Ordinanza N. 463 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale
MARINI;
del d.-l. 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia
tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di
finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni,
nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ordinanza emessa il
24 luglio 1997 dal pretore di Salerno nelle procedure esecutive
riunite proposte da Ind. Medica Sorrentino Vincenzo Figli ed altri
nei confronti della Gestione liquidatoria ex USL 53 di Salerno ed
altra iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie
speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il giudice
relatore Annibale Marini.
Ritenuto che nel corso di un procedimento di espropriazione presso
terzi il pretore di Salerno, con ordinanza del 24 luglio 1997, ha
sollevato – in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 41, primo
comma e 81, quarto comma, della Costituzione – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.-l. 31
dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria,
finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza
pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge
28 febbraio 1997, n. 30, “quanto meno nella parte in cui estende
l’onere della notificazione ogniqualvolta sia intrapresa una nuova
procedura esecutiva sul medesimo titolo”;
che, ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata – che
pone il divieto per i creditori di procedere ad esecuzione forzata in
danno delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non
economici, in forza di provvedimenti giurisdizionali e lodi
arbitrali, prima del decorso del termine di sessanta giorni dalla
notificazione del titolo esecutivo – essendo giustificata dal
preminente interesse generale alla preservazione del patrimonio
pubblico, dovrebbe essere interpretata nel senso della necessità di
una nuova notificazione del titolo esecutivo ogniqualvolta si intenda
procedere, sulla base del medesimo titolo, ad una nuova azione
esecutiva;
che – ad avviso dello stesso rimettente – l’onere di
notificazione (e rinotificazione) del titolo dovrebbe altresì
estendersi, per ragioni logiche, anche ai titoli non giudiziali;
che la disposizione denunciata, così interpretata,
determinerebbe un indubbio svantaggio per il creditore procedente ed
un irragionevole privilegio a favore della Pubblica Amministrazione
esecutata, rispetto alla generalità degli altri debitori, violando
così il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della
Costituzione;
che la stessa disposizione si porrebbe poi in contrasto con
l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, non solo perché essa
imporrebbe al creditore che intenda agire in sede esecutiva un
gravoso onere sanzionato da un’improcedibilità rilevabile d’ufficio,
ostacolando in tal modo una effettiva tutela del suo diritto di
credito, ma anche perché determinerebbe una graduazione puramente
temporale delle ragioni creditorie, in contrasto con il principio
della par condicio di cui all’art. 2741 del codice civile;
che la disposizione citata violerebbe altresì l’art. 41, primo
comma, della Costituzione, costringendo il creditore, nelle more del
soddisfacimento delle proprie ragioni, a ricorrere al mercato
finanziario ed a sopportare i relativi oneri, nonché l’art. 81,
quarto comma, della Costituzione, perché dall’aggravio degli
adempimenti procedurali in sede esecutiva deriverebbe un
appesantimento degli oneri economici finali a carico della pubblica
Amministrazione, senza la previsione della relativa copertura
finanziaria;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione;
che secondo la difesa erariale la posizione di pubblica
amministrazione debitrice si connoterebbe di specifiche peculiarità
e renderebbe, pertanto, improponibile il confronto con il trattamento
riservato a qualunque altro debitore e inconsistente il sospetto di
violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che, quanto alle ulteriori censure, esse muoverebbero da un
presupposto interpretativo – quello della pretesa necessità di una
reiterata notificazione del titolo esecutivo ogni qualvolta il
creditore intenda procedere ad esecuzione forzata – non giustificato
dal tenore della norma;
che, quindi, l’unica deroga alla disciplina comune sarebbe quella
dell’imposizione di un termine di procedibilità dell’azione
esecutiva che, per la sua limitata durata, non violerebbe il
principio della effettività della tutela giurisdizionale né quello
della libertà di iniziativa economica privata garantito dall’art. 41
della Costituzione, tanto più in quanto la contenuta “moratoria”
appare un fattore irrilevante ai fini dell’asserito ricorso del
creditore al mercato finanziario;
che, infine, sarebbe inesistente l’asserito aggravio di spese
derivante dalla ipotizzata reiterazione di notificazioni; con
conseguente inammissibilità del profilo di illegittimità
prospettato in relazione all’art. 81, quarto comma, della
Costituzione.
Considerato che la questione di costituzionalità della
disposizione denunciata è stata già dichiarata infondata da questa
Corte in riferimento al parametro di cui all’art. 3 della
Costituzione sul rilievo che la norma “accordando alle
amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici,
attraverso il differimento dell’esecuzione, uno spatium adimplendi
per l’approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei
crediti azionati, persegue lo scopo di evitare il blocco
dell’attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di
fondi, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla
realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata
gestione delle risorse finanziarie pubbliche” (sentenza n. 142 del
1998);
che la violazione degli altri parametri viene evocata dal
rimettente muovendo da un erroneo presupposto interpretativo
consistente nella necessità di una nuova notificazione del titolo
esecutivo quale condizione di procedibilità di ogni successiva
procedura esecutiva fondata su di esso;
che in proposito va premessa l’esistenza, nella disciplina
codicistica dell’esecuzione forzata, di un principio generale di
unicità della notificazione del titolo esecutivo, desumibile sul
piano sistematico sia dalla circostanza che per il titolo esecutivo,
diversamente dal precetto, non sono sanciti termini legali di
efficacia (ferma sempre restando l’applicabilità della disciplina
generale in tema di prescrizione), sia dalla previsione del rilascio
di una sola copia in forma esecutiva, salva l’ipotesi di perdita
incolpevole (art. 476 del codice di procedura civile e art. 154 delle
disposizioni di attuazione dello stesso codice);
che la disposizione denunciata non deroga al suddetto principio
di unicità della notificazione del titolo esecutivo, non potendosi
desumere tale deroga né da un’interpretazione testuale della
disposizione de qua, non soccorrendo nella stessa alcun elemento in
tal senso, né dalla ratio legis, ben potendo l’esigenza, richiamata
dal rimettente, di consentire all’amministrazione un costante
controllo sul debito portato dal titolo esecutivo, essere
adeguatamente soddisfatta, in caso di nuova esecuzione, dalla
necessaria notificazione di un nuovo atto di precetto;
che non sussiste pertanto la lamentata lesione dell’effettività
della tutela giurisdizionale del creditore derivante, secondo il
giudice a quo, dalla necessità di reiterate notifiche del medesimo
titolo esecutivo, comportanti il decorso di altrettanti termini
dilatori;
che, per quanto riguarda la censura relativa al parametro di cui
all’art. 41, primo comma, della Costituzione, deve escludersi che il
principio della libertà di iniziativa economica privata possa
ritenersi violato da una disposizione, come quella denunciata, che,
prevedendo un termine dilatorio per l’esperimento dell’azione
esecutiva, non costituisce per ciò solo inevitabile ragione di un
oneroso ricorso al mercato finanziario;
che le considerazioni svolte in ordine alla insussistenza di un
onere di rinotificazione del titolo esecutivo rendono altresì palese
l’infondatezza della censura formulata in relazione al parametro di
cui all’art. 81, quarto comma, della Costituzione, non comportando la
norma denunciata alcun aggravio di spesa a carico della pubblica
amministrazione;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.-l. 31 dicembre 1996, n.
669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e
contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per
l’anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio
1997, n. 30, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo
comma, 41, primo comma e 81, quarto comma, della Costituzione, dal
pretore di Salerno, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Marini
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola