Sentenza N. 453 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
27/07/1989
Data deposito/pubblicazione
27/07/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
19/07/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO,
avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
Regione Sicilia 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo
degli enti locali nella Regione siciliana), in riferimento agli artt.
7, n. 4 e 8 della stessa legge e della legge Regione Sicilia 30 marzo
1981, n. 43 (Aggregazione al comune di Palazzolo Acreide di ettari
10.295,02,01 del territorio del comune di Noto), promosso con
ordinanza emessa il 28 febbraio 1989 dal Pretore di Noto nel
procedimento civile vertente tra Genovesi Giuseppe e il Prefetto di
Siracusa ed altri, istritta al n. 207 del registro ordinanze 1989 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima
serie speciale, dell’anno 1989;
Visto l’atto di costituzione del Comune di Noto nonché l’atto di
intervento della Regione Sicilia;
Udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 1989 il Giudice relatore
Vincenzo Caianiello;
Udito l’avv. Giuseppe Fazio per la Regione Sicilia.
il Pretore di Noto sollevò questione di legittimità costituzionale
della legge regione Sicilia 30 marzo 1981, n.43 (Aggregazione al
Comune di Palazzolo Acreide di ettari 10295 del territorio del Comune
di Noto) e dell’art. 6 dell’ordinamento amministrativo degli enti
locali della Regione siciliana approvato con legge regionale 15 marzo
1963, n. 16, in riferimento agli artt. 3 e 133 della Costituzione.
Nel giudizio a quo – concernente l’opposizione ad
un’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto di Siracusa per
un’infrazione al codice della strada – il ricorrente aveva dedotto
l’incompetenza territoriale dei vigili urbani del Comune di Noto
(organi accertatori), sostenendo che al momento dell’illecito, la
località in cui lo stesso era stato commesso non apparteneva più al
predetto comune, essendo già stata trasferita a quello di Palazzolo
Acreide in virtù della suindicata legge n. 43 del 30 marzo 1981.
All’udienza di comparizione, tuttavia, il funzionario delegato della
Prefettura eccepì la persistenza in capo agli organi del Comune di
Noto della relativa competenza, non essendo stato ancora emanato dal
presidente della Regione siciliana il decreto di sistemazione dei
rapporti patrimoniali e finanziari fra i due enti territoriali
previsto dall’art. 2 della stessa legge impugnata. Non avendo il
giudice a quo conosciuto, in via preliminare, di tale eccezione, che,
qualora fondata, avrebbe consentito la definizione della causa
indipendentemente dalla risoluzione dell’incidente di
costituzionalità, questa Corte, in riferimento a tale specifico
punto, con sentenza n. 649 del 1988, ha dichiarato l’inammissibilità
delle questioni sollevate per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Con ordinanza in data 28 febbraio 1989 (r.o. n. 207 del 1989), il
Pretore di Noto, nell’ambito del medesimo giudizio, ha però
riproposto le stesse questioni con adeguata motivazione circa
l’infondatezza giuridica dell’eccezione sollevata da parte
resistente. In tal senso, il decreto di sistemazione dei rapporti
patrimoniali e finanziari fra i due comuni avendo esclusivamente
natura di “adempimento tecnico e contabile”, di variazione degli atti
catastali e di definizione dei rapporti di dare e avere fra i due
enti, non potrebbe in alcun modo costituire condizione indispensabile
per il passaggio delle potestà amministrative, effetto questo
immediatamente ricollegabile all’entrata in vigore della legge di
modificazione territoriale.
In relazione al merito, non vengono addotti profili ulteriori e
diversi da quelli già prospettati nella precedente ordinanza di
rinvio. La procedura adottata nell’emanazione della legge regionale
30 marzo 1981, n. 43, risulterebbe così lesiva dell’art. 133 della
Costituzione che consente alle regioni la modifica delle
circoscrizioni territoriali dei comuni a condizione che siano
“sentite le popolazioni interessate”, e che, costituendo un principio
fondamentale dell’ordinamento costituzionale, non potrebbe subire
deroghe neanche nell’esercizio di una potestà legislativa regionale
a carattere esclusivo. Rileva il giudice a quo che, nella fattispecie
in esame non ci fu alcuna consultazione popolare non potendosi
considerare tale la raccolta di sottoscrizioni di un gruppo di
cittadini residenti nelle contrade da aggregare, che il comune di
Palazzolo Acreide allegò a sostegno della sua iniziativa
legislativa, e quand’anche tali sottoscrizioni costituissero la
maggioranza delle opzioni esercitabili dalla popolazione residente,
non potrebbero comunque ritenersi sostitutive di una consultazione
popolare in quanto palesemente prive delle guarentigie di libertà,
segretezza ed effettività del diritto di voto.
Osserva, inoltre, il Pretore che – sotto altro profilo – la legge
censurata contrasterebbe con la disciplina dettata in sede di
regolamentazione generale della materia dalla stessa regione
siciliana, risultando, quindi, anche per tale aspetto illegittima
secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 9 del
1961.
L’iter seguito per l’adozione della legge non avrebbe, difatti,
rispettato la procedura prevista, per le modifiche delle
circoscrizioni territoriali, dagli artt. 1 e 3 del regolamento di
esecuzione dell’ordinamento amministrativo degli enti locali della
Regione siciliana approvato con d.P.R. 20 ottobre 1957, n.3.
Illegittimo, in particolare, risulterebbe l’invio di un
commissario ad acta presso la provincia di Siracusa per esprimere, in
via sostitutiva, un parere sulla modifica territoriale in questione,
dal momento che il consiglio provinciale, sia pure implicitamente, si
era già espresso al riguardo in senso negativo, senza peraltro
ricevere, successivamente, alcuna diffida da parte della Regione.
Inoltre, la rilevante modifica del disegno di legge originario,
deliberata dalla 1ª Commissione dell’Assemblea regionale, da cui
scaturì un nuovo progetto di delimitazione territoriale, non venne
sottoposta, prima della sua discussione, al prescritto parere dei
comuni interessati, della Commissione provinciale di controllo e del
Consiglio di Giustizia Amministrativa.
Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale viene
ravvisato dal giudice a quo nel contenuto dell’art. 6
dell’ordinamento amministrativo degli enti locali della Regione
siciliana in relazione a quanto prevedono i successivi artt. 7 n. 4 e
8 dello stesso testo legislativo. Mentre la prima disposizione
prevede, infatti, per l’istituzione di nuovi comuni la condizione che
“la maggioranza degli elettori iscritti stabilmente nelle frazioni o
borgate interessate si sia pronunciata favorevolmente”, la seconda,
viceversa, non prescriverebbe, per l’ipotesi di modifica delle
circoscrizioni dei comuni già esistenti, alcuna forma di
consultazione, con conseguente violazione degli artt. 3 e 133 della
Costituzione.
L’eventuale illegittimità del citato art. 6 coinvolgerebbe nella
relativa declaratoria di incostituzionalità anche la legge
impugnata.
2. – Non si sono costituite le parti del giudizio a quo, mentre ha
spiegato intervento la regione Sicilia, chiedendo che la questione
venisse dichiarata nuovamente inammissibile, o, in subordine,
infondata.
L’interveniente contesta che la mancanza di un decreto di
sistemazione dei rapporti patrimoniali e finanziari tra i due comuni
sia ininfluente ai fini della definizione del giudizio a quo, in
quanto, il trasferimento di competenze, che la legge impugnata
comporta diverrebbe operativo soltanto con l’emanazione del predetto
provvedimento.
Nel merito, la regione si richiama alle deduzioni già svolte nel
precedente giudizio nel corso del quale sostenne che il giudice a
quo, nel ritenere violato l’art. 133 della Costituzione, nella parte
in cui impone di sentire le popolazioni interessate, sarebbe incorso
in un evidente errore di fatto come risulta dalla richiesta formulata
da 341 dei 418 elettori residenti nelle contrade aggregate, dovendosi
intendere per popolazioni interessate unicamente i cittadini
residenti ed operanti nelle borgate oggetto della modifica
territoriale e non potendosi sostenere che l’unica possibile forma di
espressione di tali popolazioni sia quella referendaria. Difatti,
mentre da un lato la Costituzione, quando lo ha voluto, ha
espressamente previsto il referendum (come per le ipotesi di fusione
o creazione di nuove regioni: art. 132), dall’altro questa Corte ne
avrebbe escluso la obbligatorietà in fattispecie analoghe a quella
ora sottoposta al suo esame. Inoltre, la mancanza nello Statuto
regionale di una disposizione simile a quella dell’art. 133 della
Costituzione, costituirebbe un indice della volontà di omettere, per
la modifica delle circoscrizioni territoriali, la consultazione delle
popolazioni interessate, e, quindi, in ultima analisi, una deroga
alla norma costituzionale.
Per quanto attiene poi all’iter formativo della legge impugnata,
l’interveniente nel precedente atto di costituzione, sostenne che gli
eventuali vizi in essa riscontrabili non avrebbero potuto formare
oggetto di un esame di costituzionalità, essendo sindacabili solo in
sede di giurisdizione amministrativa. E, in ogni caso, il
procedimento seguito, sarebbe risultato del tutto conforme alle
prescrizioni di cui agli artt. 6 e 7 dell’ordinamento amministrativo
degli enti locali della Regione siciliana, ed 1, 2 e 3 del relativo
regolamento; in particolare, legittima sarebbe stata la nomina del
commissario ad acta che espresse il parere in sostituzione del
Consiglio provinciale di Siracusa, mentre qualora si fosse
considerata utile a quel fine la delibera precedentemente adottata
dallo stesso organo provinciale, l’adempimento si sarebbe dovuto
ritenere egualmente assolto. Essendo, poi, le modifiche apportate
all’originario disegno di legge del tutto irrilevanti, l’acquisizione
di nuovi pareri da parte degli organi che si erano già espressi al
riguardo, e in particolare del Consiglio di Giustizia Amministrativa,
sarebbe stata superflua oltre che giuridicamente non necessaria.
3. – Nel presente giudizio, integrando le precedenti deduzioni,
l’interveniente ha osservato che contrariamente a quanto sostenuto
dal giudice a quo le norme contenute nell’ordinamento amministrativo
degli enti locali della Regione siciliana non possono in alcun modo
costituire un parametro di legittimità costituzionale né potrebbe,
al riguardo, attribuirsi rilevanza alle modifiche ad esse apportate
con la recente legge Sicilia 17 febbraio 1987, n. 5.
Inoltre, l’individuazione delle modalità con cui la regione, ai
sensi dell’art. 133 della costituzione, deve sentire le popolazioni
interessate, rientrerebbe nella sfera esclusiva della potestà
legislativa primaria attribuitale dallo Statuto in materia di
circoscrizioni comunali, potestà concretamente attuata nell’art. 9
del predetto ordinamento amministrativo che non forma oggetto di
alcuna censura di costituzionalità ma che costituirebbe, invero,
l’unica norma disciplinatrice delle modificazioni delle
circoscrizioni comunali, al cui disposto, peraltro, la legge
impugnata si sarebbe strettamente attenuta. In tal senso, del tutto
impertinenti risulterebbero, quindi, le censure mosse dal giudice a
quo agli artt. 6, 7 e 8 della legge regionale 15 marzo 1963, n. 16:
difatti, mentre, la prima disposizione si limita a prevedere che la
istituzione, la funzione e le modificazioni circoscrizionali debbano
essere stabilite con atto legislativo, le due successive
disciplinerebbero fattispecie diverse da quella strettamente
rilevante nel giudizio a quo, riguardando la istituzione di nuovi
comuni ed il divieto di introdurre modificazioni territoriali alle
circoscrizioni degli stessi, nel caso in cui tali enti vengano a
perdere alcuni requisiti.
sollevato questione di legittimità costituzionale della legge
regionale della Sicilia 30 marzo 1981, n. 43, con la quale è stata
disposta l’aggregazione di ettari 10.295.02.01 – già appartenenti al
territorio del Comune di Noto – al contermine comune di Palazzolo
Acreide, nonché dell’ art. 6, in relazione agli artt. 7, n. 4 e 8
della legge regionale della Sicilia 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento
amministrativo degli enti locali della regione siciliana), recanti la
disciplina generale in materia di istituzione di nuovi comuni e di
modificazione delle circoscrizioni preesistenti.
