Sentenza N. 141 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO, – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
Codice penale, promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1966 dal
Tribunale di Padova nel procedimento penale a carico di Garbo Giuseppe
ed altri, iscritta al n. 141 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 226 del 10 settembre
1966.
Udita nella camera di consiglio del 7 novembre 1967 la relazione
del Giudice Francesco Paolo Bonifacio.
1. – Nel procedimento penale di appello a carico di Garbo Giuseppe
ed altri il Tribunale di Padova, su istanza del pubblico ministero, ha
sollevato una questione di legittimità costituzionale concernente
l’art. 505 del Codice penale.
Nell’ordinanza di rimessione il Tribunale osserva che, poiché la
citata disposizione prevede la serrata per protesta in modo affatto
generico, si pone il problema di accertare se nella sua disciplina
ricadano anche casi la cui punizione risulti illegittima in relazione
ai principi enunciati negli artt. 35, 39, 40 e 41 della costituzione.
Posta questa premessa, il Tribunale rileva che la protesta avente la
finalità di richiamare l’attenzione del legislatore sulle conseguenze
negative di particolari provvedimenti rientra nei diritti del
cittadino: in particolare, quella diretta contro norme che riguardano
la condizione tributaria, amministrativa, ed economica dell’azienda
costituisce esplicazione di un’azione sindacale legittima a norma degli
artt. 35 e 39 della costituzione. Da ciò conseguirebbe, secondo
l’ordinanza, anche la liceità della protesta attuata a mezzo di
serrata, atteso che quest’ultima costituisce esercizio del diritto
generale di libertà quando sia diretta al conseguimento di un fine
economico connesso con la azienda. E poiché la precedente pronunzia
della Corte sull’art. 505 del Codice penale – sentenza n. 123 del 1962
– ha avuto ad oggetto solo lo sciopero per solidarietà, il giudice a
quo ravvisa la necessità di uno specifico controllo costituzionale
della compatibilità della serrata per protesta con il principio di
libertà sindacale e solleva la relativa questione, rilevante e non
manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 35 e 39 della
costituzione.
2. – L’ordinanza, letta nella pubblica udienza del 13 gennaio 1966,
è stata ritualmente notificata al Presidente del Consiglio dei
Ministri, comunicata ai Presidenti delle due Camere e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 226 del 10 settembre 1966.
Nel presente giudizio nessuna delle parti si è costituita. La
causa viene decisa, pertanto, in camera di consiglio a norma dell’art.
26 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
1. – L’art. 505 del Codice penale punisce lo sciopero dei
lavoratori e la serrata dei datori di lavoro che siano effettuati
soltanto per solidarietà o soltanto per protesta. Dall’ordinanza di
rimessione risulta che la disposizione viene impugnata solo nella parte
relativa alla serrata per protesta, e non anche nella parte concernente
la serrata per solidarietà con gli altri datori di lavoro.
Per quanto riguarda le norme costituzionali di raffronto deve
essere rilevato che il Tribunale di Padova – ancorché sia partito
dalla premessa che “preliminare alla decisione di merito appare la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 505 del Codice
penale per quanto attiene alla serrata per protesta in relazione ai
principi di cui agli artt. 35, 39, 40 e 41 della costituzione” – ha
specificamente chiesto che il controllo di legittimità venga condotto
in riferimento agli artt. 35 e 39 della costituzione. È quindi solo in
relazione a queste due norme che la questione è stata proposta dal
giudice a quo e va decisa da questa Corte.
2. – La questione, così individuata e delimitata, non può essere
risolta, come mostra di ritenere il Tribunale di Padova, con una
meccanica trasposizione dei motivi enunciati nella sentenza n. 123 del
1962. E ciò sia perché in quella occasione l’art. 505 del Codice
penale venne esaminato solo nella parte riguardante lo sciopero di
solidarietà e non anche in quella relativa allo sciopero per protesta,
sia perché la valutazione costituzionale dello sciopero e della
serrata va condotta con specifico riferimento alla definizione ed ai
limiti dell’uno e dell’altra, atteso che solo al primo, come la Corte
accertò nella sentenza n. 29 del 1960, compete la qualifica di diritto
“costituzionalmente riconosciuto”.
3. – L’art. 505 del Codice penale, mentre sufficientemente delimita
lo scopo immediato della serrata presa in considerazione (l’avverbio
“soltanto” esplicitamente esclude dalla fattispecie normativa la
serrata indirizzata ad altre finalità), non specifica nella sua
dizione letterale né il soggetto verso il quale la protesta è
diretta, né i fatti ai quali essa vuol reagire: sicché può porsi il
problema se la norma penale comprenda anche quella protesta che per
l’occasione che la motiva o per il destinatario al quale si rivolge
inerisca agli interessi del soggetto come parte di un rapporto di
lavoro.
Ad avviso della Corte per risolvere tale dubbio occorre por mente
al sistema normativo nel quale l’art. 505 del Codice penale si
inserisce: più precisamente, al sistema ora in vigore quale risulta a
seguito della sentenza n. 29 del 1960. La scomparsa dall’ordinamento
dell’art. 502 del Codice penale – ispirato, come in quella occasione la
Corte ebbe ad accertare, ai principi corporativi inconciliabili con i
nuovi principi costituzionali – ha fatto venir meno la illiceità penale
della serrata per fini contrattuali, e di ciò l’interprete non può
non tener conto nella ricostruzione ed individuazione dei precetti
contenuti in tutte le altre norme penali che la contemplano. Ciò
consente di attribuire all’art. 505 del Codice penale, nella parte qui
considerata, un significato restrittivo che – senza che in alcun modo
sia violata la lettera della legge (la quale, giova ripeterlo, nulla
dice in proposito) – trova giustificazione in un ordinamento nel quale
la serrata posta in essere nell’ambito del rapporto di lavoro e per
influire sulla disciplina di esso è penalmente lecita. Si può
concludere, perciò, che dalla previsione attuale dell’art. 505 del
Codice penale esula la serrata attuata per protesta contro fatti che a
quel rapporto si riferiscono.
4. – Una volta riconosciuto che l’art. 505 del Codice penale
incrimina solo la serrata per protesta che venga effettuata per ragioni
estranee alla disciplina del lavoro, la questione di legittimità
appare non fondata.
Non pertinente, anzitutto, è il richiamo all’art. 35 della
costituzione, il quale “tutela il lavoro in tutte le sue forme ed
applicazioni”. È evidente, infatti, che il soggetto di tale previsione
costituzionale è il lavoratore e non già il datore di lavoro, la cui
libertà di iniziativa e di azione trova garanzia, su altro piano e
con ben diverso regime, nell’art. 41 della costituzione, il quale, come
innanzi si è detto, non viene qui in discussione.
Passando all’esame del profilo della questione relativo allo art.
39 della costituzione, la Corte ritiene che non vi sia dubbio che la
libertà di organizzazione sindacale debba trovare il necessario suo
corollario nella libertà di azione sindacale, giacché ove
quest’ultima fosse rinnegata anche la prima finirebbe col ridursi ad un
principio privo di contenuto e di significato. Tuttavia proprio
l’intima connessione fra l’una e l’altra sta a dimostrare che l’azione
sindacale deve essere definita nei termini che alla sua funzione sono
coessenziali (cfr., a proposito dello sciopero, sent. n. 123 del 1962)
e che vanno precisati nel quadro dei rapporti fra datori di lavoro e
lavoratori: con la conseguenza che ad essa ed alla sua tutela
costituzionale appaiono estranei tutti quei comportamenti che non si
collochino nell’ambito di quei rapporti. Non può perciò accogliersi
l’opinione del giudice a quo, secondo la quale la serrata dovrebbe
essere lecita “ogni qual volta sia diretta al conseguimento di un fine
economico connesso con l’attività aziendale”.
Vero è che nella sentenza n. 123 del 1962 questa Corte ha
ritenuto che il diritto di sciopero è legittimamente esercitabile in
funzione di tutte le rivendicazioni riguardanti il complesso degli
interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme racchiuse
sotto il titolo terzo della parte prima della costituzione. Ma è da
considerare che ciò trova fondamento nella circostanza che le varie
provvidenze previste ineriscano tutte alla qualifica del soggetto come
lavoratore, laddove “il fine economico connesso con l’attività
aziendale” va collegato all’interesse del soggetto considerato come
imprenditore: in funzione, cioè, di un’attività che non rientra nella
garanzia offerta dall’art. 39 della costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale –
sollevata dal Tribunale di Padova in riferimento agli artt. 35 e 39
della costituzione – dell’art. 505 del Codice penale nella parte
relativa al datore di lavoro che soltanto per protesta sospende in
tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende od uffici.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI-ANTONINO PAPALDO –
NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO –
BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.