Sentenza N. 151 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott.
LUIGI OGGIONI, Giudici,
Codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 3 giugno
1966 dal giudice istruttore del Tribunale di Ivrea nel procedimento
penale a carico di Cappelletto Raimondo, iscritta al n. 137 del
Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 226 del 10 settembre 1966.
Visto l’atto di costituzione di Cappelletto Raimondo;
udita nell’udienza pubblica del 1 dicembre 1967 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
udito l’avv. Giovanni Conso, per il Cappelletto.
1. – Il sig. Raimondo Cappelletto, responsabile di atti osceni, era
stato prosciolto per totale infermità di mente dal pretore di Ivrea,
che contemporaneamente ne aveva ordinato il ricovero, per almeno due
anni, in un manicomio giudiziario.
Ricorreva pertanto in appello al Tribunale di Ivrea lamentando fra
l’altro di non essere stato mai interrogato e comunque, in mancanza di
contestazione del fatto e della notificazione del deposito della
perizia, di non esser stato messo in grado di difendersi: poiché il
pretore aveva agito applicando l’art. 398 del Codice di procedura
penale, di questa norma il Cappelletto denunciava sostanzialmente
l’illegittimità costituzionale.
Il giudice istruttore del Tribunale di Ivrea constatava che, nel
frattempo, l’art. 398 era stato dichiarato illegittimo perché non
prevedeva la contestazione del fatto e l’interrogatorio dell’imputato
(sent. 20 aprile 1966 n. 33 della Corte costituzionale); ma, aderendo
all’indirizzo seguito dalla Cassazione, riconosceva di non poter dare
efficacia retroattiva alla sentenza della Corte costituzionale e
dunque di non poter riformare, sotto questo aspetto la pronuncia del
pretore.
Sollevava perciò la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 376 del Codice di procedura penale, che avrebbe consentito a
lui, giudice istruttore, come l’art. 398 consentiva al pretore, di
dichiarare, senza interrogatorio o contestazione del fatto, non doversi
procedere nei confronti del Cappelletto.
L’art. 376 è analogo all’art. 398, che deve ritenersi
costituzionalmente illegittimo anche nel punto in cui permette il
proscioglimento senza interrogatorio o contestazione del fatto (così
l’ordinanza interpreta l’ampio dispositivo della pronuncia della Corte
costituzionale); e perciò al giudice istruttore non sembra infondato
additare l’urto dell’art. 376 con l’art. 24 della costituzione.
Specialmente nei casi di proscioglimento per mancanza di imputabilità
a cui segua una misura di sicurezza detentiva, l’assenza di
contestazione rivela il contrasto col principio della garanzia di
difesa processuale dell’imputato; il cittadino può vedersi ricoverato
in un manicomio giudiziario senza che abbia potuto far valere le
proprie ragioni e talora perfino, poiché il giudice è perito dei
periti, senza esser stato assoggettato a perizia; ma altrettanto accade
se il proscioglimento è motivato da legittima difesa e da altra causa
di giustificazione: anche in questi casi l’imputato dovrebbe esser
posto in grado di difendersi, di dimostrare cioè che non ha commesso
il fatto.
2. – La parte privata ha depositato il 2 luglio 1966 le sue
deduzioni, che ricalcano quelle del giudice istruttore.
Nella discussione orale essa ha richiamato le sentenze della Corte
in cui o si è dichiarata l’incostituzionalità di norme di proceduta
penale in quanto consentivano atti istruttori senza contestazione
dell’accusa o dell’interrogatorio o si è dichiarata l’infondatezza
della questione proprio perché quella o questo erano legislativamente
previsti nella prima fase del giudizio o nella fase immediatamente
successiva; ha notato, contro una sentenza della Cassazione, come il
deposito degli atti ex art. 372 del Codice di procedura penale
garantisca la c.d. difesa tecnica, ma non la difesa vera e propria; ha
insistito sulla dannosità in un proscioglimento che importa
limitazioni alla libertà personale (misure di sicurezza) o comunque
riconoscimento implicito della commissione d’un fatto previsto dalla
legge come reato: la Cassazione stessa ha riconosciuto l’interesse a
impugnare tali pronuncie di proscioglimento proprio allo scopo di
ottenere il rinvio a giudizio.
La parte ha concluso chiedendo che questa Corte estenda la
dichiarazione di incostituzionalità anche agli artt. 395 e 398 del
Codice di procedura penale.
1. – L’art. 376 del Codice di procedura penale dispone che non si
può prosciogliere l’imputato per concessione del perdono giudiziale o
per insufficienza di prove o per amnistia se non è stato interrogato o
se non gli è stato contestato il fatto in un mandato rimasto senza
effetto. Se ne è dedotto che, in tutti gli altri casi di
proscioglimento, l’interrogatorio o la contestazione dell’accusa non
siano necessari. Contro questa parte della norma, non scritta ma
implicita nella proposizione normativa, si dirige essenzialmente
l’ordinanza del giudice istruttore d’Ivrea, che vi scorge una
violazione del diritto di difesa (art. 24, comma secondo, della
costituzione).
La questione è fondata.
Lo stesso legislatore ha riconosciuto, in certi casi, che il
proscioglimento può ferire la dignità del cittadino allo stesso modo
d’una pronuncia di rinvio a giudizio: perciò ha stabilito che esso
sia preceduto da interrogatorio o contestazione del fatto cosicché
l’imputato sia messo in condizione di difendersi allo scopo di evitare
questo tipo di sentenza (art. 376, ora impugnato, e art. 398 del Codice
di procedura penale); per analogo motivo ha sancito l’impugnabilità
negli stessi e in altri casi (art. 387 del Codice di procedura
penale). Alcune fattispecie, come il proscioglimento per insufficienza
di prove, erano già incluse in queste norme al tempo della
pubblicazione del Codice; altre sono state aggiunte più tardi con la
riforma del 1955: e, quali che ne fossero le conclamate ragioni
politico- sociali, non c’è dubbio che fra esse dominava l’esigenza di
garantire il diritto di difesa (art. 24 della costituzione).
Ma il legislatore s’è fermato a metà strada. Non ha considerato
che la sentenza di proscioglimento in altre ipotesi può contenere o
comportare una misura di sicurezza limitatrice della libertà personale
(es. il proscioglimento per totale infermità di mente); in alcune,
neanch’esse richiamate dall’art. 376, può avere addirittura effetti
infamanti, quanto e più dello stesso rinvio a giudizio (es.
proscioglimento per intossicazione cronica da alcool o da
stupefacenti); in tutte, escluse le pronunciò emesse perché il fatto
non sussiste o non è stato commesso dal prevenuto, attribuisce
all’imputato un fatto, o non esclude l’attribuzione di un fatto, che
può non costituire reato ma tuttavia essere giudicato sfavorevolmente
dall’opinione pubblica o comunque dalla coscienza sociale.
Si deve aggiungere che queste sentenze di proscioglimento per loro
natura sono atte a cagionare un male almeno temporaneamente
irrimediabile: infatti, a differenza dalla pronuncia di rinvio, esse
chiudono il giudizio e perciò non consentono una seconda fase nella
quale, entro lo stesso grado del giudizio, si possa porre immediato
riparo a quel male. È soprattutto per questo che, nell’orbita
dell’art. 24 della costituzione, l’imputato, se non viene prosciolto
perché il fatto non sussiste o non è stato commesso da lui, deve
essere posto in condizione di difendersi tempestivamente, sia che il
giudice proceda ad atti istruttori sia che intenda proscioglierlo senza
procedervi. Questa Corte ha già osservato (vedi sentenze nn. 33 e 122
del 1966) come la garanzia per una adeguata difesa anche tecnica, nella
fase che si chiude con la sentenza istruttoria, sia costituita
essenzialmente dalla contestazione dell’accusa e dall’interrogatorio
dell’imputato (vedi, oltreché lo stesso art. 376, gli artt. 304, 365,
366, 390, 395 e 398 del Codice di procedura penale). Ne deriva che la
norma impugnata, là dove esclude l’obbligatorietà dell’uno e
dell’altra, non può non essere dichiarata costituzionalmente
illegittima.
Per analoghi motivi (vedi sentenza n. 52 del 1965) ed entro gli
stessi limiti, in applicazione dell’art. 27 legge 11 marzo 1953, n.
87, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt.
395, ultimo comma, e 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 376 del Giudice
di procedura penale nella parte in cui non prevede la contestazione del
fatto e l’interrogatorio dell’imputato ai fini del proscioglimento con
formula diversa da quella che il fatto non sussiste o non sia stato
commesso dall’imputato;
dichiara inoltre, in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale degli artt. 395, ultimo
comma, e 398, ultimo comma, del Codice di procedura penale nei limiti
in cui non prevedono la contestazione del fatto e l’interrogatorio
dell’imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quella
che il fatto non sussista o non è stato commesso dall’imputato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.