Ordinanza N. 162 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
10/05/1999
Data deposito/pubblicazione
10/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica) promossi con n. 2 ordinanze depositate il 29 aprile
1998 dal Tribunale di Catania sui reclami proposti da G.A. e da L.R.
contro l’Azienda ospedaliera Garibaldi – S. Luigi – S. Currò –
Ascoli – Tomaselli iscritte ai nn. 424 e 425 del registro ordinanze
1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24
prima serie speciale dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 24 marzo 1999 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che il Tribunale di Catania – sezione lavoro, adito in
distinti giudizi di reclamo cautelare da parte di un’ostetrica e di
un infermiere per il mantenimento, oltre il termine prefissato di tre
mesi, della convenzione stipulata ai fini dell’espletamento del
servizio di interruzione della gravidanza con l’azienda ospedaliera
Garibaldi – S. Luigi – S. Currò – Ascoli – Tomaselli, ha sollevato,
con due ordinanze di identico contenuto depositate il 29 aprile 1998,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 23 e 24,
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica), in riferimento agli artt. 32, primo comma, e 97
primo comma della Costituzione;
che, secondo il Tribunale di Catania, il termine massimo di tre
mesi della durata dei suddetti rapporti è stato stabilito
direttamente dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, in quanto l’art.
3, al comma 23, pone il divieto per le pubbliche amministrazioni di
“assumere personale a tempo determinato e di stabilire rapporti di
lavoro autonomo per prestazioni superiori a tre mesi”, e, al comma
24, prevede una serie di deroghe a tale divieto, fra le quali non
potrebbero però farsi rientrare i rapporti convenzionali dedotti in
giudizio;
che, ad avviso dei rimettenti, qualora, come nei casi in esame,
l’espletamento del servizio di interruzione della gravidanza dipenda
integralmente da rapporti convenzionali con addetti esterni,
eventualmente anche di difficile e gravoso reperimento per l’Azienda
ospedaliera, l’obbligo di un loro ricambio trimestrale pone a rischio
la stessa erogazione del servizio, e quindi viola l’art. 32, primo
comma, della Costituzione;
che le norme denunziate, secondo i giudici a quibus si pongono in
contrasto anche con l’art. 97, primo comma, della Costituzione, in
quanto la reiterata sostituzione ogni tre mesi del personale
ausiliario addetto al servizio ne impedirebbe lo svolgimento secondo
le forme ed i modi richiesti dalla sua peculiare natura e, in
particolare, non permetterebbe la necessaria continuità del rapporto
con le pazienti;
che il Tribunale, nel corso dei medesimi giudizi, aveva già
sollevato la stessa questione di costituzionalità e che questa
Corte, con ordinanza n. 439 del 16 dicembre 1997, aveva disposto la
restituzione degli atti affinché i giudici a quibus ne esaminassero
la perdurante rilevanza alla luce della disciplina sopravvenuta
recata dall’art. 1, commi 45 e 46, della legge 23 dicembre 1996, n.
662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
che le ordinanze di rimessione ripropongono la questione di
costituzionalità, sostenendo che tali sopravvenienti disposizioni –
comunque inapplicabili ai rapporti sorti anteriormente alla loro
entrata in vigore, quali quelli in esame – non avrebbero innovato il
quadro normativo di riferimento, in quanto riguardano “esclusivamente
i rapporti di lavoro subordinato”, “non anche quelli autonomi, a
struttura convenzionata”, e non influirebbero comunque sugli
strumenti a disposizione degli ospedali per l’organizzazione del
servizio di interruzione della gravidanza, apparendo difatti
“verosimile ritenere che in concreto si continuerà a preferire (…)
il ricorso alle prestazioni di personale autonomo”;
che il Presidente del Consiglio dei Ministri non è intervenuto
in giudizio, né si sono costituite le parti private.
Considerato che le due ordinanze hanno ad oggetto la stessa
questione e, pertanto, va disposta la riunione dei giudizi, perché
siano decisi con un’unica pronuncia;
che il Tribunale di Catania dubita della legittimità
costituzionale dell’art. 3, commi 23 e 24, della legge 24 dicembre
1993, n. 537, in quanto il divieto previsto per le Aziende
ospedaliere di assumere personale a tempo determinato, nonché di
stipulare rapporti di prestazione d’opera per un tempo superiore a
tre mesi, renderebbe difficoltoso, quando non pregiudicherebbe,
l’espletamento del servizio di interruzione della gravidanza;
che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate è stata
innovata anteriormente alle due ordinanze di rimessione, entrambe
depositate in data 29 aprile 1998, e, quindi, prima della
proposizione della presente questione di costituzionalità;
che, infatti, prima di detta data è entrato in vigore il decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di
organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni
pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di
giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’art. 11,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), il cui art. 43, comma 4,
ha abrogato espressamente l’art. 3, comma 23, della legge n. 537 del
1993, oggetto, insieme al successivo comma 24, della questione di
costituzionalità, e che detta abrogazione, in ragione della
formulazione delle due disposizioni censurate, rende inapplicabile
anche la norma dello stesso comma 24;
che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora le
disposizioni censurate siano state abrogate anteriormente alla
proposizione della questione di costituzionalità, il giudice
rimettente ha l’onere di specificare in modo rigoroso i motivi della
perdurante rilevanza della questione (da ultimo, ordinanze n. 52 e n.
53 del 1999);
che il Tribunale di Catania nel caso di specie non ha assolto
siffatto onere, in quanto i provvedimenti di rimessione omettono di
valutare l’incidenza sui giudizi principali dell’abrogazione espressa
delle disposizioni che sottopongono all’esame di costituzionalità, e
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 23 e 24,
della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di
finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 32, primo
comma, e 97, primo comma della Costituzione, dal Tribunale di Catania
– Sezione lavoro con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola