Sentenza N. 448 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1997
Data deposito/pubblicazione
30/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY , prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI;
della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della
fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e dell’art.
3, commi 1 e 2, della legge della regione Liguria 1 luglio 1994, n.
29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il
prelievo venatorio), promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 1996
dal TAR della Liguria sul ricorso proposto dall’Associazione Italiana
per il W.W.F. contro la provincia di La Spezia, con l’intervento
dell’U.N.A.V.I. e della C.P.A. della provincia di La Spezia, iscritta
al n. 1278 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno
1996;
Visti gli atti di costituzione dell’U.N.A.V.I. della provincia di
La Spezia e dell’Associazione italiana per il W.W.F., nonché gli
atti di intervento della regione Liguria e del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 17 giugno 1997 il giudice relatore
Massimo Vari;
Uditi gli avvocati Giovanni Petretti per l’Associazione italiana
per il W.W.F., Claudio Chiola per l’U.N.A.V.I. della provincia di La
Spezia, Gigliola Benghi per la regione Liguria e l’avvocato dello
Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
ricorso proposto dall’Associazione italiana per il World Wildlife
Fund (W.W.F.) contro la provincia di La Spezia, per l’annullamento
delle delibere consiliari n. 56 del 29 maggio 1995 e n. 64 del 14
giugno 1995, aventi, rispettivamente, ad oggetto il piano faunistico
venatorio provinciale e l’istituzione e perimetrazione degli ambiti
territoriali di caccia, nonché degli atti connessi il T.A.R. della
Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio), e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione
Liguria 1 luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della
fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), denunciando il
contrasto di tali disposizioni con l’art. 97, primo comma, della
Costituzione, nella parte in cui comprendono, nella percentuale del
territorio destinata a protezione della fauna selvatica, le aree in
cui sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di
altre leggi o disposizioni; e cioè anche aree che, purché
definibili come agro-silvo-pastorali, sarebbero tuttavia inidonee,
per la limitata estensione o per la vicinanza a vie di comunicazione,
a garantire i predetti obiettivi protettivi. Secondo l’ordinanza, se
per protezione della fauna, a mente del comma 4 del medesimo art. 10
della citata legge n. 157 del 1992, va inteso “il divieto di
abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti
atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura
della prole”, è evidente che, nel territorio destinato a protezione,
non può essere compreso quello che, per sua natura e funzione, sia
inidoneo a consentire l’agevolazione congiunta delle attività vitali
della fauna stessa. Di qui la denunciata illegittimità dell’art. 10,
comma 3, della legge n. 157 del 1992 la cui “contraddittorietà in
termini” farebbe dubitare della sua rispondenza al “principio di
ragionevolezza di cui è codificazione nell’art. 97, primo comma,
della Costituzione”. Ad avviso del giudice rimettente lo stesso vizio
colpirebbe anche l’art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione
Liguria n. 29 del 1994, in quanto la stessa definizione “del
territorio da considerare” consentirebbe l’inclusione, nella zona di
protezione della fauna, anche di aree non idonee alla destinazione in
questione.
2. – Nel costituirsi in giudizio l’Associazione italiana per il
World Wildlife Fund (W.W.F.) ha chiesto che sia dichiarata
l’illegittimità costituzionale delle norme indicate nell’ordinanza,
se non interpretate nel senso che, nella percentuale di territorio
“da proteggere” in ogni regione, debbano essere incluse soltanto le
aree idonee a consentire la sosta e la riproduzione della fauna
selvatica, escludendo tutte quelle aventi natura marginale e
residuale (come le fasce di rispetto delle vie di comunicazione, gli
insediamenti aeroportuali, le zone antropizzate, i parchi e giardini
urbani, ecc.).
Ricordato che il fine prioritario della legge n. 157 del 1992 è
quello di proteggere la fauna selvatica, l’Associazione osserva che,
quando il legislatore ha voluto che determinate aree fossero incluse
nella percentuale di territorio protetto, lo ha indicato
espressamente (come nel caso dei fondi chiusi vietati alla caccia di
cui all’art. 15, commi 8 e 9).
Pertanto, ove la denunciata disposizione dell’art. 10 della legge
n. 157 del 1992 non dovesse essere intesa nel senso che nel
territorio protetto ricadono solo le aree idonee ad assicurare una
efficace tutela della fauna, si chiede un intervento caducatorio che
travolga anche tutte le disposizioni contenute nelle leggi regionali
che dalla disposizione della legge-quadro traggono fondamento.
3. – Si è costituita in giudizio anche l’Unione nazionale
associazioni venatorie italiane della provincia di La Spezia, che ha
eccepito preliminarmente l’inammissibilità della questione sotto un
duplice profilo: anzitutto per difetto di rilevanza, quanto all’art.
10, comma 3, della legge n. 157 del 1992, giacché la riproduzione
del contenuto della legge statale da parte del legislatore regionale,
secondo quanto si desume anche dalla giurisprudenza costituzionale,
avrebbe comportato in ogni caso una novazione della fonte, con la
conseguenza che il giudice a quo sarebbe tenuto ad applicare nel caso
specifico soltanto la legge della regione Liguria; in secondo luogo,
perché si tratterebbe di censure attinenti al merito politico della
normativa impugnata, e non già alla violazione di norme o principi
costituzionali.
Rilevato, poi, che in nessuna parte della legge statale o di quella
regionale appare accolto l’assioma che tutti i territori compresi
nella quota di protezione debbano essere idonei alla realizzazione
contemporanea di tutti i fini protezionistici, l’associazione
venatoria osserva che l’evocazione dell’art. 97, primo comma, della
Costituzione, sotto il profilo della violazione del principio di
ragionevolezza, lungi dal costituire una svista, dimostrerebbe come
il giudice a quo critichi in realtà l’assetto dato dal legislatore
ai contrapposti interessi in giuoco secondo scelte rimesse
all’apprezzamento di quest’ultimo.
In ogni caso non sarebbe esatto che tutte le aree precluse
all’attività venatoria in base ad altre leggi o disposizioni siano
in radice inidonee a garantire la sosta e la riproduzione della fauna
selvatica, rientrando fra di esse anche i fondi agricoli “chiusi”
come pure i fondi esclusi dalla pianificazione venatoria per volontà
del proprietario (legge n. 157 del 1992, art. 15, rispettivamente
commi 8, 3 e 4).
E questo non senza rilevare che, ove il criterio sostenuto dal
giudice fosse applicato a regioni caratterizzate da rilevante
presenza di zone assoggettate a divieto di caccia ex lege, lo
scorporo di tali zone finirebbe per creare insormontabili
difficoltà alla pianificazione venatoria.
Quanto, poi, all’art. 3, comma 1, della legge regionale della
Liguria n. 29 del 1994, si sostiene che la relativa censura, priva –
tra l’altro – dell’indicazione del parametro costituzionale, propone
una diversa definizione del territorio agro-silvo-pastorale, che si
traduce in un’inammissibile richiesta alla Corte costituzionale “di
provvedere ad una nuova disciplina legislativa della materia”.
4. – Nell’intervenire in giudizio, il Presidente del Consiglio dei
Ministri ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della
questione, non essendo l’art. 97, primo comma, della Costituzione
“parametro pertinente allo scrutinio di costituzionalità di una
norma che palesemente non attiene alla organizzazione e al
funzionamento dei pubblici uffici”.
Nel merito la questione sarebbe infondata.
Rammentato che l’art. 10 della legge n. 157 del 1992, stabilisce un
criterio-base di “destinazione differenziata” del territorio,
distinguendo tra aree di protezione della fauna selvatica (comma 3)
ed aree di promozione di forme di gestione programmata della caccia
(comma 6), si nega che sussista la denunciata contraddizione tra il
censurato comma 3 e le altre disposizioni della legge n. 157 del
1992, spettando, infatti, “alla funzione pianificatoria disporre per
un appropriato impiego protettivo dei territori soggetti a divieto di
caccia tenuto conto che la protezione nei sensi indicati dal comma 4
ammette pur sempre forme diversificate e graduate”.
Peraltro, alla stregua del voluto bilanciamento tra le esigenze di
protezione della fauna e quelle dell’attività venatoria, il
complesso normativo in questione dovrebbe essere letto “nel senso che
le predette aree a protezione incompleta non possono valere al fine
del raggiungimento della percentuale minima del 20%, ma debbono
nondimeno essere considerate per evitare il superamento della soglia
massima del 30%”.
5. – Anche la regione Liguria è intervenuta in giudizio per
sostenere l’infondatezza della questione, osservando che, secondo
l’art. 10 della legge n. 157 del 1992, non tutto il territorio
destinato alla tutela deve essere utilizzato come “oasi di
protezione” (di cui alla lettera a del comma 8 del medesimo art. 10),
spettando, invece, alla pianificazione regionale e provinciale il
compito di individuare “comprensori omogenei” mediante destinazione
differenziata del territorio stesso.
Secondo la regione la questione di legittimità costituzionale
sollevata dal TAR della Liguria sembra investire soprattutto la norma
di principio della legge-quadro statale, norma che è rimessa alla
discrezionalità del legislatore e che, in concreto, pare idonea ad
assicurare, mediante un corretto esercizio della pianificazione per
ambiti, una sufficiente tutela degli interessi pubblici connessi alla
protezione della fauna.
6. – Con memoria, depositata nell’imminenza dell’udienza, l’Unione
nazionale associazioni venatorie italiane della provincia di La
Spezia, nell’insistere sulla richiesta di declaratoria di
inammissibilità della questione, si sofferma, in particolare,
sull’erroneità del riferimento al parametro dell’art. 97, primo
comma, della Costituzione, sull’irrilevanza della censura avverso
l’art. 10 della legge n. 157 del 1992 e, nel contempo,
sull’inaccoglibilità di una richiesta di sostanziale riscrittura dei
criteri fissati dal legislatore in tema di pianificazione
faunisticovenatoria del territorio; riscrittura tale da comportare
l’introduzione – accanto alle aree disciplinate dalla legge regionale
per le varie destinazioni – di una quarta area costituita dalle zone
comunque soggette a divieto di caccia, ma ritenute, al tempo stesso,
inidonee ad assicurare la protezione della fauna.
Inoltre, riguardo all’art. 3 della legge della regione Liguria n.
29 del 1994, si rileva che, mentre la censura a carico del comma 2
tende a colpire l’inclusione, nella zona di protezione, anche dei
terreni comunque soggetti a divieto di caccia, quella concernente il
comma 1 condurrebbe verso il più radicale esito di impedire che tali
terreni rientrino nella nozione di territorio agro-silvo-pastorale,
configurando, in tal guisa, una questione di costituzionalità
inammissibile, in quanto “ambigua ed ancipite” ed “irrimediabilmente
contraddittoria nell’esito”.
Quanto, poi, alla esigenza di salvaguardare ecosistemi di
particolare rilievo, a ciò dovrebbe provvedere la legislazione in
tema di ambiente (come in effetti ha provveduto la legge n. 394 del
1991, che istituisce le riserve naturali), e non quella che
disciplina l’attività venatoria sul territorio.
Rilevato, inoltre, che l’operazione richiesta dal T.A.R. della
Liguria finirebbe col mettere in pericolo “la possibilità stessa di
costituire ambiti territoriali di caccia razionalmente delimitati e
configurati”, relegando ingiustamente l’attività venatoria ad una
posizione deteriore e residuale, si osserva, infine, quanto all’art.
3, comma 1, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994, che, in
ogni caso, non sussisterebbero i denunciati vizi di
contraddittorietà ed irragionevolezza, in quanto la definizione di
territorio agro-silvo-pastorale data dalla legge regionale della
Liguria appare inattaccabile sotto ogni profilo logico e giuridico.
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10,
comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio), e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione
Liguria 1 luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione
della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), nella parte in
cui comprendono nella percentuale del territorio destinata a
protezione della fauna selvatica le aree in cui sia comunque vietata
l’attività venatoria, anche per effetto di altre leggi o
disposizioni, purché le aree stesse siano definibili come
agro-silvo-pastorali.
Il rimettente, premesso che l’art. 10, comma 4, della legge 11
febbraio 1992, n. 157, definisce la protezione come “divieto di
abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti
atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione e la cura
della prole”, ritiene che, nel territorio destinato a protezione, non
possano essere ricomprese aree che non siano adatte a consentire
l’agevolazione congiunta di tutte le attività vitali della fauna; la
legge quadro statale sarebbe, perciò, affetta da una
“contraddittorietà in termini”, tale da far dubitare della sua
rispondenza al principio di ragionevolezza, che il rimettente reputa
“codificato nell’art. 97, primo comma, della Costituzione”, mentre
analogo vizio colpirebbe anche l’art. 3, commi 1 e 2, della legge
della regione Liguria n. 29 del 1994, in quanto la definizione del
territorio agro-silvo-pastorale ivi contenuta consentirebbe, del
pari, di includere nella zona destinata alla protezione della fauna
anche aree non idonee ad una compiuta funzione protettiva.
2. – Vanno, anzitutto, esaminate le eccezioni di inammissibilità,
muovendo da quella proposta dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, la quale nega che il parametro invocato, e cioè l’art. 97,
primo comma, della Costituzione, possa reputarsi pertinente ad uno
scrutinio di costituzionalità che concerne i criteri seguiti dal
legislatore nella regolamentazione di una materia quale la
pianificazione del territorio agro-silvo-pastorale a fini
faunistico-venatori.
Tale rilievo, ripreso successivamente anche nella memoria
illustrativa depositata dall’Unione delle associazioni venatorie
italiane della provincia di La Spezia, non è, ad avviso di questa
Corte, ostativo all’esame di merito delle proposte questioni.
Dal testo dell’ordinanza risulta, infatti, inequivocabilmente, che
il giudice rimettente, sia pure attraverso l’evocazione del parametro
dell’art. 97, primo comma, della Costituzione attinente alla materia
dell’organizzazione dei pubblici uffici, intende segnalare, in
realtà, un vizio di ragionevolezza riconducibile, piuttosto,
all’art. 3 della Costituzione, in quanto la censura sollevata
concerne disposizioni volte a disciplinare attività amministrative
con riguardo, tra l’altro, a facoltà ed obblighi di soggetti
pubblici e privati.
Onde superare l’eccezione in parola è, perciò, sufficiente
rifarsi a quell’orientamento giurisprudenziale che, pur a fronte di
inesatti od incompleti riferimenti normativi, reputa non precluso
l’esame di costituzionalità, quando i termini della questione
appaiono adeguatamente definiti.
3. – Neppure fondata è l’eccezione di inammissibilità sollevata
dall’Unione delle associazioni venatorie italiane della provincia di
La Spezia, la quale sostiene l’irrilevanza della questione, per
quanto attiene segnatamente all’art. 10, comma 3, della legge n. 157
del 1992, in base al rilievo che la riproduzione del contenuto della
legge statale da parte del legislatore regionale avrebbe comportato
una novazione della fonte, sì che il giudice a quo sarebbe tenuto ad
applicare, nel caso specifico, soltanto la legge della regione
Liguria.
Infatti la questione sottoposta all’esame della Corte concerne
materia (caccia e protezione della fauna selvatica) in cui, ex art.
117 della Costituzione (ma v. anche l’art. 99 del d.P.R. n. 616 del
1977), le regioni ordinarie hanno competenza legislativa concorrente
con quella statale. Ne consegue che la disciplina dell’art. 3, commi
1 e 2, della legge della regione Liguria n. 29 del 1994 non pone
fuori causa quella contenuta nella legge statale n. 157 del 1992, che
detta i principi fondamentali in materia, ma si coordina con la
medesima, realizzando, nell’accennata concorrenza tra le potestà
legislative dello Stato e della regione, un assetto i cui criteri
ispiratori formano, per l’appunto, oggetto della denuncia di
incostituzionalità; denuncia che, a ben vedere, investe in primo
luogo la disposizione di principio della legge-quadro statale, quale
matrice originaria della regolamentazione sospettata di
illegittimità.
Non maggiore considerazione merita l’ulteriore eccezione di
inammissibilità, prospettata dalla stessa parte, nel senso che la
contemporanea sottoposizione al giudizio della Corte dei commi 1 e 2
della legge regionale n. 29 del 1994 configurerebbe una questione
“ambigua” ed “ancipite”.
Infatti nella prospettazione dell’ordinanza la disciplina
pianificatoria, che il rimettente reputa irragionevole e
contraddittoria, scaturisce, ad un tempo, dalla disposizione della
legge statale, che espressamente include nella zona di protezione
della fauna aree da reputare non compiutamente idonee alle finalità
protettive, e da quella della legge regionale, che definisce il
territorio agro-silvo-pastorale in termini tali da consentire
anch’essa l’inclusione, nella zona di protezione della fauna, di aree
che il giudice a quo ritiene inadatte allo scopo.
4. – Nel merito la questione non è fondata, non ravvisandosi nelle
disposizioni denunciate l’irragionevolezza segnalata dal rimettente.
Invero la disciplina faunistico-venatoria ha il suo tratto
caratterizzante nella pianificazione di tutto il territorio
agro-silvo-pastorale; pianificazione che, secondo le indicazioni
dell’art. 10, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, è
finalizzata, “per quanto attiene alle specie carnivore, alla
conservazione delle effettive capacità riproduttive e al
contenimento naturale di altre specie e, per quanto riguarda le altre
specie, al conseguimento della densità ottimale e alla sua
conservazione, mediante la riqualificazione delle risorse ambientali
e la regolamentazione del prelievo venatorio”.
In vista di tali obiettivi il territorio agro-silvo-pastorale di
ogni regione viene destinato, dal medesimo art. 10, per una quota dal
20 al 30 per cento, alla protezione della fauna selvatica (comma 3);
prevedendosi, nel contempo, che una quota fino al massimo del 15 per
cento possa essere destinato alla istituzione di centri privati di
riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed
all’esercizio di caccia riservata a gestione privata (comma 5) e che,
sulla quota residuale, le regioni promuovano forme di gestione
programmata della caccia, attraverso la ripartizione in ambiti
territoriali di dimensioni subprovinciali, sentite le province
interessate nonché le organizzazioni professionali agricole (comma
6).
A sua volta l’art. 3 della legge della regione Liguria 1 luglio
1994, n. 29, nel recepire i principi della legislazione statale,
prevede, per la zona di “protezione e produzione della fauna
selvatica”, un’area i cui limiti di estensione vanno contenuti nelle
percentuali minima e massima sopra accennate (comma 2), definendo,
nel contempo, territorio agro-silvo-pastorale quello comprendente “i
terreni agricoli, con esclusione di quelli situati nelle zone urbane,
i terreni incolti, le foreste demaniali e regionali, le zone umide,
le spiagge, i corsi d’acqua, i laghi naturali e artificiali ed ogni
altra zona verde, attualmente o potenzialmente idonea all’attività
di coltivazione dei fondi, di allevamento di specie animali e di
silvicoltura” (comma 1).
La disciplina di cui trattasi, come si evince dal suo insieme,
appare volta, dunque, ad orientare finalisticamente la pubblica
amministrazione nella elaborazione di piani faunistico-venatori, i
quali costituiscono la sede procedimentale per l’individuazione –
secondo criteri dotati di sufficiente elasticità – di spazi a
destinazione differenziata nell’ambito di un complessivo
bilanciamento di interessi nel quale trovano considerazione, accanto
alle esigenze di protezione della fauna, quelle venatorie e quelle,
altresì, degli agricoltori, interessati non solo al contenimento
della fauna selvatica che si riproduce spontaneamente, ma anche
all’impedimento di una attività venatoria indiscriminata. D’altra
parte l’attività venatoria, già considerata da questa Corte come
diretta non solo all’abbattimento di animali selvatici, ma anche
“congiuntamente” alla protezione dell’ambiente naturale e di ogni
forma di vita (sentenza n. 63 del 1990), si pone essa stessa come
mezzo di regolazione della fauna selvatica, dipendendo la densità
ottimale delle specie non carnivore, come risulta dall’art. 10, comma
1, della legge n. 157 del 1992, non solo dal miglioramento delle
risorse ambientali, ma anche dal prelievo venatorio.
Quanto poi alla zona di protezione della fauna, vero è che il
comma 4 del medesimo art. 10 definisce la protezione come “il divieto
di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da
provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione
e la cura della prole”, ma da tale definizione non è dato evincere
che la volontà legislativa possa essere individuata prescindendo da
tutto il contesto della legge n. 157 del 1992 ed, in particolare,
dalle varie disposizioni contenute nell’art. 10 della legge medesima.
Queste ultime confermano, infatti, che non necessariamente tutto il
territorio destinato alla tutela faunistica deve rivestire le
caratteristiche proprie delle “oasi di protezione”, e cioè di quelle
aree che, secondo la definizione del comma 8, sono “destinate al
rifugio, alla riproduzione e alla sosta della fauna selvatica”; detto
territorio “comprende” sì queste ultime (comma 4), ma resta
affidato, per la ulteriore sua individuazione, alla pianificazione
faunistico-venatoria regionale e provinciale, cui spetta enucleare,
secondo i criteri stabiliti nel menzionato art. 10, “comprensori
omogenei” nei quali si articola la destinazione differenziata del
territorio stesso.
L’irragionevolezza della disciplina non può perciò essere
predicata solo in ragione della definizione generale di protezione
accolta dal comma 4 dell’art. 10; definizione che non va posta in
antitesi bensì raccordata con gli altri disposti della disciplina in
esame, sì da valutare coerenza e razionalità delle scelte in modo
unitario, correlando, in particolare, il dato dell’entità della
percentuale di territorio destinato alla tutela faunistica con gli
elementi che, nella loro varietà, entrano, secondo quanto stabilito
dallo stesso legislatore, a comporre detto dato.
Non hanno, dunque, fondamento i dubbi sollevati dal rimettente in
ordine alle disposizioni censurate ed, in particolare, in ordine alla
loro idoneità a realizzare, mediante un corretto esercizio della
pianificazione, una adeguata tutela degli interessi pubblici connessi
alla protezione della fauna. L’eventuale ipotesi di piani, che – in
ragione delle tipologie di aree in essi inclusi – non apparissero
rispondenti agli obiettivi di protezione individuati dalla normativa
sopra citata, potrà, d’altro canto, aprire la via al sindacato di
legittimità innanzi al giudice amministrativo, restando così
garantita, in ogni caso, la realizzazione degli obiettivi perseguiti
dalla normativa portata all’esame di questa Corte.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 10, comma 3, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio), e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della regione
Liguria 1 luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della
fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata in
riferimento all’art. 97, primo comma, della Costituzione con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
Il cancelliere: Fruscella