Sentenza N. 98 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
10/06/1969
Data deposito/pubblicazione
10/06/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/05/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE, Giudici,
primo comma, seconda parte, del contratto collettivo nazionale 3
gennaio 1939, tuttora in vigore ex art. 43 del decreto legislativo
luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, e dell’art. 36 del regio
decreto 20 dicembre 1932, n. 1705 (disciplina del trattamento di
malattia degli operai dell’industria e degli addetti al commercio),
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1968 dal Tribunale di Vercelli
nel procedimento civile vertente tra l’Istituto nazionale per
l’assicurazione contro le malattie e il fallimento della ditta Ferriere
di Crescentino, iscritta al n. 32 del Registro ordinanze 1968 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30
marzo 1968;
2) ordinanza emessa il 26 novembre 1968 dalla Corte d’appello di
Catanzaro nel procedimento civile vertente tra la ditta Giuseppe Gatto
e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie, iscritta
al n. 12 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969.
Visti gli atti di costituzione dell’Istituto nazionale per
l’assicurazione contro le malattie e d’intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del
Giudice Enzo Capalozza;
uditi l’avv. Arturo Carlo Jemolo, per l’I.N.A.M., ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso di una procedura fallimentare nei confronti della
ditta Ferriere di Crescentino, pendente dinanzi al Tribunale di
Vercelli, quella sede provinciale dell’Istituto nazionale assicurazioni
contro le malattie – I.N.A.M. – chiedeva al giudice delegato
l’ammissione tardiva, in via privilegiata, di un credito ammontante a
lire 119.777, per diritti di rivalsa, risultanti da estratti conti del
3 dicembre 1964 e del 21 marzo 1966.
Con ordinanza del 17 gennaio 1968, il Tribunale ha sollevato,
d’ufficio, in riferimento all’art. 3, primo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma,
seconda parte, del contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939 sulla
disciplina del trattamento di malattia degli operai dell’industria –
tuttora vigente per l’art. 43 del decreto legislativo luogotenenziale
23 novembre 1944, n. 369 – nel presupposto che la denunziata
disposizione, in forza di tale decreto luogotenenziale, abbia
acquistato valore di legge formale.
Osserva al riguardo il Tribunale ridetto che, alla stregua di
quanto risulterebbe implicitamente dal pacifico orientamento della
dottrina e della giurisprudenza, nonché, incidentalmente, da alcune
sentenze di questa Corte, oltre che dalla stessa dizione adottata nel
citato decreto luogotenenziale, le norme da questo mantenute in vigore,
al pari delle altre norme corporative nel cessato ordinamento, pur
essendo di diritto oggettivo valide erga omnes, non avrebbero valore di
legge formale, bensì sarebbero subordinate alle norme di legge ed a
quelle regolamentari.
Il giudice ordinario, di conseguenza, dovrebbe accertare egli
stesso la sussistenza della dedotta incostituzionalità, in riferimento
agli artt. 3 e 23 della Costituzione, in quanto la disposizione
denunziata prevede il diritto dell’Istituto di rivalersi, sul datore di
lavoro inadempiente o moroso nel pagamento dei contributi, del costo
delle prestazioni corrisposte, congiuntamente al pagamento dei
contributi arretrati, gravati dagli interessi di mora.
Deduce, per altro, il tribunale che la Cassazione, con sentenza 10
agosto 1966, n. 2186, nel respingere l’eccezione di incostituzionalità
della norma, si sarebbe espressa nel senso che l’art. 43 del citato
decreto legge luogotenenziale avrebbe conferito “vigore di legge ai
contratti collettivi vigenti prima dello scioglimento dell’ordinamento
sindacale corporativo”, con la conseguente sopravvenuta efficacia di
legge del contratto de quo.
In accoglimento di questa tesi, il Tribunale ravvisa la non
manifesta infondatezza della questione sollevata in riferimento
all’art. 3, primo comma, della Costituzione, per palese
irragionevolezza del trattamento differenziato tra datori di lavoro che
versino tempestivamente i contributi e datori di lavoro morosi, tenuti
a corrispondere all’Istituto, oltre ai contributi gravati degli
interessi di mora, anche il costo delle prestazioni assicurative.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968. Nel
giudizio innanzi a questa Corte si è costituito l’I.N.A.M. con
deduzioni depositate il 17 aprile 1968.
Il Presidente del Consiglio, rappresentato e difeso dalla
Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto con atto depositato
l’11 aprile 1968.
Entrambe le parti chiedono che la questione sia dichiarata non
fondata.
La difesa dell’I.N.A.M. premette che la materia della inadempienza
e della mora dei datori di lavoro è ora regolata dall’art. 3 della
legge 24 ottobre 1966, n. 934, e che la questione che forma oggetto
dell’ordinanza ha rilievo solo per il periodo anteriore all’entrata in
vigore di tale legge. Osserva, poi, che la denunziata disposizione sul
trattamento degli inadempimenti fu accettata dai datori di lavoro con
l’approvazione del contratto collettivo: la tesi che questo contratto,
con il suo mantenimento in vigore, sia stato elevato a legge formale
dal decreto legge luogotenenziale n. 369 del 1944, non troverebbe
suffragio nella richiamata sentenza della Cassazione.
Sulla dedotta violazione, precisa che essa riguarderebbe unicamente
la pretesa irragionevolezza del diverso trattamento tra la categoria
dei datori di lavoro che versano tempestivamente i contributi e quella
dei datori di lavoro morosi; ogni altra considerazione dell’ordinanza
di rimessione sarebbe diretta a dimostrare la particolare severità del
trattamento fatto a questa seconda categoria e, risolvendosi in una
critica alla legge, esulerebbe dall’ambito di un sindacato di
costituzionalità.
A sostegno delle sue conclusioni, la difesa dell’Istituto deduce la
obiettiva diversità di situazioni fra le due categorie; richiama la
giurisprudenza di questa Corte sul principio di eguaglianza e sulla
necessità del puntuale versamento dei contributi; ed accenna, infine,
agli argomenti posti a sostegno della sentenza della Cassazione
disattesa dal tribunale.
L’Avvocatura generale dello Stato, nel chiedere che la questione
sia dichiarata non fondata, assume la natura mista – sanzionatoria e
risarcitoria – del diritto di rivalsa, il quale, alla stregua del
sistema adottato, non sarebbe sfornito di una sua precisa e concreta
giustificazione. Infatti, le omissioni e i ritardi nel versamento dei
contributi sono colpiti da una lieve sanzione penale e da una sanzione
civile, in misura assai modesta, consistente nell’addebito dei soli
interessi.
L’Avvocatura generale ricorda, da ultimo, la procedura che consente
la composizione amministrativa, per sottolineare il carattere
sanzionatorio del diritto di rivalsa, di cui sostiene, altresì, la
natura risarcitoria, al pari del duplice carattere – sanzionatorio e
risarcitorio – riconosciuto, con la sentenza di questa Corte n. 76 del
1966, alla “somma aggiunta” dovuta all’I.N.P.S., unitamente agli
interessi di mora e ai contributi omessi.
La difesa dell’I.N.A.M., in una breve memoria depositata il 21
aprile 1969, deduce l’inammissibilità della questione, richiamando le
sentenze n. 1 del 1963 e n. 76 del 1969 della Corte costituzionale.
2. – Un’analoga questione di legittimità costituzionale circa la
stessa disposizione del suindicato contratto collettivo, nonché
dell’art. 36 del regio decreto 20 dicembre 1932, n. 1705, contenente
una norma sostanzialmente identica, è stata sollevata, in riferimento
agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte d’appello di
Catanzaro, con ordinanza del 26 novembre 1968, nel corso di un giudizio
di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per diritti di rivalsa a
favore della sede provinciale di Cosenza dell’I.N.A.M. contro la ditta
Gatto Giuseppe.
La non manifesta infondatezza della questione viene, in sostanza,
motivata come nella precedente ordinanza di rimessione del tribunale di
Vercelli.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 26 febbraio 1969.
Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituito soltanto
l’I.N.A.M. con deduzioni depositate il 6 febbraio 1969; nelle quali si
sviluppano, fra l’altro, le argomentazioni svolte nel giudizio promosso
con l’ordinanza 17 gennaio 1968 del tribunale di Vercelli e si chiede
che la questione sia dichiarata infondata.
Da parte della difesa dell’Istituto, si sostiene, in particolare,
che l’entità delle evasioni contributive sarebbe maggiore di quella
attuale, se sanzioni di una certa gravità non scoraggiassero
l’imprenditore dall’omettere o ritardare il versamento dei contributi.
Sulla predetta disparità, che sembra essere adombrata
nell’ordinanza, tra datori di lavori inadempienti, i cui dipendenti non
si ammalino, e quelli, invece, i cui dipendenti contraggano una
malattia dalla quale consegua il diritto di rivalsa dell’I.N.A.M., si
deduce essere ovvio che il rimborso vada commisurato alle spese
sopportate. Si nega pure che l’Istituto, quando abbia ricevuto i
contributi arretrati e gli interessi di mora, venga a trovarsi in una
situazione identica a quella conseguente al tempestivo versamento dei
contributi. Al riguardo, si osserva che non può ravvisarsi eguaglianza
di posizione tra chi rispetta la legge e chi vi disobbedisce; si fa
richiamo agli argomenti della sentenza n. 76 del 1966 di questa Corte
sulla “somma aggiunta” dovuta all’I.N.P.S.; si esclude la pretesa
violazione dell’art. 53 della Costituzione, che non sarebbe invocabile
nel caso del diritto di rivalsa, stante la sua natura sanzionatoria e
risarcitoria.
1. – Le due cause, unitamente trattate, hanno per oggetto
un’analoga questione di legittimità costituzionale e vanno perciò
decise con unica sentenza.
2. – Un’analoga questione di legittimità costituzionale circa la
stessa disposizione del suindicato contratto collettivo, nonché
dell’art.36 del regio decreto 20 dicembre 1932, n.1705, contenente una
norma sostanzialmente identica, è stata sollevata, in riferimento agli
artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Catanzaro,
con ordinanza del 26 novembre 1968, nel corso di un giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo emesso per diritti di rivalsa a favore
della sede provinciale di Cosenza dell’I.N.A.M. contro la ditta Gatto
Giuseppe.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
sollevate con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE.