Sentenza N. 261 del 1983
Corte Costituzionale
Data generale
26/09/1983
Data deposito/pubblicazione
26/09/1983
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/09/1983
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI –
Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO
MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI – Prof.
GIUSEPPE FERRARI – Dott. FRANCESCO SAJA – Prof. GIOVANNI CONSO – Prof.
ETTORE GALLO, Giudici,
della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine
pubblico) promossi con le ordinanze emesse il 22 aprile 1976 dal
Pretore di Pizzo e il 26 maggio 1980 dal Tribunale di Rovigo iscritte
al n. 478 del registro ordinanze 1976 e al n. 607 del registro
ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 246 del 1976 e n. 304 del 1980;
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella pubblica udienza del 25 gennaio 1983 il Giudice
relatore Antonio La Pergola;
udito l’avvocato dello Stato Renato Carafa per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1. – Il Pretore di Pizzo Calabro, con ordinanza emessa il 22 aprile
1976, ha nel corso del procedimento penale a carico di Iellimo Giacomo,
sollevato – in riferimento agli artt. 13 e 24 della Costituzione –
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 22
maggio 1975, n. 152.
Il 9 dicembre 1975, i carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia
sottoponevano a perquisizione il suddetto Iellimo, perché dava segni
“di irrequietudine, destando sospetti”.
Nel corso della perquisizione veniva rinvenuto un coltello del tipo
vietato. Di tale atto di polizia non è stata avvertita, entro il
termine di 48 ore, l’autorità giudiziaria competente.
Osserva il giudice a quo che questa Corte ha con sentenza n. 173/74
ritenuto applicabili le norme poste negli artt. 224 e 227, 304 bis e
ter del codice di procedura penale – i quali concernono,
rispettivamente, le perquisizioni di polizia giudiziaria, la
trasmissione di atti di informazione all’autorità giudiziaria, gli
atti cui possono assistere i difensori dell’imputato in sede di
istruzione formale, l’avviso al difensore – alle ipotesi previste
nell’art. 41 del T.U. leggi di pubblica sicurezza. Quest’ultima
disposizione abilita ad effettuare perquisizioni e sequestri gli
ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, i quali abbiano notizia,
anche per indizio, dell’esistenza, in qualsiasi locale pubblico o
privato, o in qualsiasi abitazione, di armi, munizioni o materie
esplodenti, non denunciate, non consegnate o comunque abusivamente
detenute.
Non potendo il caso di specie ricondursi a tale previsione, l’atto
di polizia, che qui viene in rilievo, sarebbe stato adottato in base al
disposto dell’art. 4 della legge n. 152 del 1975. Ivi si configura, con
riguardo ad eccezionali situazioni di necessità ed urgenza, che non
consentono il tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria,
l’immediata perquisizione sul posto – ad opera di ufficiali ed agenti
della polizia giudiziaria o della forza pubblica, e al solo fine di
accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di
effrazione – di soggetti, il cui atteggiamento o la cui presenza, in
relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo o di tempo, non
appaiono giustificabili; si prevede altresì che la perquisizione possa
estendersi ai mezzi di trasporto utilizzati dalle persone suindicate
per giungere sul posto; si prescrive infine che il verbale della
perquisizione, redatto in apposito modulo, debba essere trasmesso entro
quarantotto ore al Procuratore della Repubblica.
La giurisprudenza di questa Corte – ricorda il giudice a quo –
muove dal presupposto che la perquisizione debba effettuarsi in
conseguenza dell’esistenza di elementi indiziari e non solo di meri
sospetti, per affermare che non può essere lasciato all’iniziativa e
alla valutazione degli organi di polizia giudiziaria “un potere che la
Costituzione riserva invece a casi che devono essere tassativamente
indicati dalla legge”.
Per contro, la formulazione della norma denunciata permetterebbe
alle forze di polizia di operare le previste perquisizioni in base al
loro semplice personale convincimento, e non a fatti oggettivamente
certi, o a più fatti certi e concordanti fra di loro.
A parere del giudice a quo, la norma denunciata viene pertanto a
violare l’art. 13, secondo comma, Cost.
Si deduce pure che l’art. 4 della legge n. 152 del 1975,
disposizione eccezionale come l’atto legislativo in cui è contenuta,
non prevede l’applicazione degli artt. 304 bis e ter c.p.p. invece,
sicuramente applicabili, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
alle perquisizioni di polizia giudiziaria contemplate nell’art. 224 del
c.p.p. Difettando la previsione dell’avviso al soggetto da perquisire,
in ordine all’assistenza di un difensore, la norma in questione
contrasterebbe anche con l’art. 24 Cost. La rilevanza della questione
è dedotta sull’assunto che, in caso di sua fondatezza, dovrebbero
essere dichiarati nulli tutti gli atti successivi alla perquisizione.
2. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri per tramite dell’Avvocatura dello Stato, la quale richiama
anzitutto le gravi ed urgenti esigenze di ordine pubblico che hanno
determinato l’emanazione della legge in esame.
L’art. 4, con il prevedere che la perquisizione personale possa
essere compiuta “al solo fine di accertare l’eventuale possesso di
armi, esplosivi e strumenti di effrazione” durante “operazioni di
polizia” in determinate circostanze e quando non possa chiedersi ed
ottenersi tempestivamente un provvedimento dell’autorità giudiziaria
verso un soggetto, il cui comportamento o la cui presenza non sia
giustificabile, definirebbe chiaramente, in conformità all’art. 13
Cost., la sfera in cui agisce la polizia giudiziaria.
Precisa poi l’Avvocatura che la garanzia accordata alla libertà
personale serve a delimitare l’opposto potere di coazione dello Stato
ma non è per questo indiscriminata, una volta che lo stesso precetto
costituzionale fissa espressamente l’ambito entro il quale il diritto
dell’individuo può essere qui esercitato.
Peraltro, il dubbio di costituzionalità sollevato appare
incomprensibile, dato che proprio nella fattispecie la persona
perquisita è stata trovata in possesso di un coltello vietato. Non
appare congruo – osserva l’Avvocatura – parlare di “personali
convincimenti” in riferimento ad un caso nel quale il senso del dovere
degli agenti ha portato all’accertamento di un reato.
In riferimento poi alla pretesa violazione dell’art. 24 Cost.,
l’Avvocatura osserva che il diritto di difesa è garantito davanti
all’autorità giudiziaria cui si perviene a seguito del provvedimento
emesso dall’autorità di polizia, ai sensi dello stesso art. 13 Cost.
3. – Identica questione è posta dal Tribunale di Rovigo, nel corso
di un procedimento penale a carico di tre imputati di furto
pluriaggravato.
Il 10 aprile 1980, i carabinieri della stazione di Ficarolo
(Rovigo) venivano informati che tre zingare introdottesi in una
abitazione, avevano rubato 55.000 lire ed erano fuggite con un’auto.
Poco dopo una pattuglia dell’Arma si imbatteva nelle tre donne, sempre
a bordo della stessa auto e le conduceva in caserma; sottoposte a
perquisizione personale, esse risultavano avere in loro possesso una
banconota di 5.000 lire, ed altra di 50.000 lire. La somma era comunque
corrispondente a quella rubata. Pertanto si procedeva al loro arresto e
successivamente al rinvio a giudizio per furto pluriaggravato.
Rileva il Tribunale che la norma denunciata, mentre ricalca nella
prima parte il dettato dell’art. 13 Cost., adopera nella seconda parte
una formula “generica e fumosa”, che consente le perquisizioni
personali sul posto, anche in caso di semplice sospetto: il che non
basterebbe, però, a legittimare le perquisizioni, come esige la
sentenza n. 173 del 1974.
Il Tribunale di Rovigo nota come sia ritenuto atteggiamento
sospetto la mancata adesione spontanea alla perquisizione. Peraltro,
secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, il giudizio
relativo alla sussistenza dei presupposti di fatto giustificativi della
perquisizione spetta insindacabilmente agli organi di polizia.
Il provvedimento ristrettivo della libertà personale, come si
atteggia nella specie, non sarebbe, del resto, sorretto da quelle
esigenze di pronta ed efficace tutela dell’ordine sociale, che
soccorrono nel caso delle perquisizioni domiciliari, previste nell’art.
41 del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza, di cui la Corte ha in
altra occasione (sentenza n. 173/74) ritenuto la legittimità
costituzionale. Osserva al riguardo il giudice a quo che la
perquisizione ai sensi della disposizione censurata serve anche ad
accertare il possesso di strumenti di effrazione: il che ben
difficilmente appare suscettibile di costituire grave pericolo per la
sicurezza e l’ordine pubblico. Pare quindi al Tribunale che la norma
sacrifichi la libertà personale a valori, quali quelli patrimoniali,
di minor rilievo costituzionale, anche di fronte al semplice sospetto
di una loro lesione. Quanto alla perquisizione illegittima, viene
osservato che la nullità delle perquisizioni, prive di convalida da
parte dell’autorità giudiziaria, non determina, secondo la
giurisprudenza della Corte di Cassazione, l’inefficacia del contestuale
sequestro. L’art. 4 della cit. legge n. 152 avrebbe quindi dovuto
espressamente prevedere l’inutilizzabilità processuale delle
perquisizioni illegittime. Così, per esempio, dispone l’art. 226
quinquies c.p.p., introdotto dalla legge 18 aprile 1974, n. 98, a
proposito delle intercettazioni telefoniche.
A fugare i prospettati dubbi di costituzionalità non gioverebbe,
d’altra parte, nemmeno l’opinione della dottrina, secondo la quale la
perquisizione sul posto va compiuta solo su iniziativa od
autorizzazione dell’autorità giudiziaria, e cioè in caso di flagranza
o di fondato sospetto dell’avvenuta commissione di un reato. Secondo la
lettera e lo spirito della legge, il provvedimento in questione ha
invero – rileva il Tribunale di Rovigo – natura spiccatamente
preventiva e può essere emesso dalle forze di polizia in genere e non
solo dalla polizia giudiziaria. In ogni caso la censurata disciplina
mancherebbe di distinguere tra atti di polizia di sicurezza ed atti di
polizia giudiziaria, diretti all’acquisizione di prove per il futuro
processo, e mancherebbe conseguentemente di prevedere, con riguardo a
questi ultimi atti, il possibile intervento del difensore, quale invece
sancito, nei confronti delle perquisizioni su iniziativa della polizia
giudiziaria, dagli artt. 224 e 304 ter, terzo comma, del c.p.p. Con
ciò si delinea un ulteriore motivo di illegittimità, in riferimento
all’art. 24 Cost.
4. – Anche in questo giudizio, per il tramite dell’Avvocatura dello
Stato, spiega intervento il Presidente del Consiglio. Le deduzioni sono
del tutto identiche a quelle prodotte in relazione all’ordinanza del
Pretore di Pizzo Calabro.
5. – All’udienza pubblica del 25 gennaio 1983 l’Avvocatura dello
Stato ha insistito sulle conclusioni già prese.
1. – La statuizione all’esame della Corte, posta nell’art. 4 della
legge n. 152 del 1975, è così formulata: “In casi eccezionali di
necessità e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento
dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia
giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia
possono procedere, oltre che all’identificazione, all’immediata
perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso
di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui
atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete
circostanze di luogo o di tempo non appaiono giustificabili.
Nell’ipotesi di cui al comma precedente la perquisizione può
estendersi per le medesime finalità al mezzo di trasporto utilizzato
dalle persone suindicate per giungere sul posto.
Delle perquisizioni previste nei commi precedenti deve essere
redatto verbale, su apposito modulo, che va trasmesso entro quarantotto
ore al procuratore della Repubblica e, nel caso previsto dal primo
comma, consegnato all’interessato”.
Il Pretore di Pizzo Calabro ed il Tribunale di Rovigo denunziano il
testé citato disposto di legge per le seguenti considerazioni:
a) La forza pubblica e la polizia giudiziaria, si deduce anzitutto,
sono abilitate ad eseguire la perquisizione sul posto solo che
“l’atteggiamento” o la “presenza” di chi è perquisito non appaiano
giustificabili in relazione alle circostanze di luogo e di tempo. Il
provvedimento restrittivo della libertà personale, che così si
configura, sarebbe adottato sulla base non di elementi indiziari, ma di
meri sospetti, ed in definitiva della discrezionale e soggettiva
determinazione degli organi di polizia: spetta, si soggiunge, invero a
questi ultimi, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, di
valutare se sussistano i presupposti di fatto giustificativi della
perquisizione, mentre tale apprezzamento non è sindacabile dal
giudice. La riserva di legge stabilita nell’art. 13 Cost. rimarrebbe
nel caso in esame insoddisfatta anche alla stregua delle pregresse
decisioni di questa Corte, sull’assunto che difetta la
predeterminazione tassativa della fattispecie legale, indispensabile
perché la prevista restrizione della libertà personale possa operare
in conformità del dettato costituzionale.
b) La violazione dell’art. 13 è dedotta dal Tribunale di Rovigo
anche sotto questo riflesso: che la perquisizione serve secondo legge
al pronto ed efficace intervento della forza pubblica e della polizia
giudiziaria, in eccezionali situazioni di necessità ed urgenza, nelle
quali la sicurezza e l’ordine sociale risultano esposti a grave
pericolo; senonché, tolto il caso della flagranza di reato, simili
estremi difficilmente ricorrerebbero quando si tratta di accertare il
possesso non di armi o di esplosivi, bensì, come pur prevede il
disposto censurato, di strumenti di effrazione. Per questa via, si
asserisce, l’inviolabilità della libertà personale è posposta alla
tutela che invece sussiste riguardo alla lesione, anche solo sospetta,
di beni di minor rilievo costituzionale, quali sono quelli
patrimoniali.
c) Osserva ancora il Tribunale di Rovigo che la norma in questione
manca di vietare espressamente l’utilizzazione processuale delle
perquisizioni illegittime. Tale divieto è stato per esempio introdotto
nel codice di procedura penale, con riguardo alle intercettazioni
telefoniche (226 quinquies c.p.p.) dalla legge 18 aprile 1974, n.
98. Il non averlo configurato per il caso di specie concreterebbe,
sotto un ulteriore profilo, la lamentata infrazione all’art. 13 Cost.:
e ciò – precisa il giudice remittente – in considerazione delle
pronunzie, rese dalla Corte di Cassazione nel senso che la nullità per
omessa convalida delle perquisizioni eseguite dalla polizia giudiziaria
non implica l’inefficacia del contestuale sequestro. Così
orientandosi, la giurisprudenza avrebbe disatteso il precetto,
consacrato nell’art. 13 Cost., secondo cui qualsiasi provvedimento
restrittivo della libertà personale, adottato in difformità dalle
prescrizioni in detto articolo stabilite, resta necessariamente privo
di effetto.
d) Nessun pregio, sempre ad avviso del suddetto giudice, ha poi
l’interpretazione adeguatrice che della norma censurata propone una
parte della dottrina, per la quale la perquisizione è consentita agli
organi di polizia solo nei casi in cui può ai sensi del codice
disporla l’autorità giudiziaria (flagranza o fondato sospetto
dell’avvenuta commissione del reato). Tale tesi si assume contraddetta
dalla prassi della polizia e, prima ancora, dalla natura spiccatamente
preventiva che la perquisizione riveste nella disciplina in discorso;
anche ad accoglierla, si asserisce, non risulterebbe d’altra parte
eliminato un ulteriore ed autonomo motivo di censura, che deriva
dall’avere la disposizione in esame indifferentemente contemplato, ai
fini del provvedimento limitativo della libertà personale, atti
ricadenti nella sfera sia della polizia di sicurezza, sia della polizia
giudiziaria: senza, però, che, in ordine alla seconda categoria di
questi atti, sia previsto il possibile intervento del difensore, pur
sancito dal codice di rito, entro i limiti stabiliti dagli artt. 304
ter, terzo comma, e 224 c.p.p. Di qui l’asserita lesione dell’art. 24
Cost. Analoga censura, in relazione al parametro testé richiamato,
prospetta il Pretore di Pizzo. Le perquisizioni della polizia
giudiziaria, osserva infatti tale ultimo giudice, sono nel sistema del
codice coperte dalle previsioni degli artt. 304 bis e ter,
rispettivamente riguardanti gli atti cui possono assistere i difensori
e l’avviso ai difensori. Diverso risultato si imporrebbe, invece,
riguardo alle perquisizioni che vengono in rilievo nel presente
giudizio. Le suddette disposizioni generali del codice non sono state
espressamente richiamate dalla norrna censurata, né possono, ad avviso
del Pretore di Pizzo, venire estese alla specie in via
d’interpretazione, essendo la disciplina del caso in esame contenuta in
una normativa che tutela l’ordine pubblico ed ha carattere eccezionale.
Si versa dunque, vien dedotto, in un’ipotesi in cui il perquisito non
è avvertito della possibilità di farsi assistere da un difensore,
mentre il difensore non ha, dal canto suo, diritto al preavviso. Il
che, appunto, concreterebbe la prospettata lesione del diritto di
difesa.
2. – Le ordinanze in epigrafe sollevano la stessa questione. I
relativi giudizi sono pertanto riuniti e congiuntamente decisi.
3. – La Corte ritiene di dover preliminarmente controllare, in
punto di rilevanza, l’ammissibilità della questione. Giova a questo
riguardo considerare distintamente i due provvedimenti introduttivi del
presente giudizio.
4. – Diversamente dal Pretore di Pizzo, il Tribunale di Rovigo non
ha appositamente delibato la rilevanza della questione, ma non ha
trascurato di descrivere il caso di specie, di cui esso è investito; e
da tale descrizione risulta che le giudicabili – e l’autovettura, a
bordo della quale si trovavano – sono state perquisite dai carabinieri
subito dopo ricevuta notizia del reato alle stesse contestato (furto
pluriaggravato). Il che basta per affermare che gli organi della
polizia giudiziaria hanno agito nella quasi flagranza del reato, quindi
nell’esercizio – e nell’ambito – dei poteri loro conferiti ai sensi
degli artt. 224 e 237 del codice di procedura penale. Il censurato art.
4 della legge n. 152, che invece prevede, nei termini sopra
testualmente riportati, l’altra ipotesi della perquisizione sul posto,
non veniva per nessun verso in rilievo; e con ciò resta escluso che ne
sia stata fatta, come assume il Tribunale di Rovigo, applicazione nella
specie. La questione deve dunque ritenersi inammissibile.
5.1 – Nell’ordinanza del Pretore di Pizzo, la rilevanza della
questione forma invece, come si è premesso, oggetto di espressa e
puntuale delibazione, ed è così argomentata: a) la norma dedotta in
giudizio costituisce, nel vigente ordinamento, la sola base sulla quale
la perquisizione possa nel caso in esame ritenersi eseguita; b) detta
statuizione – norma eccezionale, si dice, e contenuta in una legge
sull’ordine pubblico (v. sopra, n. 1) – priverebbe il soggetto delle
garanzie di difesa, che lo assistono secondo le generali previsioni del
codice di rito (artt. 304 bis e ter e 224 c.p.p.): con il risultato che
il perquisito non sarebbe avvertito della possibilità di farsi
assistere da un difensore, e il difensore, dal canto suo, non avrebbe
diritto al preavviso; c) un’eventuale pronunzia di accoglimento, in
relazione alla prospettata lesione dell’art. 24 Cost., estenderebbe
alla specie le garanzie di cui si lamenta la mancata previsione; d)
l’imputato sarebbe stato tuttavia perquisito senza l’osservanza di tali
garanzie, con conseguente nullità “assoluta ed insanabile” della
perquisizione e di tutti gli altri atti compiuti.
Le deduzioni testé esposte non possono essere accolte. Soccorrono
in proposito le riflessioni svolte qui di seguito.
5.2 – Lo stesso giudice a quo, com’è riferito in narrativa,
asserisce che il verbale dell’avvenuta perquisizione non è stato
redatto e trasmesso, nell’apposito modulo ed entro il termine previsto
dalla disposizione censurata, alla competente autorità giudiziaria. Si
potrebbe, quindi, già per questo dubitare che nella specie difettino
gli estremi contemplati dal legislatore perché detta norma riceva
applicazione. Anche, poi, a voler condividere l’assunto del giudice a
quo, non si può consentire sulle conseguenze che egli ne trae, quanto
alla rilevanza della questione sollevata in riferimento all’art. 24
Cost. Posto, infatti, che la perquisizione nella specie cada sotto la
previsione dell’art. 4 della legge n. 152, si versa nel caso
eccezionale di necessità ed urgenza ivi configurato, che legittima
l’esercizio dell’attività di polizia, anche nella sfera della
prevenzione; tale sfera si atteggia peraltro, nella stessa
prospettazione del giudice a quo, come estranea e irriducibile al
sistema del processo penale: e se così è, una violazione del diritto
di difesa non è neppure ipotizzabile.
Invero, dove sussistano gli estremi della necessità ed urgenza,
con la conseguente impossibilità del tempestivo provvedimento
dell’autorità giudiziaria, la previa autorizzazione di quest’ultima
non è prescritta – occorre ricordare – nemmeno ai sensi dell’art. 224
del codice di rito, che ha riguardo, in via generale, alle
perquisizioni della polizia giudiziaria. In relazione all’ipotesi qui
considerata, il sistema processuale penale non esige né che il
perquisito sia avvertito della possibilità di avvalersi del diritto di
difesa, né che alcun preavviso sia dato al difensore: per il quale
ultimo la facoltà di intervento resta aperta se ne è in concreto
possibile l’esercizio, come risulta anche dalla giurisprudenza di
questa Corte (cfr. sentenze 63/72; 173/74). La richiesta estensione
delle previsioni del codice di procedura penale (artt. 224 e 304 ter)
al caso di specie – e così all’ambito in cui operano le eccezionali
esigenze di necessità ed urgenza, sottostanti alla legge n. 152 – non
potrebbe, allora, avere le conseguenze prospettate nell’ordinanza di
rinvio. Ammesso pure che il perquisito non sia stato avvertito della
possibilità di farsi assistere dal difensore, e che il difensore non
fosse presente nel luogo in cui sono intervenuti gli organi
perquirenti, ciò non implicherebbe la nullità della perquisizione: e
dunque, nemmeno la nullità di tutti gli atti successivi. La dedotta
rilevanza della questione, in conclusione, non sussiste.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 22 maggio 1975, n.
152, sollevata dal Pretore di Pizzo Calabro e dal Tribunale di Rovigo,
in riferimento agli artt. 13 e 24 Cost., con le ordinanze indicate in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 settembre 1983.
F.to: LEOPOLDO ELIA – MICHELE ROSSANO
– ANTONINO DE STEFANO – GUGLIELMO
ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI – GIUSEPPE FERRARI
– FRANCESCO SAJA – GIOVANNI CONSO –
ETTORE GALLO.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere