Sentenza N. 454 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
30/12/1998
Data deposito/pubblicazione
30/12/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
16/12/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof.
Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
degli artt. 1 e 5 della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in
materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori
extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine),
promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1997 dal pretore di
Trieste, iscritta al n. 233 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie
speciale, dell’anno 1998;
Udito nella camera di consiglio del 14 ottobre 1998 il giudice
relatore Valerio Onida;
politico di nazionalità somala, riconosciuto invalido con una
perdita permanente della capacità lavorativa pari al 79%, chiede che
sia dichiarato il suo diritto ad essere iscritto nell’elenco dei
lavoratori invalidi civili da avviare obbligatoriamente al lavoro ai
sensi della legge 2 aprile 1968, n. 482, il pretore di Trieste ha
sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli articoli 10, primo e secondo comma, 2 e 3 della
Costituzione, del combinato disposto degli artt. 1 e 5 della legge 30
dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di collocamento e di
trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le
immigrazioni clandestine), nella parte in cui, nell’attribuire al
Ministro del lavoro il potere di fissare le direttive in materia di
impiego e di mobilità professionale dei lavoratori subordinati
extracomunitari, “non assicura il diritto degli extracomunitari
invalidi civili di essere iscritti nell’elenco di cui all’art. 19
della legge n. 482” del 1968.
Premette il remittente che, per effetto del rinvio contenuto
nell’art. 17 della convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951
relativa allo statuto dei rifugiati, resa esecutiva in Italia con
legge 24 luglio 1954, n. 722, al ricorrente nel giudizio a quo deve
estendersi il trattamento previsto dalla legge n. 943 del 1986 per i
lavoratori extracomunitari. Tale legge, mentre all’art. 1 garantisce
ai lavoratori extracomunitari legalmente residenti in Italia “parità
di trattamento e piena uguaglianza di diritti” rispetto ai lavoratori
italiani, all’art. 5, nell’abilitare il Ministro del lavoro a dettare
direttive di carattere generale in materia di impiego e di mobilità
professionale di lavoratori extracomunitari, nulla dice in ordine al
diritto degli extracomunitari invalidi ad essere iscritti
nell’apposito elenco per l’avviamento obbligatorio al lavoro.
Ad avviso del giudice a quo pertanto, allo stato dovrebbe
escludersi, in difetto di una puntuale previsione normativa, il
diritto invocato in giudizio dal ricorrente.
Tale “interpretazione”, che sarebbe la più aderente alla volontà
del legislatore e al testo delle disposizioni citate, appare però al
remittente in contrasto con l’art. 10 della convenzione
dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 143 del 24 giugno
1975, resa esecutiva in Italia con legge 10 aprile 1981, n. 158, ai
cui sensi lo Stato è impegnato a “formulare e ad attuare una
politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi
adatti alle circostanze ed agli usi nazionali, la parità di
opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di
professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali,
nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in
quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino
legalmente sul suo territorio”.
Poiché la norma della convenzione si porrebbe in posizione
sovraordinata rispetto alla legislazione ordinaria, per effetto di
quanto previsto dall’art. 10, primo e secondo comma, della
Costituzione, l’omessa previsione del diritto all’iscrizione
nell’elenco degli invalidi civili da avviare al lavoro sarebbe in
contrasto con le predette norme costituzionali.
Vi sarebbe altresì contrasto con l’art. 2 della Costituzione, in
quanto, negandosi la possibilità di beneficiare di detta iscrizione,
l’extracomunitario invalido ben difficilmente potrebbe inserirsi
nell’ambiente di lavoro, che costituirebbe una formazione sociale ove
si esplica la personalità dell’uomo; nonché contrasto con il
principio di ragionevolezza delle leggi di cui all’art. 3 della
Costituzione, poiché la parità di trattamento con i cittadini
italiani verrebbe assicurata solo per il tempo successivo alla
instaurazione del rapporto di lavoro subordinato, rischiando così di
rimanere un’inutile affermazione di principio per quei lavoratori
extracomunitari i quali, per la loro condizione di deficienza fisica,
si troverebbero di fatto nell’impossibilità di accedere ad un posto
di lavoro.
2. – Non vi è stata costituzione di parti né intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri.
articoli 1 e 5 della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia
di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari
immigrati e contro le immigrazioni clandestine), del diritto dei
lavoratori extracomunitari invalidi civili di ottenere l’iscrizione
nell’elenco degli invalidi civili disoccupati che aspirano al
collocamento obbligatorio a norma della legge 2 aprile 1968, n. 482
(Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le
pubbliche amministrazioni e le aziende private).
Tale omissione, secondo il remittente, sarebbe in contrasto con
l’art. 10 della convenzione OIL n. 143 del 24 giugno 1975, resa
esecutiva in Italia con la legge n. 158 del 1981, che assicura
parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione, e
per questo violerebbe l’art. 10, primo e secondo comma, della
Costituzione. Sarebbe altresì in contrasto con l’art. 2 della
Costituzione, poiché ostacolerebbe l’inserimento dei lavoratori
extracomunitari invalidi nella formazione sociale costituita
dall’ambiente di lavoro; nonché con l’art. 3 della Costituzione, per
la irragionevolezza insita nell’assicurare parità di trattamento tra
cittadini e stranieri extracomunitari solo dopo l’instaurazione del
rapporto di lavoro subordinato.
2. – Le disposizioni degli artt. 1 e 5 della legge n. 943 del 1986,
il cui “combinato disposto” è denunciato dal remittente, sono state
formalmente abrogate dall’art. 47, comma 1, lettera b) del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero). Più precisamente, l’art. 1 della legge n. 943, per
la parte che qui interessa, è trasfuso nell’art. 2, comma 3, del
citato testo unico, mentre le disposizioni dell’art. 5
sull’avviamento al lavoro degli extracomunitari sono oggi sostituite
dalle disposizioni contenute negli artt. 3, comma 4, e 21 del
medesimo testo unico.
Tuttavia deve osservarsi che il giudice a quo appunta le sue
censure su una presunta omissione del legislatore, che egli riconduce
al combinato disposto dei citati artt. 1 e 5 della legge n. 943 del
1986, ma che riguarderebbe sostanzialmente la mancata previsione del
diritto dei lavoratori extracomunitari invalidi di iscriversi negli
elenchi di cui all’art. 19 della legge n. 482 del 1968 per
l’assunzione obbligatoria. Ora, da questo punto di vista, la
situazione normativa non è sostanzialmente cambiata: pur dopo la
sopravvenienza della legge n. 40 del 1998 e del testo unico n. 286
del 1998, manca una disposizione espressa nel senso indicato dal
giudice a quo.
La questione dunque sussiste, rinvenendosi tuttora
nell’ordinamento la norma, o meglio la presunta lacuna normativa,
denunciata, e deve essere decisa, in base ai principi affermati da
questa Corte nella sentenza n. 84 del 1996, con riferimento alle
disposizioni sopravvenute del testo unico approvato con il d.lgs. n.
286 del 1998.
3. – La questione è infondata, in quanto la lacuna normativa
denunciata, dalla quale discenderebbe la violazione della
Costituzione, non sussiste.
L’interpretazione del sistema normativo da cui prende le mosse il
remittente si fonda sulla assenza di una norma specifica che affermi
il diritto degli extracomunitari invalidi disoccupati ad ottenere
l’iscrizione negli elenchi degli aspiranti al collocamento
obbligatorio. Ma, in presenza della garanzia legislativa –
richiamata dallo stesso giudice a quo – di “parità di trattamento e
piena uguaglianza di diritti” per i lavoratori extracomunitari
rispetto ai lavoratori italiani (art. 1 della legge n. 943 del 1986,
e oggi art. 2, comma 3, del testo unico approvato con d.lgs. 25
luglio 1998, n. 286), garanzia ulteriormente ribadita e precisata
dall’art. 2, comma 2, del testo unico n. 286 del 1998, secondo cui
“lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato
gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano”,
salvo che le convenzioni internazionali o lo stesso testo unico
dispongano diversamente, il ragionamento va rovesciato: occorrerebbe,
per giungere all’accennata conclusione, rinvenire una norma che,
esplicitamente o implicitamente, neghi ai lavoratori extracomunitari,
in deroga alla “piena uguaglianza”, il diritto in questione.
Ma una siffatta norma derogatoria nella materia in esame non
esiste. La legge 2 aprile 1968, n. 482, nell’individuare le
categorie che beneficiano della disciplina delle assunzioni
obbligatorie, si riferisce fra l’altro agli “invalidi civili” (art.
1, primo comma) senza alcuna limitazione discendente dalla
cittadinanza: tali sono definiti “coloro che siano affetti da
minorazioni fisiche, che ne riducano la capacità lavorativa in
misura non inferiore ad un terzo” (art. 5), ancora una volta senza
alcun riferimento alla cittadinanza; ed anche le condizioni generali
di esclusione dal beneficio (età superiore a 55 anni, perdita totale
della capacità lavorativa, invalidità che possa riuscire di danno
alla salute e alla incolumità dei compagni di lavoro o alla
sicurezza degli impianti: art. 1, secondo comma) non hanno a che fare
con la qualità di cittadino o di straniero. L’art. 19 a sua volta
prevede la istituzione di elenchi in cui sono iscritti, fra l’altro,
gli invalidi civili “che risultino disoccupati e che aspirino ad una
occupazione conforme alle proprie capacità lavorative”.
Sono stabilite, bensì, norme e procedure speciali per l’accesso al
lavoro in Italia dei cittadini extracomunitari. L’art. 5 della legge
n. 943 del 1986 prevedeva la formazione di speciali liste di
collocamento dei lavoratori extracomunitari (ma ne prevedeva poi,
trascorsi ventiquattro mesi dal primo avviamento al lavoro,
l’iscrizione nelle ordinarie liste di collocamento: comma 2); oggi il
testo unico n. 286 del 1998 prevede appositi decreti per fissare le
quote massime di stranieri extracomunitari da ammettere per lavoro
nel territorio dello Stato (art. 3, comma 4; art. 21, comma 1). Ma
tutto ciò vale per l’accesso al mercato del lavoro da parte dei
cittadini extracomunitari che a questo fine chiedano di poter
soggiornare in Italia; e si giustifica in vista dei limiti che il
legislatore può legittimamente porre a tale accesso.
Una volta che i lavoratori extracomunitari siano autorizzati al
lavoro subordinato stabile in Italia, godendo di un permesso di
soggiorno rilasciato a tale scopo o di altro titolo che consenta di
accedere al lavoro subordinato nel nostro paese, e siano posti a tal
fine in condizioni di parità con i cittadini italiani, e così siano
iscritti o possano iscriversi nelle ordinarie liste di collocamento
(come la legge esplicitamente prevedeva e prevede: cfr. il già
citato art. 5, comma 2, della legge n. 943 del 1986; l’art. 9, comma
3, del decreto legge n. 416 del 1989; e oggi gli artt. 22, comma 9,
23, comma 1, 30, comma 2, del testo unico n. 286 del 1998), essi
godono di tutti i diritti riconosciuti ai lavoratori italiani.
Né perdono tali diritti per il fatto di rimanere disoccupati:
l’art. 22, comma 9, del testo unico n. 286 del 1998 stabilisce
espressamente (come già l’art. 11, comma 3, della legge n. 943 del
1986) che “la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per
privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente
residenti del permesso di soggiorno”, onde continua a valere nei loro
confronti la garanzia di godimento dei “diritti in materia civile” e
della “piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”,
di cui all’art. 2, commi 2 e 3, dello stesso testo unico; e aggiunge
che il lavoratore in possesso del permesso di soggiorno per lavoro
subordinato che perde il posto di lavoro può essere iscritto nelle
liste di collocamento per il periodo di residua validità del
permesso di soggiorno e comunque per un periodo non inferiore ad un
anno.
Tra i diritti di cui gode il lavoratore extracomunitario non può
non riconoscersi dunque quello di iscriversi, avendone i requisiti,
negli elenchi per il collocamento obbligatorio degli invalidi.
4. – La conclusione non cambia, se si considera il collocamento
obbligatorio, come si esprime il remittente, “una forma di protezione
speciale di categorie svantaggiate di cittadini”. Questa Corte invero
ha ricondotto la speciale disciplina sul collocamento obbligatorio
degli invalidi alle forme di attuazione del diritto che “gli inabili
e i minorati” hanno, a norma dell’art. 38, terzo comma, della
Costituzione, all’avviamento professionale (cfr. sentenze n. 38 del
1960, n. 55 del 1961): diritto del quale gode anche lo straniero
avente titolo ad accedere al lavoro subordinato nel territorio dello
Stato in condizioni di uguaglianza con i cittadini, non essendovi,
sotto questo profilo, ragione di differenziarne il trattamento
rispetto al cittadino italiano.
Che se poi si volesse includere tale beneficio nell’ambito dei
diritti e degli interventi afferenti all’assistenza sociale delle
persone che si trovano in specifiche condizioni di necessità, non lo
si potrebbe negare allo straniero, in un quadro legislativo nel quale
non solo, come si è ricordato, lo straniero regolarmente
soggiornante gode in linea di principio dei “diritti in materia
civile attribuiti al cittadino italiano” (art. 2, comma 2, del testo
unico n. 286 del 1998), ma gli stranieri titolari di carta di
soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un
anno “sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione
delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale, incluse quelle previste”, fra l’altro, “per gli
invalidi civili” (art. 41 del testo unico n. 286 del 1998), e, più
in generale, gli stranieri aventi stabile dimora nel territorio
nazionale sono tra i soggetti cui si applica la legge contenente i
principi dell’ordinamento in materia di diritti e assistenza delle
persone handicappate (art. 3, comma 4, della legge 5 febbraio 1992,
n. 104).
5. – Deve dunque affermarsi che non sussiste la lacuna normativa
denunciata dal remittente, potendosi dalle disposizioni legislative
in vigore trarre la conclusione, costituzionalmente corretta, della
spettanza ai lavoratori extracomunitari, aventi titolo per accedere
al lavoro subordinato stabile in Italia in condizioni di parità con
i cittadini, e che ne abbiano i requisiti, del diritto ad iscriversi
negli elenchi di cui all’art. 19 della legge n. 482 del 1968 ai fini
dell’assunzione obbligatoria.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli
1 e 5 della legge 30 dicembre 1986, n. 943 (Norme in materia di
collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari
immigrati e contro le immigrazioni clandestine), ora sostituiti dagli
articoli 2, 3, comma 4, e 21 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento
agli articoli 10, primo e secondo comma, 2 e 3 della Costituzione,
dal pretore di Trieste con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Onida
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 30 dicembre.
Il direttore della cancelleria: Di Paola