Sentenza N. 41 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
31/05/1965
Data deposito/pubblicazione
31/05/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
13/05/1965
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO – Prof. ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER
– Prof. GIOVANNI CASSANDRO – Prof. BIAGIO PETROCELLI – Prof. GIUSEPPE
BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof.
GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO, Giudici,
parte, del Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
4 giugno 1964 dal Tribunale di Locri nel procedimento penale a carico
di Crapanzano Michele, iscritta al n. 120 del Registro ordinanze 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25
luglio 1964.
Udita nella camera di consiglio del 16 marzo 1965 la relazione del
Giudice Michele Fragali.
Il Tribunale di Locri (ordinanza 4 giugno 1964) ha contestato la
legittimità costituzionale dell’art. 522, ultima parte, del Codice di
procedura penale, nel punto cioè in cui prescrive che il giudice di
appello decide in merito inappellabilmente quando riconosce erronea la
pronuncia di quello di primo grado che abbia dichiarato estinto il
reato o che abbia dichiarato che l’azione penale non poteva essere
iniziata o proseguita.
L’ordinanza osserva che la norma suddetta viola l’art. 24 della
Costituzione perché priva l’imputato di un grado del giudizio, in
difformità dal sistema generale che risulta dall’art. 36 del Codice di
procedura penale, nel testo modificato dalla legge 18 giugno 1955, n.
517; perciò è lesiva del diritto di difesa.
L’ordinanza è stata notificata al Presidente del Consiglio dei
Ministri il 24 giugno 1964 (l’imputato era presente all’udienza) e
comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della
Repubblica rispettivamente il 22 ed il 24 giugno 1964. È stata poi
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 182 del 25
luglio 1964.
Nessuno si è costituito innanzi a questa Corte.
1. – La questione deve reputarsi limitata all’ultima parte
dell’art. 522 del Codice di procedura penale, a quella cioè che
attribuisce al giudice di appello la potestà di decidere sul merito
quando riconosca erronea la sentenza del primo giudice con la quale sia
stato dichiarato estinto il reato o sia stato dichiarato che l’azione
penale non poteva essere iniziata o proseguita.
Rimane esclusa cioè dall’oggetto dell’odierno giudizio la parte
della norma denunciata che non ammette l’appello avverso la sentenza di
merito pronunziata nella nuova fase: questa esclusione non è
espressamente fatta nella ordinanza del giudice a quo, ma risulta dal
modo come è stata posta la questione di legittimità (sentenza 21
giugno 1960, n. 44).
Il tema di tale inappellabilità riguarda soltanto la fase
successiva alla pronunzia di merito; e non è supponibile che il
Tribunale ne abbia ritenuto rilevante l’esame ai fini di tale
pronunzia. È da credere perciò che esso abbia inteso che fosse più
conforme al precetto costituzionale invocato, anziché il suo obbligo
di pronunziare sul merito, come prescrive l’art. 522, ultima parte, del
Codice di procedura penale, quello di rinviare la causa al giudice di
primo grado dopo avere accertato la erroneità della sentenza appellata
per ciò che concerne le questioni pregiudiziali in essa decise. Il
richiamo che nell’ordinanza si fa all’art. 36 del Codice di procedura
penale conferma tale giudizio.
2. – La questione prospettata non ha però fondamento.
Altra volta questa Corte ha deciso (sentenza 8 marzo 1957, n. 46)
che il diritto di difesa si configura come possibilità effettiva
dell’assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi
processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga
rimosso ogni ostacolo a far valere le istanze e le ragioni delle
stesse.
Nel quadro di sviluppo di questa valutazione, non si può
sistemare, fra gli impedimenti ad una ampia esplicazione del
contraddittorio e della difesa, l’attribuzione al giudice di appello
della potestà di pronunciare sul merito in una fattispecie nella quale
quello di primo grado ha esaurito la sua funzione unicamente con la
decisione di questioni preliminari: il giudice al quale si è data
quella potestà è quello stesso che sarebbe stato chiamato al riesame
del merito ove il merito fosse stato trattato nella sentenza di primo
grado, ed è per una esigenza di economia processuale che è imposto al
magistrato di appello di trattenere il processo, in ipotesi in cui in
primo grado non si siano consumate nullità. Il diritto di difesa, in
tali casi, è stato assicurato innanzi al primo giudice perché la
parte non ha avuto, in quella fase, alcun limite alla discussione del
merito; e viene inoltre assicurato innanzi al secondo giudice, perché
quest’ultimo ha un potere di piena cognizione del merito, sia pure
entro l’ambito dei motivi di appello dedotti dal Pubblico Ministero, ed
ha anche il potere di rinnovare il dibattimento, così da escutere le
ulteriori prove che fossero pertinenti e rilevanti ai fini del migliore
risultato di giustizia.
Non è tanto la doppia istanza che garantisce la completa difesa,
ma piuttosto la possibilità di prospettare al giudice ogni domanda ed
ogni ragione che non siano legittimamente precluse; e la norma
denunciata non toglie questa possibilità quando, nell’ipotesi da essa
prevista, affida l’esame del merito al giudice di appello, anziché
rimetterlo a quello di primo grado in applicazione di quanto in via
generale è prescritto nell’art. 36 del Codice di procedura penale. A
prescindere dal discutere se il principio del doppio grado di
giurisdizione trovi una garanzia costituzionale, non è, del resto,
vano ricordare che esso non suole essere inteso nel senso che tutte le
questioni di un processo debbano essere decise da due giudici di
diversa istanza, ma nel senso che deve essere data la possibilità di
sottoporre tali questioni a due giudici di istanza diversa, anche se il
primo non le abbia tutte decise; e per giunta quel principio non trova
una formulazione recisa ed assoluta.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 522, ultima parte, del Codice di procedura penale, proposta
dal Tribunale di Locri con ordinanza del 4 giugno 1964, in riferimento
all’art. 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1965.
GASPARE AMBROSINI – GIUSEPPE CASTELLI
AVOLIO – ANTONINO PAPALDO – NICOLA
JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO – BIAGIO
PETROCELLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.