Ordinanza N. 468 del 1997
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1997
Data deposito/pubblicazione
30/12/1997
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1997
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
d.lgs.lgt. 21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all’ordinamento del
Corpo degli agenti di custodia delle carceri), nonché dell’art. 126
della legge 18 febbraio 1963, n. 173; dell’art. 29, comma 2, della
legge 15 dicembre 1990, n. 395; dell’art. 1, comma 3, del d.-l. 29
gennaio 1992, n. 36, convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213,
e dell’art. 17, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa l’8
novembre 1996 dal tribunale amministrativo regionale della Calabria,
iscritta al n. 103 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale,
dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 26 novembre 1997 il giudice
relatore Valerio Onida;
Ritenuto che, con ordinanza emessa l’8 novembre 1996, pervenuta a
questa Corte il 25 febbraio 1997, il tribunale amministrativo
regionale della Calabria ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 4, primo comma, 3 e 52,
secondo comma, della Costituzione, dell’art. 4, n. 8, del d.lgs.lgt.
21 agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all’ordinamento del Corpo degli
agenti di custodia delle carceri), nonché “delle norme legislative
che ne estendono l’operatività”, indicate nell’art. 126 della legge
18 febbraio 1963, n. 173, nell’art. 29, comma 2, della legge 15
dicembre 1990, n. 395, nell’art. 1, comma 3, del d.-l. 29 gennaio
1992, n. 36, convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213, e
nell’art. 17, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, “nella parte in cui condizionano
l’arruolamento nel Corpo degli agenti di custodia (ora Corpo di
polizia penitenziaria: art. 1 della legge 15 dicembre 1990, n. 395)
al possesso del requisito di “non aver riportato qualifiche inferiori
a quella di buono durante il servizio militare””;
che il giudice a quo riferisce come al ricorrente nel giudizio
incidentato sia stato negato, con provvedimento dell’8 maggio 1993,
l’arruolamento nel Corpo di polizia penitenziaria, per difetto del
requisito predetto, ancorché egli avesse sostenuto favorevolmente le
prove psico-attitudinali;
che, ad avviso del remittente, le norme denunciate contrastano
anzitutto con il diritto al lavoro sancito dall’art. 4, primo comma,
della Costituzione, in quanto, da un lato, porrebbero all’accesso ad
un posto di lavoro un limite discriminatorio e privo di ragionevole
giustificazione, in ragione di valutazioni conseguenti ad attività
svolte durante il servizio di leva, anche, come nel caso di specie,
in settori non attinenti all’ambito dell’addestramento e della
disciplina militare, in relazione ad incarichi, espletati durante
detto servizio, non coerenti con la preparazione culturale e
professionale dell’interessato; dall’altro lato, imporrebbero un
requisito non giustificabile in base ad alcuna esigenza collettiva,
trattandosi di accedere ad un corpo ormai civile, ed essendo previste
modalità di accertamento dell’idoneità fisica e attitudinale degli
aspiranti, la valutazione della cui sussistenza dovrebbe togliere
rilievo alla qualifica riportata durante il servizio militare;
che, in secondo luogo, l’autorità remittente dubita della
conformità delle norme impugnate al principio costituzionale di
eguaglianza, in quanto esse introdurrebbero per gli aspiranti
all’arruolamento nel Corpo in questione una disciplina differenziata
rispetto ad altre categorie di lavoratori, priva di ragionevole
giustificazione per le ragioni già dette;
che infine, secondo il giudice a quo sussisterebbe un contrasto
con l’art. 52, secondo comma, della Costituzione, in quanto verrebbe
pregiudicata dal servizio militare la posizione di lavoro del
cittadino, in assenza di un interesse pubblico o comunque
superindividuale meritevole di tutela;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o
comunque infondata, in quanto non sarebbe ravvisabile nella normativa
impugnata alcun contrasto con i parametri costituzionali invocati;
Considerato che il remittente afferma che l’art. 4, n. 8, del
decreto legislativo luogotenenziale n. 508 del 1945 sarebbe stato
mantenuto in vigore dalle disposizioni insieme ad esso impugnate, e
sarebbe stato abrogato solo dall’art. 5 del d.lgs. 30 ottobre 1992,
n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria,
a norma dell’art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395),
ma non argomenta in alcun modo circa la compatibilità della norma
impugnata con la legge n. 395 del 1990 (Ordinamento del Corpo di
polizia penitenziaria), che ha disciolto il Corpo militare degli
agenti di custodia e ha istituito il Corpo civile di polizia
penitenziaria: compatibilità alla quale l’art. 29, comma 2, della
stessa legge di riforma condizionava la perdurante applicabilità,
nel periodo precedente l’entrata in vigore del nuovo regolamento di
servizio, della previgente normativa recata, fra l’altro, dal decreto
legislativo luogotenenziale n. 508 del 1945;
che, soprattutto, il remittente non spiega in base a quale iter
logico abbia ritenuto applicabile alla specie la disposizione
dell’art. 4, n. 8, del decreto legislativo luogotenenziale n. 508
del 1945, tenendo conto che l’atto amministrativo dinanzi ad esso
impugnato – datato 8 maggio 1993 – è posteriore all’entrata in
vigore del nuovo ordinamento del personale, recato dal decreto
legislativo n. 443 del 1992, il cui art. 5, che ridefinisce i
requisiti per l’accesso al Corpo di polizia penitenziaria, è
sicuramente incompatibile con la predetta disposizione, come lo
stesso giudice a quo avverte; e che l’art. 1, comma 3, del
decreto-legge n. 36 del 1992 a cui fa rinvio anche l’art. 17, comma
2, del decreto-legge n. 306 del 1992 “come del resto,
successivamente, l’art. 2, comma 1, del d.-l. 28 maggio 1993, n. 163,
convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1993, n. 254, e,
implicitamente, l’art. 1, comma 1, del d.-l. 10 giugno 1994, n. 356,
convertito dalla legge 8 agosto 1994, n. 488 – disponeva bensì che
l’assunzione di nuovo personale nel Corpo di polizia penitenziaria
avvenisse, in via transitoria, seguendo le “procedure” previste dalla
normativa anteriore alla riforma del Corpo, ma non in base ai
requisiti richiesti da tale normativa per l’assunzione;
che per verificare l’applicabilità della norma denunciata si
sarebbe altresì dovuto tenere conto del fatto che le assunzioni
previste dalla citata normativa transitoria non avvenivano in base ad
un procedimento concorsuale, nell’ambito del quale fosse fissato un
termine di presentazione delle domande, alla cui scadenza dovessero
essere posseduti i requisiti richiesti, bensì in base a domande di
arruolamento e ad accertamenti di idoneità fisica e attitudinale
(cfr. artt. 6 e 7 del r.d. 30 dicembre 1937, n. 2584; art. 5 del
decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 508; artt.
127 e 128 della legge 18 febbraio 1963, n. 173); e del fatto che alle
domande di assunzione già presentate, anche prima della riforma del
Corpo, la medesima legislazione transitoria attribuiva ultrattività
ai fini delle procedure di assunzione da essa regolate (cfr. art. 2
del decreto-legge n. 163 del 1993; art 1 del decreto-legge n. 356 del
1994);
che la motivazione sulla rilevanza, offerta dal giudice a quo
risulta dunque insufficiente;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 4, n. 8, del d.lgs. lgt. 21
agosto 1945, n. 508 (Modificazioni all’ordinamento del Corpo degli
agenti di custodia delle carceri), nonché dell’art. 126 della legge
18 febbraio 1963, n. 173 (Stato giuridico dei sottufficiali e dei
militari di truppa del Corpo degli agenti di custodia), dell’art. 29,
comma 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo
di polizia penitenziaria), dell’art. 1, comma 3, del d.-l. 29 gennaio
1992, n. 36 (Provvedimenti urgenti per il Corpo di polizia
penitenziaria e istituzione dell’Ufficio centrale per la giustizia
minorile), convertito dalla legge 29 febbraio 1992, n. 213, e
dell’art. 17, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche
urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di
contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, sollevata, in riferimento agli
artt. 4, primo comma, 3 e 52, secondo comma, della Costituzione, dal
tribunale amministrativo regionale per la Calabria con l’ordinanza
indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.
Il cancelliere: Fruscella