditi prodotti nei
cinque anni precedenti, per i quali gli obblighi contributivi non
erano ancora prescritti – la norma transitoria dell’art. 23 ha
sostituito tali obblighi con una nuova obbligazione avente titolo
nella legge del 1980. Perciò l’art. 19 di questa legge, nella parte
in cui applica il nuovo dies a quo della prescrizione decennale anche
alle obbligazioni contributive di cui all’art. 23, non comporta
alcuna deroga alla regola dell’art. 2935 cod. civ. Comunque, pur se
si dovesse escludere tale effetto novativo, l’allungamento del
termine di prescrizione sarebbe giustificato da esigenze eccezionali
e transitorie inerenti alla fase di prima applicazione della nuova
disciplina.
Si osserva infine che le differenze di trattamento rilevate dal
giudice a quo fra le posizioni debitorie relative ai contributi per
gli anni 1975-1979 e le posizioni debitorie relative agli altri
periodi dipendono dal diverso riferimento temporale, trovando
giustificazione nelle accennate ragioni attinenti alla fase di
transizione dal vecchio al nuovo sistema.
3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, concludendo per la
manifesta infondatezza della questione, sul riflesso che la
determinazione del dies a quo della prescrizione rientra nella
discrezionalità del legislatore, il quale ben può discostarsi dalla
regola del codice civile; e tanto maggiore è tale discrezionalità
quando si tratti di disciplina transitoria, volta a coordinare col
nuovo regime situazioni pregresse non ancora definite.
3 Cost. dell’art. 19, secondo comma, della legge n. 576 del 1980
sulla riforma della previdenza forense, nella parte in cui fa
decorrere la prescrizione dei crediti della Cassa per i contributi
relativi al periodo 1975-1979 dalla data di trasmissione alla
medesima, da parte dell’obbligato, della dichiarazione dell’ammontare
dei redditi e dei contributi dovuti prevista dall’art. 23.
L’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza,
preliminarmente opposta dalla Cassa sul riflesso che la nuova
decorrenza della prescrizione disposta dalla norma impugnata non
sarebbe che un’applicazione dell’art. 2944 cod.civ., non può essere
accolta. Alla detta dichiarazione del debitore, in quanto atto
dovuto, non è attribuibile il valore di riconoscimento del diritto
ai fini dell’interruzione della prescrizione disposta dal codice
civile.
Nemmeno si può sostenere che la disposizione transitoria
dell’art. 23 ha determinato una novazione ex lege degli obblighi di
contribuzione afferenti al quinquennio precedente. Tale
interpretazione è contraddetta dall’art. 24, secondo comma, a mente
del quale “relativamente ai redditi prodotti nell’anno anteriore
all’entrata in vigore della presente legge e in quelli precedenti,
restano dovuti i contributi previsti dalla legislazione
rispettivamente vigente”, salva la riduzione nei limiti del 10% dei
contributi previsti dalla legge n. 319 del 1975 sui redditi superiori
a sei milioni. La retroattività della legge n. 576 del 1980 non
investe la disciplina sostanziale dell’obbligazione contributiva, ma
è limitata ai modi di accertamento dei redditi prodotti e di
liquidazione dei contributi, in ordine ai quali l’art. 19, secondo
comma, rafforza la norma dell’art. 23 disponendo l’interruzione della
prescrizione in guisa che il termine previsto dal primo comma non si
applichi alla prescrizione in corso, ma abbia decorrenza ex novo.
2. – La questione non è fondata.
Questa Corte ha già avuto occasione di osservare (cfr. ordinanza
n. 367 del 1987) che nessuna norma costituzionale impedisce al
legislatore di protrarre i termini di prescrizione disponendone la
sospensione, come nel caso dell’art. 2, comma 22, del d.l. n. 463 del
1983, convertito in legge n. 638 del 1983, o anche l’interruzione,
come nel caso in esame, salvo soltanto il vincolo del principio di
razionalità e di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
La retroattività del nuovo sistema di finanziamento della
previdenza forense (fondato sui principi dell’autodenuncia dei
redditi prodotti e dell’autoliquidazione dei contributi dovuti), in
funzione della quale l’art. 23 della legge del 1980 prevede una fase
di “prima applicazione” relativa ai contributi dovuti per gli anni
precedenti e non ancora prescritti, si giustifica in considerazione
dei gravi difetti della disciplina anteriore, i quali impedivano di
fatto alla Cassa di esercitare tempestivamente i propri diritti nei
confronti degli inadempienti.
Conseguentemente si è posta l’esigenza di omogeneizzare la
disciplina della fase transitoria con quella della fase a regime,
relativa agli anni successivi al 1980, anche per quanto riguarda la
prescrizione dei contributi, in guisa da assicurare che, ai fini del
controllo delle dichiarazioni di cui all’art. 23, la Cassa potesse
disporre di tutto il tempo assegnato dal nuovo termine prescrizionale
stabilito dall’art. 19, primo comma, che prevede la prescrizione
ordinaria di dieci anni in luogo della precedente prescrizione breve
quinquennale. A tale esigenza ha congruamente risposto il secondo
comma, il quale pertanto non merita censure sotto il profilo della
razionalità.
3. – La norma è ineccepibile anche dal punto di vista del
principio di eguaglianza. Le differenze di durata della prescrizione
dei contributi dovuti per gli anni 1975-1979 comportate dalla detta
operazione omogeneizzatrice (e rilevate sia dal raffronto reciproco
sia dal raffronto con i contributi dovuti per gli anni successivi) si
giustificano in ragione del riferimento del nuovo dies a quo a
crediti della Cassa insorti in momenti diversi del tempo, il fluire
del quale costituisce per se stesso un elemento differenziatore (cfr.
sentenze n. 159 del 1987, n. 238 del 1984, nn. 138 e 65 del 1979).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576
(“Riforma del sistema previdenziale forense”), sollevata, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Napoli con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1989.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 7 novembre 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI