Sentenza N. 475 del 1993
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1993
Data deposito/pubblicazione
30/12/1993
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/12/1993
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.
Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
avv. Massimo VARI;
comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312 (Interventi straordinari ed
integrativi in favore degli enti autonomi lirici e delle istituzioni
concertistiche assimilate), promosso con ordinanza emessa il 9
aprile-23 ottobre 1992 dal Consiglio di Stato – Sezione VI
giurisdizionale – sul ricorso proposto da Musilli Maria contro l’Ente
autonomo Teatro San Carlo di Napoli, iscritta al n. 214 del registro
ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 20, prima serie speciale, dell’anno 1993;
Visto l’atto di costituzione di Musilli Maria nonché l’atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il giudice
relatore Francesco Guizzi;
Uditi l’avvocato Giorgio della Valle per Musilli Maria e
l’avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del
Consiglio dei ministri;
giudicando sul ricorso in appello proposto da Maria Musilli per
l’annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo per la
Campania 26 marzo 1987, n. 173 (che ha negato alla ricorrente il
diritto a permanere in servizio dopo i sessant’anni, limite massimo
d’età previsto dall’accordo collettivo di lavoro), ha sollevato, in
relazione agli artt. 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6,
secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312, nella parte in cui
esclude che si applichi ai dipendenti non artisti degli enti lirici
autonomi quanto disposto dall’art. 6 del decreto-legge 22 dicembre
1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio
1982, n. 54.
Il citato art. 6 della legge n. 312 del 1984 affida la disciplina
giuridica ed economica dei rapporti di lavoro dei dipendenti (non
artisti) degli enti lirici autonomi ai contratti collettivi di
categoria e dichiara non applicabili la legge 20 marzo 1975, n. 70,
la legge 29 marzo 1983, n. 93, e soprattutto l’art. 6 del
decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con
modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54. Per il personale
sopra menzionato non vale dunque la norma introdotta da detto art. 6,
in base alla quale il limite d’età per la cessazione dell’obbligo
assicurativo può essere potestativamente protratto fino al
sessantacinquesimo anno di età.
Osserva il giudice a quo che l’art. 6 del decreto-legge n. 791 del
1981 riguarda tutti i lavoratori subordinati obbligati
all’assicurazione di vecchiaia e non ancora provvisti dell’anzianità
contributiva massima. In tale quadro, una limitazione, posta ad una o
più categorie di assicurati, della possibilità consentita da detta
norma generale di pervenire a quell’anzianità, senza che essa si
fondi su sostanziali e pertinenti differenze di situazione, deve
essere verificata alla luce dell’art. 3 della Costituzione. Tanto
più che l’art. 38, secondo e quarto comma, della Costituzione
garantisce ai lavoratori il diritto a mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita, anche in vecchiaia. I mezzi siffatti possono essere
certo diversificati relativamente alla durata della vita, ma non
possono esserlo per effetto di situazioni che provochino differenze
rispetto agli altri lavoratori, senza che siano predisposte misure
compensative.
L’art. 4 della Costituzione riconosce poi a tutti i cittadini il
diritto al lavoro: tale riconoscimento sarebbe gravemente limitato se
trovasse nella legge diversa dimensione di durata per singole
categorie di cittadini rispetto alle altre senza valida ragione
distintiva; ciò vale tanto più quando la differenziazione opera
all’interno della medesima categoria, quella dei lavoratori
subordinati iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per
l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
Il criterio di differenziazione non potrebbe, infine, ravvisarsi
nelle difficoltà di bilancio degli enti lirici autonomi.
2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l’infondatezza della questione. La mancata estensione
ai dipendenti non artisti degli enti lirici della facoltà di
continuare a prestare la loro opera per raggiungere l’anzianità
contributiva massima, o comunque per incrementarla, rientra nella
discrezionalità del legislatore, sempre che non si tratti – ma non
è il caso di specie – del raggiungimento del minimo pensionabile (si
cita la sentenza di questa Corte n. 90 del 1992).
3. – È intervenuta in giudizio la ricorrente, sostenendo la
fondatezza della questione e sottolineando, in particolare, come le
disparità di mero fatto non possano costituire elemento
discriminante per un diverso trattamento di situazioni omogenee.
4. – In una memoria pervenuta nell’imminenza dell’udienza,
l’Avvocatura generale afferma che l’art. 6 della legge n. 312 del
1984, nel demandare la regolamentazione del trattamento economico e
normativo del personale (ivi compresa la materia del collocamento a
riposo) ai contratti collettivi nazionali di lavoro, ha creato un
“ordinamento settoriale autonomo”, sottratto, in ragione della
peculiarità del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti lirici,
alla disciplina generale dettata in materia di lavoro; tale
peculiarità risulta accentuata dall’art. 3 del decreto-legge 11
settembre 1987, n. 374, convertito, con modificazioni, nella legge 29
ottobre 1987, n. 450, in base al quale ai dipendenti degli enti
lirici si applica la normativa vigente per i dipendenti degli enti
pubblici economici.
Aggiunge l’Avvocatura che la specialità di siffatto ordinamento
è stata riconosciuta dallo stesso Consiglio di Stato che, in
precedenti decisioni, ha affermato il contenuto precettivo dell’art.
6 della citata legge n. 312 del 1984, ritenendo manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale di tale
articolo, per preteso contrasto con l’art. 3 della Costituzione. Una
volta ammessa la specialità del rapporto di lavoro del personale in
esame, sarebbe contraddittorio sostenere la discriminazione di tali
lavoratori per quella sola parte dell’art. 6, citato, che in materia
pensionistica ribadisce la specialità.
agli articoli 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione,
della legittimità dell’art. 6, secondo comma, della legge 13 luglio
1984, n. 312, nella parte in cui esclude, per i dipendenti non
artisti degli enti lirici autonomi (per i quali gli accordi
collettivi di lavoro prevedono il limite massimo d’età di 60 anni
per il collocamento a riposo), l’applicabilità dell’art. 6 del
decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con
modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, impedendo così a
tali dipendenti di prestare la loro opera fino al raggiungimento
dell’anzianità contributiva massima, entro il limite del
sessantacinquesimo anno di età.
2. – La questione è infondata.
Vanno esaminate per prime le censure mosse con riferimento agli
articoli 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione. Il
giudice a quo sottolinea come le citate norme costituzionali
garantiscano ai lavoratori il diritto a mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita in vecchiaia, e a tutti i cittadini il diritto al
lavoro ed alla promozione di tutte le condizioni che lo rendano
effettivo. Un simile riconoscimento, sostiene il rimettente, sarebbe
gravemente limitato se, in mancanza di valida ragione distintiva,
trovasse nella legge maggiore o minore dimensione temporale per
singole categorie di cittadini.
Questa Corte ha già chiarito come in tale materia il bene
costituzionalmente protetto sia rappresentato dal conseguimento della
pensione “al minimo”, mentre non gode di uguale protezione il
raggiungimento del trattamento pensionistico massimo; in particolare,
la disciplina legislativa sul trattenimento in servizio, al di là
del limite d’età fissato per il collocamento a riposo, rientra nella
sfera di discrezionalità del legislatore, statale o regionale,
sempre che non sia violato il canone di razionalità (v., fra le più
recenti, le sentt. nn. 374 e 90 del 1992, e nn. 491, 490 e 440 del
1991, nonché le ordd. nn. 442, 434, 347 e 170 del 1992).
La Corte ha precisato altresì (v. la già citata sent. n. 374 del
1992) che spetta al legislatore apprezzare l’esistenza di esigenze
differenti per le varie categorie di pubblici dipendenti. Dalla norma
denunziata non discende, d’altronde, una indebita compressione della
tutela previdenziale, in quanto il diritto al trattamento di
vecchiaia è soltanto regolamentato nel quantum, secondo i principi
generali del diritto previdenziale.
Sulla base di questi principi, che la Corte ritiene qui di
confermare, si rivela dunque infondata la doglianza mossa dal giudice
a quo con riferimento agli articoli 4 e 38, secondo e quarto comma,
della Costituzione.
3. – Resta da verificare se la norma denunziata – nella parte in
cui esclude l’applicabilità dell’art. 6 del decreto-legge n. 791 del
1981, convertito, con modificazioni, nella legge n. 54 del 1982,
negando ai dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi la
facoltà di protrarre il rapporto oltre il limite massimo di età –
sia fonte di una discriminazione irragionevole: è, questa, la
censura di maggior rilievo che anima l’intero impianto dell’ordinanza
di rimessione.
L’esclusione, per i dipendenti degli enti autonomi lirici, della
norma introdotta dall’art. 6 del citato decreto-legge n. 791 del
1981, non va considerata, invero, quale dato a sé stante, ma
ricondotta alla peculiarità di detti enti rispetto ad altre
amministrazioni pubbliche, secondo quanto riconosciuto dal
legislatore.
Tale peculiarità si manifesta, assai più che nell’esclusione
dall’art. 6 del citato decreto-legge n. 791 del 1981, nella
circostanza che per siffatti enti (e per le istituzioni assimilate)
non si applica, addirittura, la legge quadro per il pubblico impiego
(legge 29 marzo 1983, n. 93), e la normativa generale sugli enti
pubblici non economici (legge 20 marzo 1975, n. 70). Coerentemente
con tale impostazione, il primo comma dell’art. 6 della legge n. 312
del 1984 demanda ai contratti collettivi nazionali di lavoro la
disciplina non soltanto del trattamento economico, ma anche di quello
normativo. È poi degno di nota che, successivamente, il legislatore
abbia esteso ai dipendenti degli enti lirici autonomi la normativa
vigente per il personale degli enti pubblici economici (art. 3 del
decreto-legge 11 settembre 1987, n. 374, convertito, con
modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 450).
Non appare dunque arbitraria la scelta del legislatore di
diversificare la situazione di una categoria di dipendenti, con una
serie di misure, in sé coerenti, apprezzandone la specialità fino
al punto da affidare la disciplina della stessa parte “normativa”
alla contrattazione, impedendo nel contempo l’applicabilità di una
disposizione come quella introdotta dall’art. 6 del già citato
decreto-legge n. 791.
Tali considerazioni impongono di rigettare il dubbio di
costituzionalità avanzato con riguardo all’art. 3 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 6, secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312
(Interventi straordinari ed integrativi in favore degli enti autonomi
lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate), nella parte in
cui esclude, per i dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi,
l’applicabilità dell’art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n.
791 (Disposizioni in materia fallimentare), convertito, con
modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, sollevata, in
riferimento agli articoli 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della
Costituzione, dalla VI sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1993.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: GUIZZI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1993.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA