Sentenza N. 139 del 1977
Corte Costituzionale
Data generale
06/12/1977
Data deposito/pubblicazione
06/12/1977
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/11/1977
OGGIONI – Avv. LEONETTO AMADEI – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO
ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof.
LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott.
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO
PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE, Giudici,
legge 14 aprile 1975, n. 103 (nuove norme in materia di diffusione
radiofonica e televisiva), promosso con ordinanza emessa il 30 dicembre
1975 dal pretore di Roma, sui ricorsi del segretario del partito
radicale e dei componenti del Comitato promotore del referendum
abrogativo delle norme del codice penale in materia di aborto contro la
Radiotelevisione, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1976 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 31 marzo
1976.
Visti gli atti di costituzione del partito radicale, del Comitato
promotore del referendum, della RAI, nonché l’atto d’intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 1977 il Giudice relatore
Alberto Malagugini;
uditi gli avvocati Egidio Tosato, Paolo Barile e Alessandro Pace,
per la RAI, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio
Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Con due distinti ricorsi in data 30 ottobre 1975, il Partito
Radicale, nella persona del suo segretario nazionale, ed i signori
Marisa Galli, Lino Zanetti e Marco Pannella, nella qualità di
componenti del Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme
del codice penale in materia di aborto, chiedevano al pretore di Roma,
in via cautelativa e di urgenza ai sensi dell’art. 700 del
cod.proc.civ., specificatamente e rispettivamente: il Partito Radicale
che fosse ingiunto alla società concessionaria del pubblico servizio
radiotelevisivo RAI-TV s.p.a. di ammetterlo alle trasmissioni
radiofoniche e televisive preordinate agli interventi ufficiali dei
partiti italiani (conferenze stampa, tribuna politica ecc.) e di
riservargli appropriati tempi di trasmissione per la diffusione del
proprio pensiero politico; i componenti del Comitato promotore del
referendum abrogativo (di cui sopra) che fosse imposto alla medesima di
riservare al ricorrente Comitato “congrui tempi di trasmissione
radiotelevisiva, sia per fornire informazioni dirette a più vasto
pubblico degli utenti, sia per partecipare con
partiti-gruppi-associazioni-organismi, già ammessi al mezzo
radiotelevisivo a dibattiti e conferenze sul tema”.
L’adito pretore riuniva i due procedimenti, e concedeva alle parti
termini per il deposito di note e di repliche.
In tale sede e precisamente nelle note illustrative depositate il
29 novembre 1975 la difesa di entrambi i ricorrenti chiariva che le
domande proposte tendevano non “alla ammissione di programmi essi
realizzati in quelle ” apposite trasmissioni”, di cui parla l’art. 6
della legge n. 103/1975, ma, per quel che riguarda il Partito
Radicale, alla partecipazione ” alle trasmissioni radiofoniche e
televisive preordinate agli interventi ufficiali dei partiti italiani
(conferenze stampa, tribuna politica ecc.)” e, per quel che riguarda i
presentatori della richiesta di referendum abrogativo delle norme del
c.p. in materia di aborto, alla realizzazione da parte della RAI di
servizi di informazione, dibattiti e conferenze sul tema ed alla
partecipazione a detti programmi”.
La difesa dei ricorrenti produceva, inoltre, nella medesima
occasione, fotocopia di lettera in data 3 novembre 1975 con la quale il
Presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi, comunicava che era già stato
definito, per il residuo scorcio dell’anno 1975, “l’ambito dei
partecipanti” al ciclo di trasmissioni di “Tribuna politica” e che, per
il 1976, era all’esame della Commissione medesima “il problema della
nuova disciplina delle trasmissioni” medesime.
Con ordinanza 30 dicembre 1975 il pretore adito riconosceva la
sussistenza dell’attualità dell’interesse a ricorrere e delle altre
condizioni di proponibilità di entrambi i ricorsi, e disattendeva le
eccezioni di carenza di legittimazione attiva e passiva nonché quella
di difetto di giurisdizione del giudice ordinario sollevate dalla
resistente.
Riteneva quindi rilevante e non manifestamente infondato il dubbio
di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile
1975, n. 103, “nella parte in cui, disciplinando l’accesso alla
Radiotelevisione dei gruppi politici e sociali rilevanti, non
considerano la posizione soggettiva di cui gli stessi sono portatori
come diritto soggettivo perfetto e, conseguentemente, escludono la
tutela giurisdizionale di detta posizione”.
Le norme denunziate contrasterebbero, in via principale, sia con
gli artt. 21 e 43 in relazione alla sentenza n. 225 del 1974, di questa
Corte, sia con gli artt. 24 e 113 della Costituzione.
In via subordinata vi sarebbe, poi, la violazione dell’art. 102
Cost., ove alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi dovesse riconoscersi natura di
organo giurisdizionale; e violazione degli articoli 55 e segg. Cost.,
in relazione all’art. 6 del regolamento 13 novembre 1975 della
suddetta Commissione, ove quest’ultima fosse da considerare come un
soggetto autonomo e distinto dal Parlamento.
In ordine alla prima censura, premette il giudice a quo che la già
citata sentenza di questa Corte, nel ribadire la legittimità
costituzionale del monopolio televisivo anzitutto al fine di garantire
l’esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero, avrebbe
ravvisato nell’accesso a tale mezzo tecnico un vero e proprio diritto
soggettivo spettante imparzialmente, nei limiti massimi consentiti, a
gruppi politici, religiosi e culturali, nei quali si esprimono le varie
ideologie presenti nella società. Questa rigida configurazione di
situazione giuridica soggettiva perfetta sarebbe stata disconosciuta
dalle suindicate disposizioni, che avrebbero rimesso ogni
determinazione alla suddetta Commissione parlamentare, senza
specificare i criteri né per la disciplina delle varie rubriche né
per la individuazione dei soggetti aventi titolo a parteciparvi.
Le ulteriori censure concernono i poteri, specialmente in ordine
alla decisione dei ricorsi, attribuiti alla Commissione, poiché la
normativa in esame non consentirebbe di precisarne le funzioni, e
avrebbe, comunque, affievolito, se non addirittura degradato a mera
situazione di fatto, il diritto all’accesso del richiedente.
In particolare, ad avviso del pretore, nell’ipotesi, ritenuta da
lui più plausibile, che la suddetta Commissione sia un organo
esercente una funzione oggettiva di amministrazione attiva, con poteri
specifici e concreti di intervento nella gestione del servizio
radiotelevisivo, vi sarebbe stata una divergenza rispetto alle
indicazioni contenute nel punto c) del paragrafo 8 della motivazione
della cit. sentenza, che sembrerebbero piuttosto riferite ad un organo
fornito soltanto di poteri di indirizzo e regolamentazione generali.
Nell’ipotesi, invece, che le suddette funzioni siano
giurisdizionali, si sarebbe contravvenuto al divieto di istituire
giurisdizioni speciali.
Infine nell’ipotesi che la suddetta Commissione sia da configurare
come un organo con funzioni tipiche del Parlamento, si sarebbero
violati i relativi precetti costituzionali, tenuto anche conto che
l’art. 6 del regolamento della stessa Commissione, attribuendo al suo
presidente la rappresentanza di quest’ultima, sembrerebbe far assumere
ad essa una rilevanza (o soggettività) autonoma rispetto al
Parlamento.
L’ordinanza è stata ritualmente notificata comunicata e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale n. 85 del 31 marzo 1976.
Innanzi a questa Corte si sono costituiti le parti del giudizio a
quo e, con atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
rispettivamente chiedendo, il patrocinio del Partito Radicale e dei
componenti del Comitato promotore, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle norme denunziate, la difesa della Radiotelevisione
la declaratoria di inammissibilità e di infondatezza, e l’Avvocatura
quella di (sola) infondatezza delle sollevate questioni.
Deduce l’Avvocatura che l’accesso alla radiotelevisione – seppure
fosse da considerare un diritto soggettivo secondo l’assunto
dell’ordinanza di rimessione – non potrebbe confondersi con il diritto
di utilizzazione del mezzo tecnico, il cui uso, non potendo essere
comune a tutti i cittadini, ma necessariamente speciale (per il fatto
stesso che il suo esercizio esclude l’uso da parte di altri), sarebbe
stato riservato, nei sensi indicati dalle statuizioni della cit.
sentenza del 1974, alle sole “formazioni più rilevanti”, attraverso un
procedimento ed un provvedimento oggettivamente amministrativi di
ammissione, per la scelta appunto, di quelle più rilevanti formazioni,
che non dovrebbero essere individuate dalla legge, cui spetterebbe
soltanto di assicurare l’imparzialità del procedimento, oltre che di
disciplinare, come già risulta dalla precedente sentenza n. 59 del
1960, la “potenziale possibilità di goderne” da parte di chi intenda
avvalersene. Al riguardo, vengono tratte analogie dalla giurisprudenza
di questa Corte in tema di accesso alle cariche pubbliche, specialmente
per quanto riguarda la scelta dei cittadini e la legittimità delle
cause di esclusione, per categorie generali ed astratte.
In questa prospettiva di garanzie, che avrebbero comportato anche
la necessità di sottrarre all’Ente gestore il potere decisorio in
ordine all’ammissione all’uso dello strumento tecnico, l’Avvocatura
esamina i poteri della Commissione parlamentare per l’indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi. La quale sarebbe
espressione diretta del Parlamento e dotata di un potere regolamentare
per autolimitare i suoi poteri, con la predeterminazione in via
generale dei criteri da applicare nell’esame delle istanze di
ammissione. Le sue Decisioni sarebbero sottoposte al sindacato
giurisdizionale – sia pure con i limiti inerenti alle valutazioni
tecniche e discrezionali – in quanto, per loro natura, oggettivamente
amministrative, se non pure tali anche soggettivamente, ove si tenga
conto che, per gli adempimenti dovuti, sono trasmesse al Consiglio di
Amministrazione della società concessionaria.
Per quanto, infine, concerne la violazione degli artt. 55 e segg.
Cost., l’Avvocatura osserva che la Commissione suddetta, nel nostro
ordinamento, non sarebbe l’unica commissione parlamentare con funzioni
amministrative, priva di personalità giuridica, e, a titolo
esemplificativo, richiama quella prevista dall’art. 8 del r.d. n. 1214
del 1934, composta dai presidenti e vice presidenti delle due Camere,
ed incaricata di esprimere pareri vincolanti su provvedimenti relativi
ai presidenti ed ai consiglieri della Corte dei Conti.
La difesa della Radiotelevisione, con memoria ritualmente
depositata, insiste anzitutto nel chiedere che le questioni sollevate
siano dichiarate inammissibili, per irrilevanza, sotto i seguenti
profili:
– l’accesso alle trasmissioni autogestite, di cui agli articoli 4 e
6 della legge denunziata, sarebbe estraneo alla materia del contendere
(come risulterebbe dalle note illustrative dei ricorrenti, cui fa
richiamo la stessa ordinanza di rimessione), ne, comunque, sarebbe
potuto essere posto ad oggetto della relativa decisione, per essere
stata l’ordinanza emessa in data 30 dicembre 1975, precedente a quella
di pubblicazione del regolamento per l’esame delle richieste di accesso
(G.U. n. 128 del 15 maggio 1976): pubblicazione necessaria per l’inizio
in via sperimentale dei relativi programmi;
– il pretore non avrebbe, comunque, potuto ordinare alla RAI-TV di
ammettere i ricorrenti né all’accesso suindicato né a quello alle
“tribune”, ai sensi dell’art. 4 della stessa legge, essendo la Società
concessionaria priva dei relativi poteri, che sarebbero, invece,
attribuiti soltanto alla Commissione parlamentare e alla
Sottocommissione permanente per l’accesso;
– le norme denunziate atterrebbero alla trattazione del merito e,
pertanto, non avrebbero potuto dar luogo a questioni di legittimità
nel corso del procedimento d’urgenza, nel quale potrebbero aver rilievo
solo le disposizioni sui poteri del giudice e quelle sostanziali
applicabili in tale procedura.
Nel merito il patrocinio della RAI-TV deduce che il preteso diritto
all’accesso delle formazioni sociali non sarebbe stato riconosciuto né
dagli artt. 21 e 43 Cost. né con la sent. n. 225 del 1974, da questa
Corte. La quale, al contrario avrebbe più volte ribadito nella sua
giurisprudenza che il diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero non comprenderebbe pure quello di disporre di tutti i
possibili mezzi, e che la disciplina di utilizzazione di quelli di
diffusione resterebbe demandata alla discrezionalità politica del
legislatore. E ciò anche nel caso in cui, come nella specie, la
riserva del servizio allo Stato debba perseguire le finalità di
“interesse generale” previste dall’art. 43 della Costituzione.
1. – Sono stati denunziati a questa Corte gli artt. 4 e 6 della
legge 14 aprile 1975, n. 103, recante norme in materia di diffusione
radiofonica e televisiva.
Come riferito in narrativa, si assume che dette norme non
considererebbero la posizione giuridica, della quale i gruppi politici
e sociali rilevanti sono portatori, come diritto soggettivo, con la
conseguenza di escluderne la tutela giurisdizionale.
Se ne deduce, in via principale, la violazione degli artt. 21 e 43
Cost., con riferimento alla sentenza n. 225 del 1974 di questa Corte,
nonché degli artt. 24 e 113 della Costituzione.
In via subordinata, si denunzia il contrasto con l’art. 102 Cost.,
ove si ritenessero di natura giurisdizionale le funzioni della
Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi radiotelevisivi, e con gli artt. 55 e segg. Cost., in
relazione all’art. 6 del regolamento della predetta Commissione
parlamentare, ove quest’ultima fosse considerata soggetto giuridico
autonomo e distinto dal Parlamento.
Il giudice a quo dalle sentenze n. 59 del 1960 e, soprattutto, n.
225 del 1974 di questa Corte deduce che in regime di monopolio pubblico
radiotelevisivo il diritto di libera manifestazione del pensiero con
ogni mezzo di diffusione, garantito a tutti dall’art. 21 Cost., si
convertirebbe in diritto soggettivo di accesso al mezzo monopolizzato;
siffatto diritto, per l’evidente pratica impossibilità, non può
essere riconosciuto a ciascun cittadino, ma spetta a quelle formazioni
che, in ragione della loro qualificazione sociale e con riferimento
alla loro rilevanza costituzionale, risultino idonee, nel disegno della
Costituzione e nell’ambito dei principi da questa fissati, ad esprimere
un messaggio socialmente rilevante.
Viceversa, argomenta il giudice a quo, la situazione soggettiva di
tali formazioni, alla stregua delle norme denunziate, risulterebbe
affievolita, non, addirittura, degradata a mera situazione di fatto,
per essere la loro ammissione al mezzo radiotelevisivo pubblico rimessa
alla valutazione latamente discrezionale di una Commissione
parlamentare di incerta natura.
Di qui il dubbio di illegittimità costituzionale degli artt. 4 e 6
della legge n. 103 del 1975 nelle parti in cui disciplinano l’accesso
al mezzo radiotelevisivo pubblico.
2. – Nell’ordine logico, occorre, preliminarmente, esaminare le
eccezioni di inammissibilità, per irrilevanza, delle dedotte questioni
– quali sollevate dalla difesa della RAI, radiotelevisione s.p.a. e,
comunque, prospettabili di ufficio – con riferimento allo specifico
oggetto del procedimento sommario promosso, in via d’urgenza, davanti
al pretore di Roma.
In quella sede, entrambi i ricorrenti hanno dichiarato che le loro
domande, avanzate esclusivamente nei confronti della società
concessionaria, non tendevano “alla ammissione di programmi da essi
realizzati in quelle “apposite trasmissioni” di cui parla l’art. 6
della legge n. 103/1975″.
La norma in questione (art. 6, primo comma) stabilisce che la
società concessionaria debba riservare tempi determinati nel minimo,
in proporzione al totale delle ore di programmazione televisiva e
radiofonica, distintamente per la diffusione nazionale e per quella
regionale, “per apposite trasmissioni” “ai partiti ed ai gruppi
rappresentati in Parlamento, alle organizzazioni associative delle
autonomie locali, ai sindacati nazionali, alle confessioni religiose,
ai movimenti politici, agli enti e alle associazioni politiche e
culturali, alle associazioni nazionali del movimento cooperativo
giuridicamente riconosciute, ai gruppi etnici e linguistici e ad altri
gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano richiesta”.
I successivi commi terzo, quarto e quinto del medesimo art. 6
prevedono che una apposita sottocommissione permanente, costituita
nell’ambito della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e
la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, esamini e decida sulle
domande di accesso, sulla base di norme stabilite dalla Commissione
plenaria, secondo criteri dettati dalla legge stessa; spartisca il
tempo disponibile tra i soggetti ammessi; stabilisca le modalità di
programmazione, sentita la concessionaria.
Infine (art. 6, comma quinto, primo periodo) la legge dispone che
contro le decisioni della sottocommissione, in materia di accesso, è
ammesso ricorso del richiedente alla Commissione parlamentare in seduta
plenaria.
A sua volta, l’art. 4, primo comma, 2 cpv., demanda alla
Commissione parlamentare di stabilire, tenuto conto delle esigenze
dell’organizzazione e dell’equilibrio dei programmi, le norme per
garantire l’accesso al mezzo radiotelevisivo e di decidere sui ricorsi
presentati contro le deliberazioni adottate dalla sottocommissione
parlamentare sulle richieste di accesso.
Le norme sopra richiamate definiscono la disciplina dell’accesso in
senso proprio (nell’unico senso, cioè, in cui il vocabolo accesso è
usato nella legge 103/1975), al quale soltanto sono riservati
(legislativamente e di fatto) i tempi minimi di trasmissione
determinati come sopra si è detto. Esclusivamente l’accesso in senso
proprio ha formato, poi, oggetto dell’apposito regolamento pubblicato
nella G.U. del 15 maggio 1976, n. 128.
Orbene, è evidente che delle norme esaminate (art. 4, comma primo,
cpv. 2 e art. 6 legge 103/1975) il giudice a quo non era chiamato a
fare applicazione né diretta né indiretta, per l’assorbente motivo
che tanto il Partito Radicale quanto i componenti del Comitato
promotore del referendum abrogativo delle norme del c.p. in materia di
aborto hanno escluso che le loro domande tendessero all’ammissione
all’accesso in senso proprio, disciplinato, appunto, dalle sopracitate
disposizioni di legge.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 e
dell’art. 4, comma primo, cpv. 2, della legge 103 del 1975, esula,
dunque, dal thema decidendum e deve, perciò, dichiararsi
inammissibile, per manifesta irrilevanza.
3. – Vero è che lo stesso giudice a quo, nell’ordinanza di
rimessione esclude di dovere nella specie fare applicazione dell’art. 6
della legge 103 del 1975 e afferma che, in ipotesi, dovrebbe ordinare
alla RAI di ammettere entrambi i ricorrenti alle trasmissioni di cui
all’art. 4 della legge medesima, intendendo riferirsi, dell’art. 4, al
terzo capoverso del comma primo e, in esso, alla rubrica di “Tribuna
politica”.
Anche a questo proposito è chiara l’irrilevanza della questione
per quanto riguarda la definizione del procedimento promosso dai
componenti il Comitato promotore del referendum abrogativo delle norme
del c.p. in materia di aborto, che non hanno mai chiesto, né alla
Commissione parlamentare né al pretore di Roma, di partecipare alle
trasmissioni di Tribuna politica, ma hanno proposto domanda giudiziale
diversa, riportata in narrativa, rispetto alla quale non è stata
sollevata questione alcuna di costituzionalità.
4. – Resta da esaminare la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 4, comma primo, cpv. 3, in relazione alla domanda del Partito
Radicale di partecipare alle trasmissioni radiofoniche e televisive
preordinate agli interventi ufficiali dei partiti italiani.
La questione, pur così circoscritta, deve ritenersi irrilevante,
per ciò che emerge dal testo stesso dell’ordinanza.
Anche a voler prescindere dalla constatazione che il pretore ha
considerato le due situazioni, disciplinate rispettivamente dall’art.
4, comma primo, cpv. 3 e dall’art. 6 in relazione all’art. 4, comma
primo, cpv 2, della legge 103 del 1975, come mere articolazioni di un
unico diritto di accesso, annullando dal punto di vista della tutela
delle situazioni soggettive, qualsiasi differenza tra queste due
articolazioni (accesso in senso proprio e partecipazione alle Tribune)
resta che il pretore stesso, sia pure contraddicendosi, nega la
rilevanza della questione.
Infatti, nell’ordinanza di rimessione, in primo luogo si afferma
che i rapporti tra RAI-TV e Commissione parlamentare “nella valutazione
in merito alla domanda potranno comportarne il rigetto ove si pervenga
alla conclusione che il comportamento della RAI trovi giustificazione
nelle deliberazioni della detta Commissione parlamentare”. Ma
successivamente si dà atto che con lettera in data 13 novembre 1975 il
Presidente della Commissione parlamentare aveva comunicato al Partito
Radicale che la sua richiesta di ammissione a Tribuna politica era
stata respinta (rectius che “era già stato definito l’ambito dei
partecipanti” al ciclo di trasmissioni di Tribuna politica relativo
all’ultima parte dell’anno 1975). Né potrebbe pensarsi che con il
riferimento alla domanda il pretore intendesse alludere a sede di
giudizio diversa da quella disciplinata nell’art. 700 c.p.c., giacché
lo stesso pretore, per dimostrare la rilevanza della questione,
asserisce che, a seguito di sentenza di accoglimento di questa Corte
costituzionale, egli avrebbe dovuto, dando ragione ai ricorrenti,
“ordinare alla RAI di ammettere il Partito Radicale e i promotori del
referendum sulle norme del codice penale in tema di aborto alle
trasmissioni di cui all’art. 4, legge 103 del 1975”. In definitiva, la
comunicazione del Presidente della Commissione parlamentare conduceva
di per sé, secondo la stessa ordinanza, a non fare applicazione nel
giudizio di quella parte dell’art. 4 della legge 103 del 1975 della
quale viene denunziata la illegittimità costituzionale.
Riconosciuta, per i motivi sopra esposti, la irrilevanza e quindi
l’inammissibilità delle questioni proposte, ogni altra eccezione resta
assorbita.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 4 e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (recante norme in
materia di diffusione radiofonica e televisiva) sollevata con
l’ordinanza in epigrafe dal pretore di Roma.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 1977.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA –
GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO –
ANTONINO DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere