Sentenza N. 260 del 1976
Corte Costituzionale
Data generale
29/12/1976
Data deposito/pubblicazione
29/12/1976
Data dell'udienza in cui è stato assunto
21/12/1976
OGGIONI – Avv. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO
CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI –
Dott. NICOLA REALE – Avv. LEONETTO AMADEI – Dott. GIULIO GIONFRIDA –
Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 (Testo unico delle
leggi sul Mezzogiorno), promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio
1975 dalla IV sezione del Consiglio di Stato, sul ricorso di Attanasio
Valentino ed altri contro il Consorzio per il nucleo di
industrializzazione di Reggio Calabria ed altri, iscritta al n. 330 del
registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 242 del 10 settembre 1975.
Visti gli atti di costituzione di Lucisano Francesco, Adorno
Giuseppe, Lo Cicero Rosaria, del Consorzio per il nucleo di
industrializzazione di Reggio Calabria, del Ministro dei lavori
pubblici, del Prefetto di Reggio Calabria, nonché l’atto d’intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 ottobre 1976 il Giudice relatore
Guido Astuti;
uditi gli avvocati Enzo Silvestri, per Lucisano, Adorno e Lo
Cicero, gli avvocati Rosario Nicolò e Antonio Sorrentino, per il
Consorzio di Reggio Calabria, e il vice Avvocato generale dello Stato
Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri, per il
Ministro dei lavori pubblici e per il Prefetto di Reggio Calabria.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 ottobre
1966 veniva approvato il piano regolatore del nucleo di
industrializzazione di Reggio Calabria.
Con successivo decreto del 2 agosto 1971 era approvata una variante
a detto piano.
Con decreto n. 14954 del 16 dicembre 1972 il Prefetto di Reggio
Calabria pronunciava in favore del Consorzio per il nucleo
industrializzazione l’espropriazione di alcuni beni.
Avverso i provvedimenti suindicati, proponevano ricorso innanzi al
Consiglio di Stato Attanasio Valentino ed altri, Neri Domenico ed
altri, Lucisano Francesco ed altri, Deriso Francesco ed altri,
Scopelliti Graziella ed altri.
Il Consiglio di Stato, riuniti i ricorsi, ha sollevato, in
accoglimento di una delle eccezioni proposte dai ricorrenti, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 147, primo ed ultimo comma,
del t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, in riferimento all’art. 42 della
Costituzione.
Si afferma, preliminarmente, nell’ordinanza di rinvio che
nell’istituto del piano regolatore dei nuclei di industrializzazione va
riconosciuta una duplice produttività di effetti, in quanto da una
parte tale piano obbliga i comuni interessati all’osservanza delle sue
previsioni, e dall’altra incide direttamente sugli interessi dei
privati attraverso la imposizione di vincoli di destinazione alle aree
di loro proprietà. Con riferimento a tale ultimo effetto, l’ordinanza
ricorda ancora che i criteri per l’individuazione della natura
espropriativa dei vincoli hanno carattere quantitativo, dipedendo dalla
maggiore o minore incidenza del sacrificio imposto sull’effettivo
contenuto del diritto, ossia sui poteri di godimento e di disposizione
dei beni vincolati.
Ciò premesso, si ritiene nell’ordinanza che debba essere demandata
alla Corte costituzionale la valutazione quantitativa indicata, tenendo
presente che i piani di industrializzazione comporterebbero, per le
aree interessate, il venir meno della possibilità di utilizzazione
edilizia, ed una forte compromissione della utilizzazione agricola,
riducendone, di conseguenza, il valore di scambio e la possibilità di
alienazione. Inoltre, la mancata determinazione della durata del
vincolo, e l’incertezza sull’an e sul quando del futuro trasferimento,
renderebbero particolarmente delicata la accennata valutazione circa il
suo sostanziale carattere espropriativo.
Pertanto, la inclusione delle aree nel piano di industrializzazione
comporterebbe di per sé un parziale svuotamento del diritto di
proprietà, rispetto al quale non offrirebbe sufficiente ristoro la
previsione di un aumento della indennità finale in relazione al tempo
decorso dalla imposizione del vincolo al momento della espropriazione
(legge 21 luglio 1965, n. 904). Si sono costituiti in giudizio
Lucisano Francesco, Adorno Giuseppe, Lo Cicero Rosaria ed Attanasio
Valentino e Maria, deducendo la fondatezza della questione proposta ed
invocando a sostegno argomenti analoghi a quelli indicati
nell’ordinanza di rinvio.
Si è altresì costituito in giudizio il Consorzio per il nucleo di
industrializzazione di Reggio Calabria, deducendo l’infondatezza della
questione proposta. Ciò perché la soggezione dell’esproprio attuata
mediante l’inclusione delle aree nel piano sarebbe soltanto eventuale,
sicché da una parte tali aree, quando non siano occorrenti per la
creazione delle cosiddette infrastrutture, potrebbero certamente essere
alienate per la destinazione dell’insediamento delle industrie, mentre
dall’altra parte manterrebbero comunque il loro valore di scambio sino
al limite dell’indennizzo e dell’indennità supplementare per il
ritardo. Quanto poi alla mancata previsione di un termine per
l’espropriazione, si dovrebbe osservare che tale assenza non potrebbe
comunque impedire la utilizzazione agricola delle aree considerate.
Si sono ancora costituiti in giudizio il Ministro dei lavori
pubblici ed il Prefetto di Reggio Calabria, ed è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, tutti rappresentati e difesi
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto la infondatezza
della questione proposta.
Per effetto della mera approvazione del piano non si determinerebbe
direttamente alcuna forma di espropriazione, neppure dal punto di vista
sostanziale, mancando una effettiva inutilizzabilità dei beni in
relazione alla loro natura agricola.
1. – Il Consiglio di Stato solleva, in riferimento all’art. 42
Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, primo
ed ultimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, testo unico delle
leggi sul Mezzogiorno. Si osserva nell’ordinanza di rimessione che i
piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale
previsti da detto t.u. producono un duplice ordine di effetti, sia nei
confronti dei comuni interessati, per l’equiparazione ai piani
territoriali di coordinamento disciplinati dalla legge urbanistica del
1942, sia anche nei confronti dei privati proprietari delle aree
comprese nei piani e soggette ad espropriazione. In base al disposto
del primo comma dell’art. 147 possono infatti essere sotto poste a
vincolo di destinazione tutte le aree interessate dalle opere
pubbliche, dichiarate urgenti e indifferibili, programmate per
l’attuazione delle iniziative di cui agli artt. 144 e 150, mentre
l’ultimo comma dell’art. 147 attribuisce ai consorzi per le aree e i
nuclei di sviluppo inidustriale la facoltà di promuovere
l’espropriazione di immobili, non solo al fine dell’attrezzatura delle
zone, ma anche al fine di rivenderli o cederli in locazione per
l’impianto di nuovi stabilimenti industriali. Ne consegue il dubbio
sulla legittimità costituzionale di queste disposizioni, prospettato
dall’ordinanza con riguardo da un canto alla incidenza dei vincoli, che
per la loro intensità assumerebbero carattere espropriativo senza
previsione di indennizzo, e dall’altro alla mancata statuizione di un
limite temporale di efficacia dei vincoli imposti: osservandosi che la
destinazione all’esproprio comporta per i beni interessati dal piano
immediate limitazioni dei poteri di godimento e di disposizione dei
proprietari, limitazioni tanto più gravi in rapporto alla
indeterminata durata dei vincoli stabiliti dal piano stesso. Al
riguardo, anche la previsione di un aumento dell’indennità in
relazione al tempo decorso dall’imposizione del vincolo al momento
dell’espropriazione, introdotta dall’art. 1 della legge 21 luglio 1965,
n. 904, non potrebbe ritenersi sufficiente, perché “il trasferimento
coattivo, al quale è legata la indennità per l’immobilizzo
conseguente al vincolo, è meramente eventuale, potendo in definitiva
(come si è, in effetti, verificato in molti casi), non intervenire
affatto”.
2. – L’ordinanza del Consiglio di Stato concerne sei giudizi
riuniti, promossi da diversi proprietari di immobili sottoposti a
vincolo di destinazione dal “Piano regolatore territoriale del nucleo
di industrializzazione di Reggio Calabria”.
Sulla rilevanza della dedotta questione di costituzionalità al
fine della decisione di detti giudizi, la difesa del Consorzio per il
nucleo di industrializzazione di Reggio Calabria non ha sollevato
eccezioni nell’atto di costituzione né nella successiva memoria;
peraltro nella trattazione orale in udienza ha osservato che la
questione non sarebbe rilevante – data la brevità del tempo intercorso
dall’approvazione del piano – rispetto ai casi di specie in cui sia
già intervenuto il decreto di esproprio. Al riguardo, occorre
precisare che i due primi ricorsi hanno ad oggetto la impugnazione del
ricordato piano regolatore, approvato con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri in data 15 ottobre 1966, nonché degli atti
preordinati e conseguenziali; i due successivi ricorsi hanno ad oggetto
la impugnazione della variante del piano regolatore stesso, approvata
con decreto in data 2 agosto 1971; gli ultimi due ricorsi hanno ad
oggetto l’impugnazione del decreto di espropriazione emanato dal
Prefetto di Reggio Calabria in data 16 dicembre 1972 nei confronti di
alcune ditte, anche per invalidità derivata del provvedimento, in
quanto gli interessati avevano, con precedenti ricorsi, impugnato il
decreto di approvazione della variante del piano. Così stando le cose,
non può dubitarsi della rilevanza della questione sollevata dal
Consiglio di Stato.
3. – Preliminarmente all’esame della questione occorre considerare
il contenuto e gli effetti dei piani regolatori delle aree e dei nuclei
di sviluppo industriale, la cui formazione è disciplinata dall’art.
146 del t.u. delle leggi sul Mezzogiorno, approvato con d.P.R. 30
giugno 1967, n. 1523. Si tratta di piani regolatori di tipo speciale,
che i consorzi previsti dall’art. 144 debbono redigere seguendo, in
quanto applicabili, i criteri e le direttive di cui all’art. 5 della
legge 17 agosto 1942, n. 1150; questi piani, una volta approvati, per
espressa disposizione dell’art. 146, sesto comma, producono gli stessi
effetti giuridici dei piani territoriali di coordinamento previsti
dalla legge urbanistica.
Conseguentemente, a norma dell’art. 6 di detta legge, anche questi
piani hanno vigore a tempo indeterminato; e comportano per i comuni il
cui territorio sia compreso in tutto o in parte nell’ambito di un
comprensorio prescelto come zona di sviluppo industriale, l’obbligo di
uniformare alle loro indicazioni i rispettivi piani regolatori e
strumenti urbanistici.
D’altra parte, i piani regolatori delle aree e dei nuclei di
sviluppo industriale possono anche incidere direttamente sui diritti ed
interessi dei privati, con la imposizione di vincoli di destinazione
per le aree di loro proprietà, in vista della espropriazione. I piani
contengono anzitutto l’indicazione e localizzazione delle opere
occorrenti per l’attuazione delle iniziative di cui agli artt. 144 e
150, ossia delle opere di attrezzatura delle zone, sistemazione dei
terreni, costruzione di infrastrutture, impianti e servizi, nonché di
tutte le altre opere d’interesse generale idonee a favorire
l’insediamento industriale, comprese quelle portuali ed aeroportuali.
Le opere indicate dai piani, la cui esecuzione è attribuita dalla
legge in parte alla competenza della Cassa per il Mezzogiorno ed in
parte ai consorzi “sulla base delle norme per essi vigenti” (art. 149),
sono dichiarate di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, per
espressa disposizione dell’art. 147, primo comma. Inoltre, il nono ed
ultimo comma dello stesso art. 147, che regola la procedura per le
espropriazioni, stabilisce testualmente che nelle aree e nei nuclei di
sviluppo industriale il consorzio può promuovere l’esproprio di
immobili, “oltre che al fine dell’attrezzatura della zona, anche allo
scopo di rivenderli o cederli in locazione per l’impianto di nuovi
stabilimenti industriali e di pertinenze connesse, salvo il diritto
degli espropriati alla restituzione, qualora gli immobili non siano
utilizzati per lo scopo prestabilito entro 5 anni dal decreto di
esproprio”.
È pertanto indubbio che questi piani costituiscono strumenti
complessi di programmazione, e contengono non soltanto indicazioni di
carattere direttivo, ma anche statuizioni immediatamente precettive; le
quali (come conferma altresì l’applicabilità delle misure di
salvaguardia nel corso del procedimento di approvazione dei piani,
prevista dal terzo comma dell’art. 146), possono avere diretta ed
immediata incidenza sugli interessi dei proprietari di aree incluse nel
perimetro dei piani, nella misura in cui impongano vincoli di
destinazione, con la concreta individuazione di beni soggetti ad
esproprio per l’esecuzione di opere di pubblica utilità, ovvero per
l’insediamento di determinati impianti industriali.
4. – La Corte ha già avuto occasione di decidere, con la sentenza
n. 55 del 1968, l’analoga questione se la mancanza di previsione nella
legge urbanistica del 1942 di un termine finale di effettiva
operatività dei vincoli imposti da un piano regolatore generale,
ordinati a future destinazioni concrete, da realizzare attraverso
interventi pubblici incerti an e quando, fosse compatibile con il
principio sancito dall’art. 42, terzo comma, della Costituzione. Avendo
constatato che l’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nella sua
articolata formulazione, consentiva un complesso di imposizioni
immediatamente operative, comprendenti “sia ipotesi di vincoli
temporanei (ma di durata illimitata), preordinati al successivo (ma
incerto) trasferimento del bene per ragioni di interesse generale, sia
ipotesi di vincoli che, pur permettendo la conservazione della
titolarità del bene, erano tuttavia destinati a operare immediatamente
una definitiva incisione profonda, al di là dei limiti connaturali,
sulle facoltà di utilizzabilità sussistenti al momento
dell’imposizione”; e ciò senza previsione di indennizzo, anzi, con la
contraria previsione di non indennizzabilità contenuta nell’art. 40,
“tanto nel caso di vincoli di durata, predisposti in correlazione a
trasferimenti di proprietà differiti (ma incerti an e quando), quanto
nel caso di vincoli immediatamente definitivi inerenti a proprietà non
destinate a essere trasferite”, con la citata sentenza questa Corte
dichiarò l’illegittimità costituzionale dei numeri 2, 3, 4 dell’art.
7 e dell’art. 40 della detta legge, nella parte in cui non prevedevano
un indennizzo per l’imposizione delle limitazioni operanti
immediatamente e a tempo indeterminato che avessero contenuto
espropriativo.
È noto che a seguito di quella decisione il legislatore provvide,
con legge 19 novembre 1968, n. 1187, a modificare le disposizioni
dell’art. 7 della legge urbanistica (art. 1), e a stabilire che “le
indicazioni di piano regolatore generale. nella parte in cui incidono
su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati
all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità,
perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di
approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i
relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di
lottizzazione convenzionati”, soggiungendo che l’efficacia dei predetti
vincoli non poteva essere protratta oltre il termine di attuazione dei
piani particolareggiati e di lottizzazione (art. 2).
5. – Scendendo all’esame della questione di cui è causa, appare
evidente che l’imposizione di vincoli di destinazione, preordinati
all’espropriazione, sopra immobili di proprietà privata, quale
consegue all’approvazione del piano regolatore di un’area o nucleo di
sviluppo industriale, determina, di regola, una immediata limitazione
dei poteri di godimento e disposizione, che si concreta non tanto nel
venir meno della possibilità di utilizzazione a scopo edilizio
residenziale (poiché trattasi generalmente di zone a carattere rurale,
esterne al perimetro dei centri abitati e non urbanizzate), quanto
nella menomazione della possibilità e convenienza pratica di
investimenti a scopo di miglioramento o trasformazione delle colture
agricole esistenti e di sviluppo d’ogni altra iniziativa o attività
economica diversa dall’insediamento industriale.
Tuttavia, a giudizio di questa Corte, non si può affermare in via
generale che le limitazioni dei poteri di godimento e di disposizione
conseguenti, per i privati proprietari, alle prescrizioni
immediatamente operative del piano regolatore di un’area o nucleo di
sviluppo industriale, assumano senz’altro carattere espropriativo, e
quindi richiedano di per sé la previsione di un indennizzo: e ciò
proprio perché trattasi di vincoli temporanei, imposti in vista della
espropriazione. Il contrasto con il principio sancito dal terzo comma
dell’art. 42 Cost. si verifica non per effetto della imposizione dei
vincoli, bensì per effetto della mancanza d’una precisa determinazione
della durata dei vincoli stessi. Sotto questo profilo ed in questi
circoscritti termini, meritano accoglimento le considerazioni svolte
dall’ordinanza di rimessione, per cui, trattandosi di vincoli
certamente temporanei, in quanto preordinati all’espropriazione, a
causa della incertezza sul quando, ed anche sull’an del futuro
trasferimento, “viene ad essere disgiunta, illimitatamente ed
irrazionalmente, la sottomissione immediata del bene al vincolo dal
compenso per la sua perdita”. È precisamente la efficacia a tempo
indeterminato che conferisce ai vincoli di cui trattasi carattere e
contenuto espropriativo, nel difetto di qualsiasi possibilità di
previsione circa la data della futura espropriazione, che potrebbe
anche non verificarsi, e senza apprezzabile indennità per
l’immobilizzo conseguente al vincolo, per quanto protratto nel tempo.
6. – L’esigenza che i vincoli di destinazione imposti sopra beni
determinati di privata proprietà debbano avere efficacia limitata nel
tempo è stata riconosciuta dal legislatore non soltanto con la
ricordata legge 19 novembre 1968, n. 1187, e con le successive
disposizioni di proroga temporanea emanate in vista della riforma del
regime urbanistico circa l’uso dei suoli, ma anche con una serie di
altre norme legislative, concernenti specificamente l’efficacia dei
piani particolareggiati e la loro attuazione. Così, già la legge
urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, stabiliva agli artt. 16 e 17 che i
piani particolareggiati debbono essere attuati entro il termine massimo
di dieci anni dalla loro approvazione, e decorso tale termine diventano
inefficaci per la parte in cui non abbiano avuto attuazione (norme non
modificate dalla successiva legge 6 agosto 1967, n. 765); ed anche la
legge 18 aprile 1962, n. 167, attribuiva ai piani di zona per
l’edilizia economica e popolare efficacia per 10 anni, prorogabile per
giustificati motivi per non oltre due anni (art. 9: efficacia estesa
poi a quindici anni dal d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito in legge
27 giugno 1974, n. 247). Anche la legge 22 ottobre 1971, n. 865,
prevede che i comuni, nel delimitare i comprensori di aree da
espropriare per l’attuazione dei loro programmi, da aggiornare ogni
cinque anni, possono vincolare dette aree “per un periodo non superiore
ad un quinquennio” (art. 26), e che i piani delle zone da destinare
all’edilizia popolare o ad insediamenti produttivi, aventi del pari
valore di piani particolareggiati di esecuzione, hanno efficacia per
dieci anni dalla data dei decreti di approvazione (artt. 27 e 38).
Per quanto concerne i piani regolatori delle aree e nuclei di
sviluppo industriale previsti dal t.u. delle leggi sul Mezzogiorno,
occorre tener presente che la loro attuazione non richiede la
successiva formazione ed approvazione di piani particolareggiati di
esecuzione, potendosi direttamente procedere alle espropriazioni,
secondo le norme dettate dall’art. 147, sulla base delle indicazioni
contenute nei piani. Di fatto, nel caso di specie, le Norme di
attuazione del piano regolatore territoriale del nucleo di
industrializzazione di Reggio Calabria stabiliscono all’art. 7 che “le
opere previste dal piano regolatore sono attuate mediante progetti
esecutivi redatti sulla base delle planimetrie di piano riguardanti sia
l’assetto generale che i singoli agglomerati industriali”, mentre gli
artt. 10 e seguenti enunciano le prescrizioni di zona, relative alle
diverse “zone contenute e definite entro il perimetro degli
agglomerati, per le quali il piano ha valore normativo immediato”.
Di fronte a tale situazione, mentre è ovvio e naturale che questi
piani, nella parte in cui contengano direttive e previsioni di lungo
periodo, debbano aver vigore a tempo indeterminato, al pari dei piani
territoriali di coordinamento e dei piani regolatori urbanistici,
essendo la loro attuazione necessariamente graduale nel corso dei
decenni, non sussiste invece giustificazione razionale per cui anche le
prescrizioni o indicazioni direttamente incidenti su beni determinati,
con l’imposizione di vincoli di destinazione preordinati
all’espropriazione, debbano avere efficacia senza limite di tempo,
nell’attesa di future espropriazioni che potrebbero anche essere
lungamente differite, o non avvenire.
Appare invece conforme alle più evidenti esigenze di
contemperamento tra gli interessi pubblici e quelli privati, (che ai
primi debbono soggiacere solo per motivi di utilità generale, e nei
limiti da questa richiesti), nonché ad ovvii criteri di buona e
ordinata amministrazione, che i programmi di sviluppo delle zone
destinate alla localizzazione di imprese industriali vengano formati
sulla base di prudente valutazione dei tempi tecnici occorrenti e dei
mezzi finanziari disponibili per la effettiva esecuzione delle
infrastrutture, dei servizi e degli impianti, in correlazione con le
richieste di insediamento di nuovi stabilimenti industriali. Nei piani
potrà essere inserita anche la previsione di opere eventualmente
programmate nel lungo periodo, con riguardo a possibili maggiori
sviluppi futuri, ma non pare ammissibile che l’esecuzione delle opere
riconosciute di immediata necessità, dichiarate dalla legge non solo
di pubblica utilità ma anche indifferibili ed urgenti, possa essere
decisa imponendo alla proprietà privata vincoli di destinazione
immediatamente operativi, senza la indicazione di un termine per
l’effettiva esecuzione, e quindi per le conseguenti espropriazioni.
7. – La difesa del Consorzio ha eccepito che la mancanza di un
termine per gli espropri non avrebbe importanza, perché in base al
disposto dell’art. 147, primo comma, “la dichiarazione di pubblica
utilità e quindi la espropriabilità derivano direttamente dalla legge
e non sono affatto collegate all’approvazione dei piani, anzi, a b en
vedere, non discendono nemmeno dal t.u. del 1967, ma dalle prime leggi
sulla industrializzazione del Mezzogiorno, emanate a partire dal 1947”,
talché “in tesi tutti i beni (ivi compresi gli edifici) che si trovano
nel Mezzogiorno si trovano indefinitamente soggetti ad esproprio”; che,
“trattandosi di terreni destinati all’installazione dei servizi
pubblici o di interesse generale, la cui esecuzione è il presupposto
stesso del piano, è normale che, pur in assenza di un termine di
legge, l’esproprio segua (come di fatto è seguito) sollecitamente”;
che infine l’indennizzo per il vincolo derivante dalla inclusione nel
piano è accordato dalla legge n. 904 del 1965 sotto forma di
maggiorazione dell’indennità di espropriazione, e che qualora
esproprio non segua “il proprietario avrà un vantaggio ben più
sensibile di quel che sia la maggiorazione dell’indennità”.
Non occorre confutare questi argomenti, essendo di chiara evidenza
che, pur in base alla dichiarazione di pubblica utilità contenuta
nella legge, la espropriabilità dei beni conseguiti, e solo al vincolo
di destinazione su di essi imposto con la approvazione dei piani, e che
proprio per la esecuzione di opere pubbliche dichiarate urgenti e
indifferibili si rende opportuna la prefissione d’un termine di
efficacia dei vincoli imposti con i piani, la cui attuazione non può
essere rimessa solo alla sollecitudine delle amministrazioni (nel caso
di specie, il piano fu approvato nel 1966 e quindi modificato con
variante dopo cinque anni, nel 1971, mentre i primi esproprii per la
costruzione del I lotto d’una strada consortile sono avvenuti il 16
dicembre 1972).
Per quanto concerne la misura delle indennità – di cui peraltro
non si contende nel presente giudizio – occorre rilevare che sebbene
l’art. 147, settimo comma, ne preveda la determinazione “ai sensi della
legge 18 aprile 1962, n. 167, modificata dalla legge 21 luglio 1965, n.
904”, (la quale ultima, all’art. 1, dispone la corresponsione ai
proprietari espropriati, in aggiunta all’indennità, di una somma pari
al due per cento dell’importo medio degli indennizzi per ogni anno o
frazione di anno dalla data di approvazione del piano a quella del
decreto di e sproprio), è legittimo il dubbio circa la perdurante
applicabilità, nella fattispecie di cui è causa, di queste
disposizioni, posto che l’art. 39 della legge 22 ottobre 1971, n. 865,
ha espressamente abrogato gli artt. 12 e seguenti della legge n. 167
del 1962 e successive modificazioni, ed inoltre la legge 27 giugno
1974, n. 247, ha stabilito che le disposizioni del tit. II della legge
n. 865 del 1971 relative alla determinazione dell’indennità di
espropriazione “si applicano a tutte le espropriazioni comunque
preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello
Stato, delle Regioni, delle province, dei comuni o di altri enti
pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali”. Sono d’altra
parte veramente fuori luogo le ipotesi circa i vantaggi che avrebbero i
proprietari dei terreni vincolati dai piani, qualora le previste
espropriazioni fossero rinviate sine die, o non mai pronunciate.
8. – Non pertinente è, infine, il richiamo alla sentenza n. 17 del
1975 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata non fondata la
questione di costituzionalità degli artt. 2 e 3 della legge 13 giugno
1961, n. 528 (Provvedimenti per il completamento del Porto canale
Corsini, dell’annessa zona industriale di Ravenna e del Porto di
Venezia), riconoscendo che la statuizione d’un limite temporale per la
esecuzione delle opere ivi previste non doveva necessariamente essere
contenuta nella legge dichiarativa della loro pubblica utilità, ben
potendo l’indicazione del termine legittimamente riconnettersi al primo
atto amministrativo della procedura espropriativa. Nel caso oggi in
esame non è contestata la mancata previsione di un termine nella
stessa disposizione del primo comma dell’art. 147 del t.u. delle leggi
sul Mezzogiorno, che contiene la declaratoria astratta e generale di
pubblica utilità di tutte le opere occorrenti per l’attuazione dei
piani regolatori delle zone di sviluppo industriale, bensì è stata
denunciata la mancanza di una norma che, nell’atto in cui la legge
consentiva, mediante la formazione dei piani, l’imposizione sulle
private proprietà di vincoli immediati di destinazione preordinati
all’espropriazione, stabilisse un limite temporale di efficacia dei
vincoli stessi, secondo i principi enunciati da questa Corte con la
sentenza n. 55 del 1968, e recepiti dalla legge 19 novembre 1968, n.
1187.
Concludendo, anche in rapporto alla accertata inconsistenza delle
suesposte eccezioni, deve riconoscersi la fondatezza della questione di
costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato, nei sensi e limiti
sopra precisati.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 147, primo ed
ultimo comma, del testo unico delle leggi sul Mezzogiorno, approvato
con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, nella parte in cui dette norme,
senza prevedere un indennizzo, consentono che vincoli di destinazione
preordinati all’espropriazione siano imposti sui beni di proprietà
privata dai piani regolatori delle aree dei nuclei di sviluppo
industriale, disciplinati dagli articoli 146 e 147 dello stesso testo
unico, senza prefissione di un termine di durata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 dicembre 1976.
F.to: PAOLO ROSSI – LUIGI OGGIONI –
ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI – Cancelliere