Sentenza N. 412 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
07/12/1994
Data deposito/pubblicazione
07/12/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
24/11/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
3, 4 e 5; 9, comma 3; 21, commi 1 e 5; 22, commi 1, 2 e 3; 23, commi
3 e 4; 30, comma 1, lett. b) e c) della legge 5 gennaio 1994, n. 36
(Disposizioni in materia di risorse idriche), promossi con ricorsi
delle Province autonome di Trento e Bolzano notificati il 18
febbraio, depositati in cancelleria il 22 e 26 febbraio 1994 ed
iscritti ai nn. 22 e 23 del registro ricorsi 1994;
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 1994 il Giudice relatore
Francesco Guizzi;
Uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia
di Bolzano, l’avvocato Valerio Onida per la Provincia di Trento e
l’avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio
dei ministri;
in via principale, questione di legittimità costituzionale dei
seguenti articoli della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in
materia di risorse idriche): art. 8, commi 1, 2, 4 e 5; art. 9, comma
3; art. 21, commi 1 e 5; art. 22, commi 1, 2 e 3; art. 23, commi 3 e
4; art. 30, comma 1, lett. b) e c), in riferimento all’art. 8, nn. 5,
17, 19 e 24, all’art. 9, nn. 9 e 10, agli artt. 12, 13, 14 secondo e
terzo comma, 16 primo comma, 68 e 107 dello Statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e alle relative
norme di attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973 n. 115, art. 8, comma 1,
lett. e); d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, come modificato dal decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 267, art. da 5 a 14; d.P.R. 28 marzo
1975, n. 474, come modificato dal d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197 e
dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267, artt. 1 e 3).
1.2. – La Provincia ha competenza legislativa, esclusiva, in
materia di acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale
(art. 8, n. 17), assunzione e gestione di servizi pubblici (art. 8,
n. 19), urbanistica (art. 8, n. 5), opere idrauliche (art. 8, n. 24,
Statuto); per l’utilizzazione delle acque pubbliche, e l’igiene e
sanità, ha invece competenza concorrente (art. 9, n. 9, e art. 10,
Statuto). In attuazione di quanto previsto dall’art. 68 dello
Statuto, il d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, ha quindi disposto,
all’art. 8, il trasferimento del demanio idrico-statale alla
Provincia, sì che tutte le acque, superficiali e sotterranee,
rientrano oggi nel demanio provinciale e, conseguentemente, essa
esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità di tale
demanio (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, art. 5).
La ricorrente afferma che l’art. 8, commi 1, 2, 4 e 5 della legge
impugnata, nel prevedere una partizione territoriale della fornitura
dei servizi idrici diversa da quella determinata dalla Provincia,
lede la sua competenza in materia di servizi pubblici (art. 8, n. 19,
Statuto), nell’ambito della quale rientrano le modalità di
erogazione dei servizi e l’individuazione delle categorie di soggetti
che li possono gestire. Soltanto la Provincia può dunque modificare
l’assetto territoriale della gestione, mentre l’art. 8, al comma 1,
detta criteri specifici per la modificazione strutturale; il comma 4,
che impone l’aggiornamento del piano di utilizzazione delle acque
pubbliche al di fuori dei termini e delle procedure previste dalle
norme di attuazione statutaria (d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381), è in
contrasto anche con l’art. 107 dello Statuto; il comma 5,
nell’affidare alla Provincia l’elaborazione di normativa meramente
integrativa, lede inoltre la sua competenza in materia di acque e di
igiene e sanità.
1.3. – La Provincia impugna l’art. 9, comma 3, (che le fa obbligo
di disciplinare, entro sei mesi, le forme e i modi della cooperazione
tra gli enti locali per l’organizzazione del servizio idrico,
privandola delle modalità di scelta) e i commi 1 e 5 dell’art. 21,
che le sottraggono la vigilanza sull’utilizzazione delle acque e
sulla gestione dei servizi idrici, affidandola al comitato, statale,
ivi previsto. Essa viene relegata a ente del quale si richiede
l’intesa, mentre è l’unico titolare della competenza sancita dalle
norme di attuazione statutaria (artt. 5 e 8 del d.P.R. n. 381 del
1974), con conseguente violazione dell’art. 107 dello Statuto. La
ricorrente impugna, altresì, l’art. 22, commi 1, 2 e 3, per
violazione della propria competenza, perché demanda a un organismo
statale (l’osservatorio dei servizi idrici) un ruolo essenziale per
la vigilanza e repressione delle violazioni, con riguardo alle
attività svolte nel territorio provinciale.
1.4. – L’art. 23, commi 3 e 4, introduce una disciplina sulla
pubblicità dei progetti concernenti le opere idrauliche che in
realtà non opera immediatamente nella Provincia (art. 2 decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266), ma pretende illegittimamente di
vincolare il legislatore provinciale.
1.5. – L’art. 30, sull’utilizzazione delle acque destinate a uso
idroelettrico, fa sì che organismi statali (il CIPE e il Comitato
interministeriale di cui all’art. 4, comma 2, della legge 18 maggio
1989, n. 183) possano intervenire, senza l’intesa con la Provincia e
al di fuori del piano generale provinciale. Eventuali esigenze di
coordinamento fra lo Stato e la Provincia trovano sede idonea nel piano generale, ex art. 14 dello Statuto e artt. 5 e 8 del d.P.R. n.
381 del 1974.
2. – La Provincia autonoma di Trento impugna, della citata legge,
l’art. 8, commi 3, 4, e 5; l’art. 9, comma 3; l’art. 21, comma 5;
l’art. 23, comma 3.
L’impianto sistematico della legge n. 36 – si sostiene nel ricorso
– appare fondato sul presupposto di una piena disponibilità della
materia da parte dello Stato; mentre invece le Province autonome
della Regione Trentino-Alto Adige sono titolari di competenze
primarie per l’urbanistica, gli acquedotti, i lavori pubblici (art.
8, nn. 5, 17, 19, Statuto), e di competenze concorrenti per
l’utilizzazione delle acque pubbliche, in base all’ art. 9, n. 9,
dello Statuto, che disciplina altresì le modalità di coordinamento
fra lo Stato e le Province autonome prevedendo il piano delle opere
idrauliche (art. 14, secondo comma, seconda parte, e terzo comma).
Ferma la competenza statale per le grandi derivazioni a scopo
idroelettrico (v. il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381) le Province, in
base alle norme di attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115),
esercitano tutte le attribuzioni inerenti alla titolarità del
demanio idrico, ivi comprese la polizia idraulica e la difesa delle
acque dall’inquinamento. Nel territorio provinciale, inoltre, il piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche (art. 14
Statuto) sostituisce interamente il piano regolatore generale degli
acquedotti (art. 10, comma 2, d.P.R. n. 381 del 1974).
Va poi considerato che gli strumenti di pianificazione e di
coordinamento previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non
sono sostituiti dagli strumenti di pianificazione territoriale
introdotti dal legislatore statale, e in particolare dai piani di
bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183. Come
chiarito dalla Corte nella sent. n. 85 del 1990, i piani di bacino
non comportano una nuova ripartizione di materie fra Stato e Regioni,
ma fissano solo gli obiettivi. I piani in questione possono dunque
incidere nelle materie di competenza provinciale esclusivamente
“entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento”.
In ogni caso, il decreto legislativo n. 267 del 1992, integrando
l’art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974, statuisce che i piani di bacino
di rilievo nazionale valgano quali strumenti di coordinamento, sempre
che lo Statuto e le norme di attuazione non prevedano specifiche
modalità di coordinamento, ribadendo così il principio generale
posto dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
266, sull’efficacia degli atti di indirizzo e coordinamento del
Governo.
2.2. – La Provincia di Trento impugna l’art. 8, nei commi 2, 4 e
5, ritenendolo lesivo della sua sfera di autonomia. Il comma 2
vincola la Provincia non solo a delimitare gli ambiti territoriali
per la riorganizzazione di tutti i servizi idrici, ma anche a
sottostare alle determinazioni dell’Autorità di bacino. Quella che
nell’art. 35 della legge n. 183 del 1989 era una mera possibilità
(come rilevato dalla Corte nella già citata sentenza n. 85 del
1990), qui sembra divenire un precetto vincolante, con la preminenza
delle attribuzioni dell’Autorità di bacino su quelle provinciali. A
sua volta, il comma 4 dell’art. 8 sposta la competenza programmatoria
dal piano delle acque (formato d’intesa fra lo Stato e la Provincia)
al piano di bacino, che è predisposto dall’Autorità anzidetta, in
palese violazione dell’art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del
d.P.R. n. 381 del 1974. Il comma 5 dell’art. 8 contempla solo una
competenza normativa integrativa della Provincia, che ha invece, in
materia di utilizzazione delle acque, competenza concorrente (art. 9,
n. 9, Statuto).
2.3. – L’art. 9 concerne la gestione del “servizio idrico
integrato” che, secondo la legge in esame, dovrebbe essere gestito
dai comuni e dalle province. Il comma 3 di detto articolo contempla
un intervento delle Regioni e delle Province autonome per “le forme e
i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo
ambito ottimale”. Tale norma è illegittima – ad avviso della
ricorrente – se intesa nel senso che essa possa disciplinare
direttamente le funzioni degli enti locali delle due Province. Le
funzioni che nel resto del territorio nazionale sono assegnate dalla
legge statale direttamente ai comuni (o trasferite a questi ultimi
dal d.P.R. n. 616 del 1977) sono conferite ai comuni del Trentino-Alto Adige soltanto qualora non rientrino nelle materie di competenza
della Regione o delle Province: in tale ipotesi è la legge regionale
che provvede all’attribuzione su concorde richiesta, se del caso,
delle Province autonome. Comunque, la legge dello Stato non può
imporre alla Provincia di disciplinare le forme di cooperazione fra
gli enti locali del suo territorio.
2.4. – La Provincia di Trento impugna, poi, l’art. 21 (Comitato
per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche) perché prevede
un’attività amministrativa di intervento e vigilanza posta in essere
da un organo statale in materia di competenza provinciale, con ciò
violando l’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992.
Impugna altresì l’art. 23, comma 3, che detta minuziose norme, anche
di tipo procedimentale, vulnerando l’autonomia provinciale in tema di
organizzazione amministrativa, fino al punto di stabilire le concrete
modalità con cui si dovrebbe realizzare la pubblicità dei progetti
di opere.
3.1. – Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza di entrambi i
ricorsi.
La legge n. 36 del 1994 contiene disposizioni che valgono –
secondo quanto statuito dal primo periodo dell’art. 33 – quali
principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, come
già la legge 18 maggio 1989, n. 183, di cui essa è svolgimento.
Nella legge impugnata vi è, infatti, l’espressa clausola di
salvaguardia delle competenze spettanti alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dei
rispettivi statuti e delle norme di attuazione (art. 33, secondo
periodo): di qui, un’intrinseca delimitazione della normativa in
esame, che esclude ogni sua potenziale lesività delle competenze
provinciali, per cui tutte le doglianze sarebbero improponibili,
ancor prima che infondate.
I ricorsi investono, inoltre, anche disposizioni che non si
riferiscono specificamente alle Province autonome (come quelle degli
artt. 8 comma 3, 21 comma 1, 22 commi 1 e 3, 30 comma 1), rispetto
alle quali la prospettata lesione di competenza andrebbe esclusa in
nuce. Le altre disposizioni che riguardano le due Province (ma non
solo esse, in realtà) non sottraggono competenze, bensì ne
valorizzano l’esercizio al fine di perseguire, in modo ottimale, gli
obiettivi della legge n. 36 del 1994.
3.2. – L’Avvocatura generale dello Stato si sofferma, in memoria,
sulla razionalizzazione che la legge n. 36 ha operato nel settore in
esame; e sottolinea che non sarebbe pertinente il richiamo alle
competenze primarie di cui all’art. 8 dello Statuto, perché si
tratterebbe di richiami “di maniera”, eccezione fatta per il n. 19
dell’art. 8, che riguarda, però, aspetti ordinamentali che non hanno
attinenza alcuna con l’art. 8 della legge n. 36. Tale disposizione
concerne profili funzionali sulla riorganizzazione dei servizi
idrici, al fine di “ottimizzare” l’utilizzazione delle acque, e su
tale materia le Province hanno soltanto competenza concorrente. Nei
limiti, dunque, dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato (art.
9, n. 9, Statuto).
Le disposizioni contenute negli artt. 8 (commi 2, 4, 5), 9 (comma
3), 21 (comma 5), 22 (commi 1 e 2), 23 (commi 3 e 4) della legge n.
36 sottendono “principi guida” per l’organizzazione territoriale del
servizio idrico integrato, che resta pur sempre demandata alle Province. Esse, tuttavia, non precludono l’elaborazione – d’intesa tra lo
Stato e la Provincia – del piano annuale di coordinamento delle opere
idrauliche di cui all’art. 14 dello Statuto, né inficiano la
validità dei piani di bacino, di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 381
del 1974, o del piano generale di utilizzazione delle acque previsto
dall’art. 8 del medesimo decreto. Per quanto attiene specificamente
al comma 1 dell’art. 8 della legge impugnata, l’Avvocatura ritiene
che esso non sarebbe invasivo delle attribuzioni provinciali, dal
momento che la definizione degli “ambiti ottimali” avviene mediante
il provvedimento di delimitazione, che è riservato alla Provincia
autonoma.
Sulla scia della legge quadro sulla difesa del suolo (n. 183 del
1989, art. 1, comma 3, e art. 12 comma 1), le norme impugnate
confermano il governo delle acque per bacini idrografici: il comma 1
dell’art. 8 introduce, in particolare, criteri flessibili per superare l’attuale “polverizzazione” gestionale. In ordine ai rapporti con
l’Autorità di bacino, si nega la denunciata erosione di attribuzioni
provinciali, non apportando la legge n. 36 modifiche alla struttura
di detto organo, al quale è affidata la programmazione
dell’utilizzazione delle risorse idriche, secondo i canoni della previa intesa e della leale collaborazione. Riguardo all’aggiornamento
del piano regolatore generale degli acquedotti (art. 8 comma 4), si
riconosce che, in base all’art. 10 del d.P.R. n. 381 del 1974, la
funzione del piano regolatore generale è assorbita, nelle Province
di Trento e Bolzano, dal piano generale per l’utilizzazione delle
acque pubbliche; e si rileva, nel contempo, che la legge n. 36 (art.
32) non ha abrogato le disposizioni richiamate dalle ricorrenti, che
prevalgono su quelle della legge impugnata. Il riparto di
attribuzioni tra lo Stato e le Province autonome non risulta dunque
modificato dall’art. 8, commi 2, 4, e 5, della legge n. 36, con
riferimento all’art. 12 della legge n. 183 del 1989.
Si sostiene, poi, che nell’art. 8, comma 5, l’aggettivo
“integrativo” non va interpretato in senso tecnico: esso non
degraderebbe le attribuzioni esclusive o concorrenti a meramente
integrative, ma indicherebbe l’attitudine delle norme emanande a
completare la legislazione statale, con un “livello di cogenza”
definito dalla tipizzazione delle potestà legislative delle singole
Regioni a statuto ordinario o differenziate. A proposito della
paventata imposizione di criteri specifici, cui la Provincia dovrebbe
attenersi nella modificazione della gestione del servizio idrico
integrato (art. 9 della legge), si osserva che le forme di tale
riorganizzazione sono già tutte presenti nell’ordinamento. La
disciplina dei modi della cooperazione tra gli enti locali (comma 3
dell’art. 9) non contrasta infatti con l’art. 4 dello Statuto,
poiché nell’ipotesi in cui tale cooperazione dovesse implicare
modifiche dell’ordinamento degli enti locali, le stesse dovrebbero
essere attuate con legge della Regione.
L’art. 21, comma 1, istituisce il comitato per la vigilanza
sull’uso delle risorse idriche: organo a composizione mista, la cui
operatività richiede – ed è un’evidente garanzia – la previa intesa
con le Regioni e le Province autonome interessate.
L’art. 22, comma 1, prevede un’attività informativa centralizzata
(Osservatorio dei servizi idrici): attività ineludibile, poiché –
tranne che per le grandi isole – quasi tutti i principali corpi
idrici superficiali hanno un interesse che travalica i confini
amministrativi della Regione e della Provincia dove nascono o dove
sfociano. L’acquisizione di maggiori conoscenze è, quindi, misura
propedeutica a un razionale governo delle acque.
Quanto ai poteri del CIPE sull’utilizzazione delle acque invasate
a scopi idroelettrici (art. 30), la disposizione non invaderebbe, di
per sé, le competenze provinciali: un eventuale vulnus potrebbe
derivare, semmai, dai successivi provvedimenti del CIPE, in ipotesi
lesivi del principio della previa intesa e della leale collaborazione
fra Stato e Regioni. In materia di derivazioni a scopo idroelettrico,
la Provincia ha competenza concorrente e ben può lo Stato dettare
norme di principio sull’utilizzazione delle acque destinate a tali
scopi, in relazione alle esigenze di protezione della loro qualità e
di conservazione della loro quantità.
4. – Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato memoria anche le
ricorrenti, insistendo sull’indebita compressione delle loro
competenze.
La Provincia di Trento osserva che – a seguito della sent. n. 85
del 1990 – i commi aggiunti all’art. 5 del d.P.R. n. 381 del 1974 dal
decreto legislativo n. 267 del 1992 ribadiscono che i piani di
bacino, di cui alla legge n. 183, possono coordinare le attività
provinciali solo se lo Statuto e le norme di attuazione non dettano
modalità specifiche. Ora, per ciò che attiene all’utilizzazione
delle acque e alle opere idrauliche, lo Statuto speciale, all’art.
14, prevede, in sostituzione del piano regolatore degli acquedotti,
il piano annuale di coordinamento (v. anche l’art. 10, comma 2,
d.P.R. n. 381 del 1974). La Provincia di Bolzano sottolinea, d’altro
canto, che la citata sentenza n. 85 conferma l’efficacia (e sotto
alcuni aspetti la prevalenza) degli strumenti di pianificazione e di
coordinamento dell’uso delle risorse idriche previsti dallo Statuto e
dalle norme di attuazione. Soggiungendo come – proprio con riguardo
ai piani di bacino – la Corte abbia riconosciuto che essi possono
incidere nelle materie di competenza regionale e provinciale solo
entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e di coordinamento.
Sul raccordo fra la legge n. 183 del 1989 e le competenze
provinciali, si richiama il d.P.R. n. 381 del 1974, art. 5, commi 3 e
4, modificato dal decreto legislativo n. 267 del 1992, in coerenza
con il principio, posto dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo
n. 266 del 1992, sull’efficacia nel territorio regionale e
provinciale degli atti di indirizzo e coordinamento del Governo.
Tanto la sentenza invocata dall’Avvocatura generale, che le successive norme di attuazione, hanno precisato i criteri di delimitazione
delle competenze statali e provinciali: le norme impugnate violano
perciò tali limiti, e le modalità di coordinamento contemplate
dalle norme di attuazione – conclude la Provincia di Bolzano – sono
state disattese.
Bolzano per la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di
alcuni articoli della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in
materia di risorse idriche) muovono dalla comune rivendicazione della
loro competenza primaria in materia di urbanistica, acquedotti e
servizi pubblici (art. 8, nn. 5, 17 e 19, Statuto) e concorrente in
materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi
derivazioni a scopo idroelettrico, oltre che d’igiene e sanità (art.
9, nn. 9 e 10 Statuto): e muovono, altresì, dalla previsione, sempre
ad opera dello Statuto (art. 14, secondo e terzo comma), di peculiari
modalità di coordinamento con lo Stato, attraverso il piano delle
opere idrauliche.
Le disposizioni della legge n. 36 impugnate dalle due Province
autonome, perché lesive delle loro attribuzioni, coincidono per
larga parte, ma non integralmente.
Per quanto attiene all’art. 8, la Provincia di Bolzano impugna i
commi 1, 2, 4 e 5; quella di Trento i commi 3, 4 e 5.
L’art. 9, comma 3, è impugnato da entrambe.
L’art. 21 è impugnato nei commi 1 e 5 dalla Provincia di Bolzano,
solo nel comma 5 da quella di Trento.
L’art. 22, commi 1, 2 e 3, è impugnato solo dalla Provincia di
Bolzano.
L’art. 23 è impugnato nei commi 3 e 4 dalla Provincia di Bolzano,
solo nel comma 3 da quella di Trento.
L’art. 30, comma 1, lett. b) e c), è impugnato solo dalla
Provincia di Bolzano.
Sono dunque all’esame di questa Corte gli articoli di seguito
elencati:
art. 8 (Organizzazione territoriale del servizio idrico
integrato), commi 1, 2, 3, 4 e 5.
art. 9 (Disciplina della gestione del servizio idrico
integrato), comma 3.
art. 21 (Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse
idriche), commi 1 e 5.
art. 22 (Osservatorio dei servizi idrici), commi 1, 2 e 3.
art. 23 (Partecipazione, garanzia e informazione degli utenti),
commi 3 e 4.
art. 30 (Utilizzazione delle acque destinate ad uso
idroelettrico), comma 1, lettere b) e c).
2. – Per vagliare le singole censure mosse dalle due ricorrenti,
è necessaria una verifica preliminare sulle attribuzioni conferite
alle Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell’art. 8, nn.
5, 17, 19, dell’art. 9, n. 9, Statuto, nonché delle norme di
attuazione (d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115) che hanno trasferito alle
Province non soltanto gli acquedotti (art. 4), ma tutto il demanio
idrico, conferendo loro le attribuzioni inerenti alla polizia
idraulica e alla difesa delle acque dall’inquinamento, ferma la
competenza statale per le grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
Nel territorio provinciale, il piano generale per l’utilizzazione
delle acque pubbliche, di cui all’art. 14 Statuto, sostituisce, poi,
il piano regolatore generale degli acquedotti (art. 10, comma 2,
d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381).
Questa Corte ha chiarito che gli strumenti di pianificazione e di
coordinamento previsti dallo Statuto e dalle norme di attuazione non
sono resi inefficaci dagli strumenti di pianificazione territoriale
introdotti dal legislatore statale, e in particolare dai piani di
bacino idrografico di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183: tali
strumenti programmatori incidono nelle competenze provinciali solo
entro i limiti imposti alla funzione di indirizzo e coordinamento.
Più in generale, la Corte ha ricordato come la legge n. 183 del 1989
– alla quale la legge qui in esame si ricollega – non stabilisca una
nuova ripartizione di competenze fra lo Stato e le Regioni (e le
Province autonome), essendo una legge di obiettivi: la difesa del
suolo è finalità il cui raggiungimento coinvolge funzioni e materie
assegnate tanto alla competenza statale quanto a quella regionale e
provinciale, e richiede momenti di cooperazione fra tutti i soggetti
pubblici interessati (sent. n. 85 del 1990). Considerazioni, queste,
che ben si confanno alla nuova disciplina delle risorse idriche, che
realizza un complesso intreccio di interessi e competenze in cura a
diversi livelli istituzionali.
Gli strumenti di coordinamento introdotti dalla legislazione
nazionale valgono in via suppletiva, nell’ipotesi in cui la
disciplina statutaria non configuri meccanismi speciali. Ma le
fondamentali esigenze di cooperazione non legittimano indebite
appropriazioni di competenze, e sotto questo profilo è significativo
che il decreto legislativo n. 267 del 1992 (successivo, dunque, alla
citata sentenza n. 85), nell’integrare l’art. 5 del d.P.R. n. 381 del
1974, abbia riconosciuto l’efficacia dei piani di bacino di rilievo
nazionale quali strumenti di coordinamento, sempre che lo Statuto e
le norme di attuazione non stabiliscano modalità di coordinamento,
ribadendo così il principio posto dall’art. 3, comma 1, del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266, sull’efficacia degli atti di
indirizzo e coordinamento del Governo.
3. – Richiamato il quadro delle competenze, anche alla luce delle
norme di attuazione statutaria, occorre chiedersi, in primo luogo, se
sia sufficiente – ai fini della salvaguardia delle attribuzioni
provinciali – la clausola posta dall’art. 33 della legge n. 36 del
1994, che fa salve “le competenze spettanti alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dei
rispettivi statuti e delle relative norme di attuazione”. Tale
clausola, che ha carattere generale, impone di intendere le
precedenti statuizioni della legge in modo da salvaguardare le
competenze provinciali, risolvendo eventuali dubbi interpretativi
secondo una lettura rispettosa dell’assetto delle attribuzioni
delineato dalle norme statutarie e da quelle di attuazione, senza
necessariamente procedere a caducazione delle disposizioni impugnate.
Ma siffatta interpretazione correttiva non può spingersi al punto di
superare l’evidenza letterale, come si vedrà esaminando in dettaglio
i singoli articoli impugnati.
4. – L’art. 8 concerne l’organizzazione territoriale del servizio
idrico integrato, ed è impugnato nei commi da 1 a 5. Esso farebbe
obbligo alle Province di seguire criteri specifici per la nuova
articolazione territoriale della fornitura dei servizi idrici,
vincolandole ad aggiornare il piano di utilizzazione delle acque
pubbliche al di fuori delle procedure fissate dalle norme di
attuazione (d.P.R. n. 381 del 1974), e demandando loro l’emanazione
di normativa meramente integrativa (comma 5), con lesione delle
competenze in materia di acque e d’igiene e sanità.
Le censure sono fondate.
La ricognizione delle competenze statutarie rende evidente
l’illegittimità delle disposizioni impugnate, nella parte in cui si
estendono anche alle due Province autonome. Le modalità della
riorganizzazione dei servizi idrici, secondo ambiti territoriali
ottimali, non tengono affatto conto del complesso quadro normativo
che si è venuto definendo prima in sede statutaria, poi attraverso
le norme di attuazione. Non basta, qui, evocare la generale clausola
di salvaguardia, introdotta dall’art. 33 della legge, per dare
un’interpretazione correttiva dei commi impugnati dell’art. 8, che
alterano, invero, il quadro organizzatorio minuziosamente delineato
dall’ordinamento provinciale e spostano la competenza programmatoria
dal piano delle acque – formato d’intesa fra lo Stato e la Provincia
– al piano di bacino, che è predisposto dalla speciale Autorità, in
violazione dell’art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8 del d.P.R.
n. 381 del 1974. Quanto al comma 5, non è possibile seguire la linea
interpretativa suggerita dall’Avvocatura generale, che ne prospetta
una lettura atecnica, fonte però di confusione e di incertezze applicative, laddove va invece affermata la salvaguardia delle
competenze di vario livello (proprie delle due ricorrenti) che non
possono certo essere declassate a meramente integrative (v. in
particolare l’art. 9, n. 9, Statuto).
5. – L’art. 9 della legge n. 36 disciplina la gestione del
servizio idrico integrato. Di esso – perché potenzialmente invasivo
delle attribuzioni provinciali relative alle funzioni dei comuni – è
impugnato il comma 3, che prevede l’intervento delle Regioni e delle
Province autonome circa le forme e i modi della cooperazione fra gli
enti locali che ricadono nel medesimo “ambito ottimale”. La lettera
della norma ben si concilia, qui, con la salvaguardia delle
attribuzioni conferite alle Province, sì che bisogna escludere che
il legislatore abbia innovato il sistema di rapporti fra la Provincia
e i comuni che operano nel suo territorio: anche se le Province
autonome appaiono, nel testo, accomunate alle Regioni ordinarie, non
per questo ne risultano livellate le rispettive attribuzioni, ragion
per cui la censura si rivela infondata.
6. – È altresì impugnato l’art. 21, commi 1 e 5, che istituisce,
presso il Ministero dei lavori pubblici, il comitato per la vigilanza
sull’uso delle risorse idriche: la disposizione – si dolgono le
ricorrenti – prefigura l’intervento e la vigilanza di un organo
statale in materia di competenza provinciale, in violazione dell’art.
4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992. Questo comitato
svolge una funzione programmatoria generale a salvaguardia degli
interessi degli utenti, per l’efficienza, efficacia ed economicità
del servizio; e a tal fine persegue la cooperazione con organi di
garanzia eventualmente istituiti dalle Regioni e dalle Province
autonome (v. in special modo il comma 5). In ciò non si intravede
lesione alcuna delle attribuzioni provinciali; anche perché si
tratta di un organo a composizione mista, la cui operatività
richiede la previa intesa con le Regioni e le Province autonome
interessate, onde un’ulteriore garanzia per queste ultime.
La doglianza è dunque infondata.
7. – L’art. 22 prevede un’attività informativa centralizzata,
affidata all’Osservatorio dei servizi idrici: le attribuzioni
conferite a detto organo (che ha struttura servente nei confronti del
Comitato istituito dall’art. 21) sono legate alla razionalizzazione
del governo delle acque, che è il vero motivo ispiratore della legge
n. 36. Trattandosi di attività informativa e di elaborazione dei
dati, deve escludersi il temuto vulnus alle attribuzioni provinciali,
tanto più che l’Osservatorio dovrà costituire, e gestire, la
propria “banca dati” in connessione con i sistemi informativi delle
Province autonome, le cui funzioni non vengono quindi ridimensionate.
In quest’ottica, va confermato quanto già chiarito dalla
giurisprudenza di questa Corte, e cioè che l’acquisizione di
elementi informativi non determina, di per sé, lesione di
attribuzioni (v., fra le varie, le sentt. nn. 342 del 1994 e 497 del
1992); si giustificano quindi i poteri di acquisizione di notizie, ai
fini dell’eventuale proposizione innanzi agli organi giurisdizionali
competenti – da parte del Comitato per la vigilanza – dell’azione
avverso atti in violazione della legge.
8. – Infondata deve dirsi anche la censura mossa ai commi 3 e 4
dell’art. 23, che introducono norme sulla pubblicità dei progetti di
opere idrauliche, a tutela di un generale interesse alla trasparenza
e senza che neppure si possa eccepire un’eccessiva minuziosità della
disciplina: i commi impugnati dettano criteri generali, fermo
restando che ulteriori prescrizioni e specificazioni saranno poste
dalle due Province autonome nell’ambito delle rispettive competenze.
9. – Quanto ai poteri del CIPE sull’utilizzazione delle acque
invasate a scopi idroelettrici (art. 30), va ricordato che la
Provincia ha competenza, ex art. 9, n. 9, dello Statuto, in materia
di utilizzazione delle acque pubbliche, con esclusione per le grandi
derivazioni a scopo idroelettrico. Deve perciò affermarsi
l’illegittimità della disposizione nella parte in cui prevede
l’intervento di organismi statali (il CIPE e il Comitato
interministeriale di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 183 del
1989) senza ricorrere all’intesa con le Province e al di fuori del
piano generale provinciale, anche quando non si tratti di grandi
derivazioni a scopo idroelettrico. Le conseguenti esigenze di
coordinamento troveranno sede idonea nel piano generale delle acque
pubbliche (art. 14 dello Statuto e art. 8 del d.P.R. n. 381 del
1974).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 8, commi 1, 2, 3, 4 e 5, della legge 5 gennaio 1994, n. 36
(Disposizioni in materia di risorse idriche), nella parte in cui si
estende alle Province autonome di Trento e di Bolzano, e dell’art.
30, comma 1, lettere b) e c), della stessa legge, nella parte in cui
prevede l’intervento di organismi statali senza ricorrere all’intesa
con le Province autonome e al di fuori del piano generale
provinciale, anche quando non si tratti di grandi derivazioni a scopo
idroelettrico;
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
sollevata, in riferimento all’art. 8, nn. 5, 17, 19 e 24, all’art. 9,
primo comma, nn. 9 e 10, agli artt. 12, 13, 14, secondo e terzo
comma, all’art. 16, primo comma, e agli artt. 68 e 107 dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),
e alle relative norme di attuazione, dalle province autonome di
Trento e Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe, avverso l’art.
9, comma 3, l’art. 21, commi 1 e 5, l’art. 22, commi 1, 2 e 3, l’art.
23, commi 3 e 4, della citata legge n. 36 del 1994.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: GUIZZI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 7 dicembre 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA