Sentenza N. 238 del 1975
Corte Costituzionale
Data generale
17/12/1975
Data deposito/pubblicazione
17/12/1975
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/12/1975
DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof.
VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI –
Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA
– Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONIO DE
STEFANO, Giudici,
del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 17
aprile 1973 dal pretore di Cavarzere nel procedimento civile vertente
tra Stoppa Romolo e Cappello Luigi, iscritta al n. 360 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n.276 del 24 ottobre 1973.
Udito nell’udienza pubblica del 29 ottobre 1975 il Giudice relatore
Nicola Reale.
Con atto in data 24 marzo 1973 Stoppa Romolo, titolare di una
azienda agricola, intimava a Cappello Luigi, già alle sue dipendenze
in qualità di salariato agricolo, lo sfratto da una casa di
abitazione, assumendo che il godimento della medesima era stato
concesso in relazione ad una prestazione di lavoro ormai cessata da
tempo. L’intimato non contestava quanto dedotto ex adverso ma si
limitativa ad affermare di non poter rilasciare l’immobile non essendo
ancora riuscito a trovare un’abitazione diversa.
Il giudice a quo, dovendo pronunciarsi sulla convalida dello
sfratto, ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 2 e 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 659
e 665 del codice di procedura civile, sotto il profilo dell’irrazionale
disparità di trattamento (in relazione alla tutela dell’interesse
primario a disporre di una casa di abitazione) che essi
determinerebbero a danno del prestatore d’opera, cui in considerazione
dell’attività svolta sia stato concesso il godimento di una
abitazione, rispetto alla generalità degli altri conduttori che,
invece, possono beneficiare delle proroghe previste dalla disciplina
vincolistica delle locazioni.
L’ordinanza è stata ritualmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 276 del 24 ottobre 1973, Non vi
è stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Si è
invece costituito Stoppa Romolo, ma oltre il termine consentito dalla
legge onde la sua costituzione è stata con separata ordinanza
dichiarata inammissibile.
1. – L’art. 659 del codice di procedura civile prevede che se il
godimento di un immobile costituisce il corrispettivo, anche parziale,
di una prestazione d’opera può essere intimato lo sfratto o la licenza
quando il contratto viene a cessare per qualsiasi causa ed il sucessivo
art. 665 dispone, tra l’altro, che, se l’opposizione dell’intimato non
è fondata su prova scritta e se non sussistono gravi motivi in
contrario, il pretore pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio
con riserva delle eccezioni del convenuto. Il giudice a quo (chiamato
ad applicare dette norme in sede di convalida di uno sfratto intimato
dal titolare di una azienda agricola ad un salariato suo ex dipendente
che, pur essendosi licenziato ed avendo trovato occupazione altrove, si
opponeva al rilascio della casa di abitazione a suo tempo concessagli
in godimento in dipendenza del lavoro espletato, e ciò allegando di
non aver ancora trovato un’altra abitazione) prospetta il dubbio che le
norme in oggetto contrastino, singolarmente e nel loro combinato
disposto, con i principi di cui agli artt. 2 e 3, comma primo, della
Costituzione.
2. – Si assume nell’ordinanza che il principio sancito nell’art.
659 può apparire sorretto da una valida giustificazione in quei casi
in cui il lavoro ed il godimento dell’immobile sono talmente
compenetrati da costituire un tutto inscindibile ma non anche se il
collegamento tra i due elementi è meramente estrinseco ed accidentale
o quando il godimento dell’immobile assume un’importanza preminente
rispetto alla prestazione di lavoro.
La norma impugnata detterebbe, invece, una disciplina uniforme per
tutti i casi di connessione tra prestazione d’opera e godimento di un
immobile, senza distinguere tra le varie e diverse ipotesi che possono
presentarsi nella realtà economica e sociale: ed, in particolare,
senza distinguere tra l’ipotesi in cui sia prevalente l’elemento lavoro
e quella in cui preminente sia, viceversa, il godimento dell’immobile;
nonché tra l’estinzione del rapporto di lavoro per scadenza del
termine finale e la cessazione del medesimo per risoluzione o per altra
causa.
Di qui i dubbi del giudice a quo sulla compatibilità dell’art. 659
c.p.c. con gli artt. 2 e 3, comma primo, Cost. per l’irrazionale
disparità di trattamento (in relazione all’interesse primario a
disporre di una casa di abitazione) che esso determinerebbe in danno di
soggetti che si trovano a godere di un immobile in dipendenza
dell’attività di lavoro da essi svolta e, soprattutto, in danno di
conduttori-prestatori d’opera esposti al rischio di dover rilasciare
senza indugio l’immobile alla cessazione del rapporto di lavoro, anche
per cause ad essi non imputabili; e ciò in confronto della generalità
degli altri conduttori, che possono invece beneficiare del regime ben
più favorevole della proroga legale. Ed i dubbi, sempre secondo
l’ordinanza riguarderebbero, anche l’art. 665 c.p.c., in considerazione
dell’ulteriore pregiudizio che la particolare speditezza del
procedimento in esso previsto potrebbe arrecare alla posizione del
conduttore-prestatore d’opera sottoposto all’intimazione di licenza di
sfratto ai sensi del già citato art. 659 c.p.c.
3. – Le questioni non sono fondate sotto alcun profilo.
Va considerato, innanzi tutto, che l’art. 659 c.p.c., secondo
l’opinione comunemente seguita, può ricevere applicazione solo quando
la cessazione del rapporto di prestazione d’opera non è più
controversa. Pertanto non v’è ragione di dolersi della mancata
distinzione tra le varie ipotesi di scioglimento del rapporto, e
segnatamente tra quella di scadenza del termine prefissato e quella di
licenziamento illegittimo, ipotizzate dal giudice a quo, dal momento
che in entrambi i casi il rilascio dell’immobile, osservandosi la
speciale procedura di cui all’articolo 659, può essere ordinato solo
quando relativamente allo scioglimento non sussista più contestazione.
Si ricava poi dai lavori preparatori e dal testo della norma
impugnata che il legislatore ha inteso riferirsi a quelle situazioni in
cui il godimento dell’immobile non trova la sua fonte in un distinto
contratto di locazione ma in un contratto di lavoro; a quelle ipotesi,
cioè, nelle quali la concessione del godimento di un immobile non è
fine a se stessa ma riveste nell’economia del contratto, che appunto
per questo è caratterizzato da una diversa funzione economico-sociale,
una rilevanza accessoria e non primaria, ricollegata alla prestazione
d’opera.
Al contrario, la disciplina vincolistica delle locazioni presuppone
– come è noto – proprio l’esistenza di un tipico contratto di
locazione, e quindi di un contratto nel quale la concessione del
godimento dell’immobile verso corrispettivo costituisce l’oggetto
essenziale delle pattuizioni delle parti.
Le situazioni sono quindi diverse. E ciò è sufficiente, secondo i
principi costantemente affermati da questa Corte, per escludere che
l’applicazione dell’art. 659 c.p.c., razionalmente interpretato in
riferimento alle singole fattispecie, la cui identificazione è
riservata al giudice, comporti violazione dell’art. 3 della
Costituzione.
4. – Per quanto concerne in modo specifico l’art.665 c.p.c. (che
peraltro è stato impugnato non tanto separatamente quanto per i suoi
riflessi sull’art. 659) è agevole osservare che se, per quanto si è
detto, l’esclusione della proroga legale e la correlativa previsione
del potere di intimare lo sfratto e la licenza per finita locazione
sono giustificate nelle ipotesi previste dall’art. 659 c.p.c., non può
poi ritenersi che il procedimento che dall’esercizio di quel potere
trae origine determini, di per sé, tra il prestatore d’opera, cui è
applicabile l’articolo predetto ed i titolari di un rapporto locatizio,
destinatari della disciplina vincolistica, una disparità di
trattamento tale da violare l’art. 3 della Costituzione.
E ciò tanto più se si considera che questa Corte con reiterate
pronuncie ha, sia pure sotto profili parzialmente diversi, riconosciuto
che detto procedimento è adeguatamente giustificato dalla specialità
della materia e che le sue caratteristiche non ledono il diritto alla
difesa, tutelata dall’art. 24 della Costituzione; ciò sul riflesso che
le norme del procedimento ordinario non sono le sole che assicurino la
tutela giurisdizionale e che quindi è da ritenere legittima la
creazione di un sistema che abbia riguardo alle particolarità del
rapporto da regolare ai fini della salvaguardia d’interessi ritenuti
degni di protezione giuridica (sent. n. 89 del 1972; n. 94 del 1973 e
n. 171 del 1974).
5. – Gli artt. 659 e 665 c.p.c. sono impugnati anche con
riferimento all’art. 2 Cost., ma senza alcun collegamento immediato e
diretto con altre norme della Costituzione.
Anche tale questione è pertanto infondata posto che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, l’art. 2 si limita a proclamare in via
generale l’inderogabile valore di quei diritti che formano il
patrimonio inalienabile della persona umana, mentre è nelle norme
successive che essi sono poi presi singolarmente in considerazione e,
come tali, garantiti e tutelati (sent. n. 33 del 1974 e n. 37 del
1969).
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 659 e 665 del codice di procedura civile sollevate in
riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione dal pretore di
Cavarzere con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1975.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – NICOLA REALE –
PAOLO ROSSI – LEONETTO AMADEI –
GIULIO GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO
ANTONIO DE STEFANO.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere