Sentenza N. 7 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
30/01/1980
Data deposito/pubblicazione
30/01/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/01/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Prof.
ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN
– Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO
MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof.
ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, modificato dall’art. 2 della legge 4
aprile 1952, n. 218 (Modificazioni delle disposizioni sulle
assicurazioni obbligatorie), dell’art. 22 della legge 21 luglio 1965,
n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di
pensione della previdenza sociale) e dell’art. 24 della legge 30 aprile
1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in
materia di sicurezza sociale) promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 26 febbraio 1976 dal pretore di Trento nel
procedimento civile vertente tra Matteotti Franco e l’INPS, iscritta al
n. 277 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 139 del 26 maggio 1976;
2) ordinanza emessa il 5 marzo 1976 dal pretore di Trieste nel
procedimento civile vertente tra De Michelini Nerina e l’INPS, iscritta
al n. 361 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 158 del 16 giugno 1976;
3) ordinanza emessa il 22 aprile 1977 dal tribunale di Bari nel
procedimento civile vertente tra l’INPS e Sgaramella Rosa, iscritta al
n. 285 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 218 del 10 agosto 1977;
4) ordinanza emessa il 18 aprile 1977 dal pretore di Pisa nel
procedimento civile vertente tra Lupetti Orilia e l’INPS, iscritta al
n. 388 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 286 del 19 ottobre 1977.
Visti gli atti di costituzione di Matteotti Franco, di Sgaramella
Rosa e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 1979 il Giudice relatore
Giulio Gionfrida;
uditi l’avv. Mattia Persiani, per Sgaramella e l’avv. Paolo Boer,
per l’INPS e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe
Angelini Rota, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1. – Il pretore di Trento, con ordinanza 26 febbraio 1976, emessa
in causa Matteotti contro INPS, ha ritenuto rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, nel testo modificato
dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e sostituito dall’art.
22 legge 21 luglio 1965, n. 903, nella parte in cui subordina il
diritto alla pensione di riversibilità, a favore dei figli
maggiorenni, alla condizione che essi siano inabili alla data del
decesso del genitore; dubitando che tale disposizione contrasti con
l’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata esclusione dal
trattamento pensionistico degli orfani maggiorenni superstiti divenuti
inabili in data successiva. E argomenta anche dal fatto che
disposizione analoga a quella denunziata, contenuta nella legislazione
pensionistica di guerra, ha formato oggetto di declaratoria di
illegittimità costituzionale (sentenza della Corte n. 37 del 1975) con
riguardo appunto alla omessa previsione di rilevanza dell’inabilità
successiva.
2. – Questione sostanzialmente identica è stata sollevata anche
dal pretore di Pisa, con ordinanza 18 aprile 1977 in causa Lupetti-
INPS, e dal tribunale di Bari (che, senza ulteriori motivazioni, ha
indicato a parametro l’art. 38 oltreché l’art. 3 della Costituzione)
con ordinanza 22 aprile 1977 emessa nel procedimento civile tra
Sgaramella e l’INPS; ed, infine, dal pretore di Trieste (ordinanza 5
marzo 1976 in causa De Michelini-INPS), che ha denunziato, accanto
all’art. 13 r.d.l. 1939 citato, anche l’art. 24 della successiva legge
30 aprile 1969, n. 153.
3. – Nel giudizio relativo all’ordinanza del pretore di Trento si
è costituito l’INPS, che ha eccepito l’infondatezza della questione
sollevata, sostenendo che la diversità di trattamento, tra orfani
(maggiorenni) inabili alla morte del genitore ed orfani divenuti
inabili successivamente a tale evento, trarrebbe giustificazione dalla
sostanziale differenza delle fattispecie comparate.
Nello stesso giudizio si è costituito anche l’attore Franco
Matteotti che ha concluso, invece, per la declaratoria di
illegittimità della norma denunziata.
Ed analogamente ha concluso Rosa Sgaramella, costituitasi nel
giudizio relativo alla ordinanza del tribunale di Bari. Quest’ultima
ha motivato la dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione anche
attraverso il richiamo della disciplina stabilita per gli orfani
maggiorenni studenti (cui la pensione di riversibilità spetta se
risultino a carico del defunto e non prestino lavoro retribuito, fino
al 21 o 26 anno di età secondo il tipo di studio), da cui
desumerebbesi, ad avviso della deducente, una attribuzione di rilevanza
a requisiti verificatisi “anche in momenti successivi alla morte del
genitore”.
E ciò in correlazione alla delibera 24 marzo 1972 dell’INPS, la
quale stabilisce che la corresponsione della pensione ai figli studenti
non viene revocata, ma soltanto sospesa, nei periodi di saltuaria
attività lavorativa o di interruzione degli studi, poi ripresi entro
limiti di età fissati dalla legge.
4. – Nel giudizio relativo all’ordinanza del tribunale di Bari è
intervenuto, infine, il Presidente del Consiglio dei ministri che, in
relazione al profilato accostamento della disciplina dei figli
superstiti di pensionato INPS con quella degli orfani di pensionato di
guerra, ha posto l’accento sulla diversità di ispirazione dei due
detti regimi pensionistici.
1. – I quattro giudizi relativi alle ordinanze in epigrafe
sollevano la medesima questione di legittimità costituzionale, per cui
vengono riuniti e decisi con unica sentenza.
2. – La Corte è chiamata a decidere della legittimità
costituzionale dell’art. 13 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, come
modificato dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, a sua volta
sostituito dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, per la
parte in cui subordina la riversibilità, in favore dei figli
maggiorenni invalidi superstiti di lavoratore assicurato o pensionato
INPS, alla condizione che l’inabilità sussista “al momento del decesso
del genitore”.
Tale disposizione si assume in contrasto con l’art. 3 (dal
tribunale di Bari richiamato anche in collegamento all’art. 38) della
Costituzione, per l’irrazionale ed ingiustificata esclusione, dal
trattamento pensionistico, dei figli superstiti maggiorenni inabili “da
data successiva alla morte del genitore”; argomentando anche dal fatto
che l’analoga disciplina stabilita dalla legislazione pensionistica di
guerra (art. 63 legge 1950 n. 648 e art. 51 legge 1968, n. 313) ha
formato oggetto di declaratoria di illegittimità per contrasto con
l’art. 3 della Costituzione e con riguardo proprio alla esclusione di
rilevanza della inabilità successiva.
3. – La questione non è fondata.
La diversa valutazione fatta dalla legge, ai fini dell’attribuzione
della pensione di riversibilità, della permanente inabilità al lavoro
di soggetti maggiorenni, secondo che essa sia pregressa o successiva al
decesso di genitore assicurato o pensionato dell’INPS, è invero
giustificata dalla sostanziale diversità delle situazioni comparate,
quale discende dall’esistenza, nell’un caso e non anche nell’altro, di
un nesso di dipendenza causale tra lo stato di bisogno dell’inabile o
l’evento morte del rispettivo genitore.
Nel sistema della pensione di riversibilità, lo stato di bisogno
si pone, infatti, nei riguardi di categorie di superstiti del
lavoratore come i figli maggiorenni e i collaterali, quale presupposto
costante del trattamento pensionistico (vedi la sentenza n. 6 in pari
data) ed esso viene a dipendere da una situazione pregressa di vivenza
a carico del lavoratore defunto (cfr. anche Corte cost. 1963 n. 123) e
dalla sua interruzione per effetto, appunto, del decesso.
Il trattamento di riversibilità realizza cioè una garanzia di
“continuità” del sostentamento al superstite; in funzione della quale
si spiega la decorrenza di detta pensione (non dal momento della
domanda, come per le altre forme previdenziali, ma) dal primo giorno
del mese successivo a quello in cui è avvenuto il decesso
dell’assicurato o pensionato (art. 5 d.l.l. 18 gennaio 1945, n. 39).
Ora è di tutta evidenza che tali presupposti della riversibilità
si verificano appunto nei riguardi del figlio maggiorenne, inabile al
momento del decesso dell’assicurato o del pensionato.
Solo in questa ipotesi la vivenza a carico del genitore, in quanto
non consistente in un mero fatto accidentale, ma dipendente dalle
condizioni fisiche che impediscono di provvedere al proprio
sostentamento, acquista rilevanza ai fini previdenziali in ragione
della situazione di bisogno determinata dalla interruzione della detta
fonte di sostentamento.
Gli stessi presupposti vengono invece a mancare nei rispetti degli
orfani maggiorenni divenuti invalidi in epoca successiva (e potrebbe
essere anche di molto) dal decesso del genitore; la eventuale
situazione di bisogno dei quali ultimi viene a prospettarsi senza
collegamento temporale e causale rispetto all’evento morte del
familiare, in dipendenza unicamente della causa invalidante: come tale
idonea eventualmente ad attivare altre più specifiche forme di tutela
previdenziale.
Né vale in contrario l’argomento (formulato in comparsa e
successive deduzioni della parte privata Sgaramella) che, nel caso di
figli maggiorenni studenti, si darebbe rilievo, ai fini
dell’attribuzione del trattamento di riversibilità, a requisiti
verificatisi “anche in momenti successivi alla morte del genitore”. La
disposizione all’uopo richiamata (e desunta da una circolare INPS del
24 marzo 1972) – secondo cui la corresponsione della pensione a tali
soggetti non viene revocata ma soltanto sospesa nei periodi di
saltuaria attività lavorativa o di interruzione degli studi poi
ripresi entro limiti di età fissati dalla legge – attiene con tutta
evidenza non già al conseguimento del diritto a pensione, sibbene
soltanto agli effetti (valutati come sospensivi e non interruttivi) di
determinati eventi o comportamenti rispetto ad un trattamento
pensionistico già conseguito.
Infine, del pari privo di consistenza è l’ultimo argomento che si
ritiene di trarre dal fatto che nella legislazione pensionistica di
guerra, per effetto della ricordata sentenza n. 37 del 1975 di questa
Corte, l’inabilità. lavorativa rilevi, per i figli maggiorenni,
indipendentemente dal momento di insorgenza.
Infatti, come si desume dalla motivazione della stessa sentenza
citata, le ragioni poste a base di quella pronuncia sono peculiari al
regime delle pensioni di guerra (e non pertinenti al diverso sistema
delle assicurazioni generali obbligatorie), essendosi ritenuto che la
uniformità di trattamento, senza riguardo all’epoca della insorgenza
della inabilità, rispondesse all’esigenza “di ordine naturale ed
etico”, propria della legislazione pensionistica di guerra, di
assicurare “agli orfani di guerra, quali discendenti immediati del de
cuius, un trattamento di particolare favore”.
4. – Quanto all’art. 24 della legge 1969 n. 153, va osservato che
esso, erroneamente richiamato dal pretore di Trento, non attiene alla
disciplina impugnata.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 13 r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (contenente disposizioni
sulle assicurazioni obbligatorie per l’invalidità e la vecchiaia, per
la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria) modificato
dall’art. 2 della legge 4 aprile 1952, n. 218, e sostituito dall’art.
22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (avviamento alla riforma e
miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale),
nella parte in cui subordina il diritto a pensione di riversibilità
degli orfani maggiorenni inabili al lavoro alla condizione che
l’inabilità sussista “al momento del decesso” del genitore, sollevata
in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione con le ordinanze in
epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – ANTONINO DE STEFANO –
LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN –
ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere