Sentenza N. 135 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
15/07/1969
Data deposito/pubblicazione
15/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
Codice civile, promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1967 dal
pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra Saba Filomena e
Dreyfus Renato, iscritta al n 47 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 dell’11
maggio 1968.
Visti gli atti di costituzione di Saba Filomena e d’intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del
Giudice Giuseppe Chiarelli.
1. – Con citazione 20 dicembre 1966, la signora Filomena Saba,
premesso di aver lavorato alle dipendenze e nell’abitazione del prof.
Renato Dreyfus a far data dal 7 settembre 1966, con servizio
giornaliero non inferiore alle quattro ore; di essere stata ricoverata
in ospedale il 30 ottobre, operata il 3 novembre e dimessa
dall’ospedale l’8 novembre; di aver dovuto proseguire la cura per il
decorso della malattia, terminato il 16 dicembre; di essere stata
licenziata il 13 novembre, perdurando lo stato di malattia; conveniva
davanti al pretore di Milano il prof. Dreyfus, chiedendone la condanna
al pagamento di lire 182.906 per: differenze retribuzione di ottobre,
retribuzione novembre e dicembre ex art. 2110 del Codice civile,
equivalente vitto per i periodi anzidetti e per ferie non godute,
tredicesima mensilità, indennità sostitutiva di preavviso e di
anzianità.
Si costituiva in giudizio il prof. Dreyfus, con comparsa di
risposta 27 novembre 1967. In essa si esponeva che a partire dal 30
ottobre la Saba si era assentata dal lavoro; ripresentatasi il 13
novembre con una gamba ingessata, aveva dichiarato di considerarsi
tuttora in servizio, riservandosi di comunicare quando avrebbe potuto
riprendere il lavoro. Il prof. Dreyfus le aveva fatto presente di aver
dovuto provvedere altrimenti per il disbrigo delle faccende domestiche.
In diritto il Dreyfus opponeva che al rapporto in contestazione non
erano applicabili le disposizioni proprie del rapporto di lavoro
nell’impresa, concernenti la conservazione del posto e il pagamento
della retribuzione in caso di malattia. Si riconosceva debitore di una
parte delle somme richieste, e insisteva perché il pretore convocasse
le parti per il tentativo di conciliazione a norma dell’art. 185 del
Codice di procedura civile.
2. – Il pretore, con ordinanza 5 dicembre 1967, premesso che la
norma applicabile nella specie è quella contenuta nell’art. 2242 del
Codice civile, secondo cui “il prestatore di lavoro (domestico) ammesso
alla convivenza familiare ha diritto… per le infermità di breve
durata, alla cura e alla assistenza medica”, rilevava che tale
disposizione lascia privi di tutela i lavoratori non ammessi alla
convivenza familiare, e, a parte tale discriminazione, offre ai
lavoratori domestici una tutela minore di quella assicurata agli altri
lavoratori dall’art. 2110 del Codice civile.
Sollevava pertanto d’ufficio la questione di legittimità
costituzionale del detto art. 2242, limitatamente alla riportata
disposizione, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della
Costituzione.
L’ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata.
3. – Si è costituita nel presente giudizio la signora Saba,
rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Laurelli, con deduzioni
depositate il 22 gennaio 1968.
In esse si rileva la insussistenza della questione sollevata dal
pretore, perché l’art. 2242 riguarda la cura e l’assistenza medica e
non il trattamento economico del lavoratore durante la malattia,
previsto dall’art. 2110, di cui si sostiene l’applicabilità al
rapporto di lavoro domestico. D’altra parte si osserva che, anche
relativamente al punto della cura e assistenza medica, l’art. 2242 è
stato superato dalla legge 18 gennaio 1952, n. 35, sulla estensione
dell’assicurazione obbligatoria malattie ai lavoratori domestici, la
quale tuttavia non contiene una normativa del trattamento economico;
resta pertanto applicabile l’art. 2110 del Codice civile.
Si chiede quindi che la Corte disattenda le questioni poste dal
pretore, perché esiste la disciplina del trattamento economico a
favore del lavoratore domestico in caso di malattia.
4. – Si è anche costituito il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
con deduzioni depositate il 31 maggio 1968.
In esse si osserva che l’obbligo della cura e dell’assistenza
medica, previsto dal primo comma dell’art. 2242, non esclude
l’assicurazione obbligatoria contro le malattie, anche per i non
conviventi. Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 2110 del
Codice civile al rapporto di lavoro domestico, si rileva
preliminarmente che, in virtù dell’art. 2239 del Codice civile, sono
estese a tutti i rapporti di lavoro subordinato le disposizioni della
sezione III, titolo II, dello stesso Codice, in quanto compatibili con
la specialità del rapporto, e tra le norme richiamate è compresa
quella del detto art. 2110. Si rileva quindi che era onere del pretore,
ai fini del giudizio di rilevanza, esaminare se la normativa dell’art.
2242 implicasse o non esclusione della disciplina di cui al predetto
art. 2110, e che in ogni caso era suo onere ricercare la normativa di
rinvio (legge, usi ed equità) in relazione al diritto di recesso, in
caso di malattia, nei confronti del lavoratore non convivente.
Posto che l’assistenza per malattia è stata per tutti puntualmente
disciplinata dalla legge, si conclude per l’infondatezza delle
questioni dedotte.
1. – L’ordinanza di rimessione a questa Corte prospetta la
questione della legittimità costituzionale dell’art. 2242 del Codice
civile, limitatamente alla parte in cui dispone che il prestatore di
lavoro domestico, ammesso alla convivenza familiare, ha diritto, per le
infermità di breve durata, alla cura e all’assistenza medica. Si
assume nell’ordinanza che tale norma contrasta con gli artt. 3 e 38
della Costituzione, perché pone una ingiustificata discriminazione tra
lavoratori ammessi e lavoratori non ammessi alla convivenza familiare,
e perché offre ai lavoratori domestici, rispetto all’evento di
malattia, una tutela assai minore di quella assicurata agli altri
lavoratori dall’art. 2110 dello stesso Codice civile.
La questione è infondata sotto entrambi i profili.
La norma impugnata riguarda le malattie che, per la loro breve
durata, esauriscono il loro corso nell’ambito familiare, e la cui cura
presuppone la continua presenza in casa dell’infermo. In
considerazione di tale situazione, differente da quella del prestatore
di lavoro che non partecipa alla convivenza, sono assicurate al
lavoratore, oltre la prestazione in danaro, le cure e l’assistenza che
sono proprie della vita familiare.
La norma non pone, pertanto, data l’obbiettiva diversità delle
situazioni, una ingiustificata discriminazione, all’interno della
categoria dei prestatori di lavoro domestico, tra conviventi e non
conviventi in famiglia.
Né, d’altra parte, è esatto che, per effetto della disposizione
impugnata, restino privi di qualsiasi tutela, per il caso di malattia,
i lavoratori non ammessi alla convivenza.
Infatti, indipendentemente dall’obbligo di prestare le cure
familiari ai conviventi, previsto dal primo comma dell’articolo 2242,
il secondo comma dello stesso articolo dispone che le parti debbano
contribuire alle istituzioni di previdenza e di assistenza, nei casi e
nei modi stabiliti dalla legge, ed è noto che la legge 18 gennaio
1952, n. 35, diretta all’attuazione dei principi di cui all’art. 38
della Costituzione, ha esteso l’assicurazione obbligatoria di malattia
a tutti i lavoratori addetti ai servizi personali e domestici,
indipendentemente dalla convivenza, e con la sola condizione che
prestino la loro opera almeno per quattro ore giornaliere.
La censura di incostituzionalità della norma impugnata non ha
pertanto fondamento, sia in riferimento all’art. 3 che all’art. 38
della Costituzione.
2. – Egualmente infondato è il motivo con cui si deduce
l’illegittimità costituzionale della norma perché da essa deriverebbe
ai prestatori di lavoro domestico una tutela limitatissima come si
esprime l’ordinanza, e assai minore di quella assicurata per l’evento
della malattia agli altri lavoratori dall’art. 2110 del Codice civile.
A parte la genericità con cui la censura è formulata, va notato
che anch’essa si basa sul presupposto che la disposizione contenuta nel
primo comma dell’art. 2242 racchiuda tutto il trattamento di malattia
che il legislatore ha voluto assicurare ai prestatori di lavoro
domestico, escludendo ogni altro trattamento per i casi diversi da
quello in essa considerato.
Se non che tale presupposto è inesatto, sia per la ragione già
detta che lo stesso art. 2242 contempla forme di previdenza e
assistenza, che hanno compreso, nella legislazione successiva,
l’assistenza per il caso di malattia, sia perché la norma impugnata
non preclude l’eventuale applicazione, al rapporto di lavoro domestico,
di norme relative al rapporto di lavoro inerente all’esercizio di
un’impresa.
Va considerato in proposito che le peculiari caratteristiche che
distinguono il rapporto di lavoro domestico dal rapporto di lavoro che
si svolge nell’organizzazione di un’impresa costituiscono la ragione
della speciale disciplina del rapporto, contenuta, oltre che nelle
norme del Codice civile, nella ricordata legge 18 gennaio 1952, n. 35,
e nella legge 2 aprile 1958, n. 339. Tale disciplina trova la sua
integrazione negli usi e nelle convenzioni, in quanto più favorevoli
al lavoratore (articolo 2240 del Codice civile), ma non esclude, per
quanto non sia da essa regolato, il ricorso alle norme relative al
rapporto di lavoro in impresa, in quanto compatibili con la specialità
del rapporto di lavoro domestico, ai sensi dell’art. 2239 del Codice
civile.
È competenza del giudice di merito valutare, tenuta presente
l’intera legislazione regolatrice della materia, se nella specie vi è
ragione di ricorrere all’art. 2110 del Codice civile e se le
disposizioni ivi contenute siano compatibili con la disciplina del
rapporto di lavoro domestico.
Tale indagine non trova ostacolo nella norma di cui al primo comma
dell’art. 2242, la quale non ha il contenuto negativo che l’ordinanza
le attribuisce. Non deriva pertanto da essa né una ingiustificata
discriminazione, a danno della categoria dei prestatori di lavoro
domestico, né un ostacolo all’attuazione, a favore di essa, dei
principi di cui all’art. 38 della Costituzione.
Non sussistendo il denuciato contrasto della norma impugnata con
gli artt. 3 e 38 della Costituzione, va dichiarata la infondatezza
della proposta questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2242, comma primo, del Codice civile, secondo cui “il
prestatore di lavoro (domestico) ammesso alla convivenza familiare ha
diritto… per le infermità di breve durata, alla cura e
all’assistenza medica”, sollevata, con ordinanza del pretore di Milano
5 dicembre 1967, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.