Il giudice a quo ravvisa in primo luogo il contrasto della legge
regionale 30 marzo 1981, n. 43, con l’art. 133 della Costituzione in
quanto, essa avrebbe disposto lo scorporo di parte del territorio di
un comune e la sua aggregazione ad un altro, senza la verifica “della
volontà complessiva di tutte le popolazioni interessate, o almeno
dell’incidenza percentuale delle opzioni sul totale della popolazione
residente”, essendosi ritenuta sufficiente l’iniziativa legislativa
assunta dal Comune di Palazzolo Acreide con le allegate
“sottoscrizioni di un gruppo di cittadini residenti nelle contrade”
interessate. Ma la verifica effettuata sulla base di tali elementi
non può per il giudice a quo ritenersi sostitutiva della
consultazione popolare, in quanto priva delle guarentigie proprie di
ogni consultazione, quali la libertà, la segretezza e la
effettività del diritto di voto per tutti gli elettori.
Né, si soggiunge nell’ordinanza di rinvio, l’art. 133 della
Costituzione, che prevede la previa audizione delle popolazioni
interessate, potrebbe considerarsi derogata nella Regione siciliana
per il fatto che gli articoli 14 e 15 dello Statuto regionale, che
attribuiscono alla Regione poteri esclusivi nella materia, non
riproducono la norma costituzionale. Ad avviso del giudice rimettente
lo Statuto siciliano non contiene infatti norme incompatibili con il
principio democratico espresso nell’art. 133 della Costituzione cui
si deve riconoscere portata generale.
Altro profilo di illegittimità costituzionale viene ravvisato
nella difformità del procedimento legislativo seguito rispetto
all’art. 6 della menzionata legge n. 16 del 1963, che trova
attuazione negli artt. 1 e 3 del regolamento approvato con d.P.R. 29
ottobre 1957, n. 3.
Nell’ultima censura rivolta direttamente nei confronti dell’art.
6, in relazione agli artt. 7 n. 4 e 8, della legge regionale 15 marzo
1963, n. 16, si sostiene che tali norme non sarebbero conformi ai
“criteri di eguaglianza e razionalità” contrastando perciò con gli
artt. 3 e 133 della Costituzione, a causa della disparità di
trattamento fra l’ipotesi dell’erezione di nuovi comuni e la modifica
delle loro circoscrizioni territoriali. Difatti, mentre nel primo
caso (art. 7), è previsto come presupposto per l’istituzione di un
nuovo comune che la “maggioranza degli elettori iscritti stabilmente
nelle frazioni o borgate interessate si sia pronunciata
favorevolmente”, nel secondo (art. 8), per la modificazione delle
circoscrizioni territoriali, non è prevista analoga garanzia di
autodeterminazione né per gli elettori delle porzioni di territorio
da trasferire, né più in generale per la popolazione dei due comuni
interessati, è ciò nonostante che una modifica del territorio,
specie se di grosse proporzioni, possa “rappresentare un fatto
traumatico forse più grave del sorgere di un nuovo comune”.
2. – Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità
del ricorso, dedotta dalla difesa della Regione siciliana, secondo la
quale, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, la
mancanza del decreto di sistemazione dei rapporti patrimoniali e
finanziari tra i due comuni condiziona l’effettivo trasferimento
delle competenze al Comune di Palazzolo Acreide, consentendo di
risolvere il giudizio indipendentemente dalla definizione della
questione di legittimità costituzionale.
Al riguardo osserva la Corte che, come risulta dalla narrativa in
fatto, la medesima questione, già sollevata dallo stesso giudice con
precedente ordinanza di rinvio, era stata dichiarata inammissibile
(sentenza n. 649 del 1988) per difetto di motivazione su di un punto
determinante ai fini della rilevanza.
Essendo stato difatti eccepito dalla Prefettura di Siracusa che la
mancata emanazione del decreto di sistemazione dei rapporti
patrimoniali e finanziari fra i due Comuni (previsto dall’art. 2
della stessa legge n. 43 del 1981), impedendo il passaggio di
competenze, aveva reso illegittimo l’atto oggetto di giudizio, era
preliminarmente necessario risolvere tale eccezione, che, qualora
fondata, avrebbe consentito di definire il giudizio a prescindere
dall’incidente di costituzionalità.
La questione, dichiarata perciò inammissibile, è stata ora
nuovamente rimessa a questa Corte, con una ordinanza nella quale
viene precisamente disattesa l’eccezione, con una esauriente
motivazione sul punto della rilevanza pervenendosi alla conclusione
della ininfluenza, ai fini della operatività della legge che ha
disposto la modificazione territoriale, del decreto di sistemazione
dei rapporti patrimoniali finanziari.
La Regione Sicilia, nel contestare tale conclusione e chiedendo
che questa Corte la disattenda per giungere alla dichiarazione di
inammissibilità della questione tende ad ottenere una pronunzia che
attiene al momento applicativo della legge e che quindi non spetta a
questa Corte, costituendo esclusivo compito del giudice rimettente.
Ciò risulta del resto della circostanza che, nella propria
precedente sentenza n. 649 del 1988, la Corte aveva dichiarato
inammissibile la questione perché il giudice a quo aveva omesso di
motivare in ordine all’eccezione, escludendo in tal modo che potesse
essa stessa pronunziarsi su tale aspetto.
3. – La Regione interveniente sostiene che l’individuazione delle
modalità con cui devono essere sentite le popolazioni interessate,
ai sensi dell’art. 133 della Costituzione, rientrerebbe nella sfera
esclusiva della potestà legislativa primaria attribuitale dallo
Statuto in materia di circoscrizioni comunali, potestà concretamente
attuata nell’art. 9 della legge predetta recante l’Ordinamento
amministrativo degli enti locali della Regione siciliana. Questo
articolo però, a detta della difesa della Regione, non forma oggetto
di alcuna censura di costituzionalità mentre costituirebbe l’unica
norma disciplinatrice delle modificazioni delle circoscrizioni
comunali, al cui disposto la legge, che in concreto ha operato la
modificazione oggetto della presente controversia, si sarebbe
strettamente attenuta, onde non sarebbero pertinenti le censure
rivolte agli artt. 6, 7 e 8 di detta legge.
Osserva in proposito la Corte che oggetto dell’impugnativa è sia
la legge regionale 30 marzo 1981, n. 43, che ha disposto in concreto
la contestata modificazione territoriale, le cui censure di
legittimità costituzionale verranno trattate successivamente, sia
l’art. 6, in relazione agli artt. 7, n. 4 e 8 dell’ordinamento
amministrativo degli enti locali della Regione siciliana, perché
detto art. 6, come sostiene il giudice a quo, nel porre la disciplina
generale che concerne “l’istituzione di nuovi comuni, la fusione di
quelli esistenti, la modificazione delle loro circoscrizioni e
denominazioni”, stabilisce che a ciò si addivenga con legge della
Regione senza prevedere che debbano essere sentite le popolazioni
interessate, come è previsto invece dall’art. 133, comma secondo,
della Costituzione, sia per quel che concerne l’istituzione di nuovi
comuni che in relazione alle modificazioni in genere delle loro
circoscrizioni e denominazioni. Tale previsione è invece contenuta
nell’art. 7 dell’Ordinamento amministrativo degli enti locali della
Regione siciliana (legge 15 marzo 1963, n. 16) limitatamente alla
istituzione di nuovi comuni, talché in Sicilia alla modificazione
delle circoscrizioni preesistenti può addivenirsi senza la previa
audizione delle popolazioni interessate.
Ciò premesso, non può in primo luogo condividersi la tesi
sostenuta dalla difesa della regione, secondo cui la questione
sollevata in riferimento all’art. 133 della Costituzione sarebbe
inammissibile perché la disciplina delle modificazioni territoriali
è, a suo dire, contenuta nell’art. 9 dell’ordinamento amministrativo
degli enti locali della Regione siciliana che non ha formato oggetto
di censura nell’ordinanza di rimessione.
Al riguardo devesi invece precisare che il citato art. 9 reca il
titolo “determinazione e rettifica nei confini” e disciplina – nella
sua formulazione anteriore alla modifica introdotta con la legge 17
febbraio 1987, n. 5, di cui si dirà in prosieguo – le modalità di
attuazione della legge regionale che dispone in concreto la
modificazione delle circoscrizioni dei comuni individuando gli organi
competenti al compimento di tali attività. Invece l’obbligo della
preventiva audizione delle popolazioni interessate è previsto, dal
parametro costituzionale invocato nell’ordinanza di rimessione, come
presupposto sia per l’emanazione della legge che istituisce nuovi
Comuni sia per quella che dispone le altre modificazioni delle loro
circoscrizioni e denominazioni. Correttamente perciò il giudice a
quo, muovendo dalla legge n. 43 del 1981 che ha disposto
l’aggregazione al comune di Palazzolo Acreide di parte del territorio
già appartenente al comune di Noto senza che siano state
preventivamente sentite le popolazioni interessate, ha rivolto la
censura di illegittimità costituzionale sia a detta legge del 1981
sia all’art. 6, in relazione agli artt. 7 ed 8 dell’ordinamento
amministrativo degli enti locali della Regione siciliana, perché
sono queste ultime le norme che all’epoca in cui è stata disposta la
variazione territoriale disciplinavano le modalità per addivenirsi
all’emanazione del provvedimento di natura legislativa diretto alla
istituzione di nuovi comuni, alla fusione di quelli esistenti ed alla
modificazione delle loro circoscrizioni e denominazioni, limitando
alla sola ipotesi della nuova istituzione (art. 7 cit.) l’obbligo di
sentire le popolazioni interessate.
4.1. – Ai fini della definizione del merito delle questioni,
sembra opportuno esaminare per prima in ordine logico quella
concernente l’art. 6, in relazione agli artt. 7 ed 8 dell’ordinamento
amministrativo degli enti locali della Regione siciliana, che recano
la disciplina generale della materia. Orbene, per quel che riguarda
l’aspetto posto in evidenza dalla Regione circa la natura esclusiva
della potestà legislativa attribuitale dallo Statuto in materia di
circoscrizioni comunali, osserva la Corte che l’esercizio di tale
potestà non può prescindere dall’osservanza di alcuni principi
della Costituzione della Repubblica e dal rispetto di tutti i limiti
posti da essa, in quanto non derogati dallo Statuto speciale
(sentenza n. 105 del 1957). Ebbene, l’art. 14 dello Statuto per la
Regione siciliana attribuisce alla potestà legislativa esclusiva di
questa, il regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative,
e l’art. 15, terzo comma, stabilisce che, nel quadro dei principi
generali indicati nei primi due commi, spetta alla Regione la
legislazione esclusiva in materia di circoscrizioni, ordinamento e
controllo degli enti locali.
Ad avviso della Corte la circostanza secondo cui negli articoli 14
e 15 dello Statuto siciliano non si faccia espressa menzione anche
dell’obbligo della previa audizione delle popolazioni interessate,
non può certo assumere il significato di deroga ad un principio di
portata generale che trova puntuale espressione negli artt. 132 e 133
della Costituzione ma che è comunque desumibile dal contesto
dell’intero titolo quinto della seconda parte della Costituzione.
Questa, nell’attribuire spiccato rilievo costituzionale all’autonomia
degli enti locali territoriali, riconosce per ciò stesso la
particolare importanza che in tale quadro riveste il principio di
autodeterminazione delle popolazioni locali per quel che riguarda il
loro assetto istituzionale. Si è dunque in presenza del
riconoscimento a livello costituzionale generale di un principio
ricevuto dalla tradizione storica, perché già presente nella
legislazione comunale e provinciale anteriore alla Costituzione della
Repubblica.
Quest’ultima, nell’occuparsi delle Regioni a Statuto ordinario ha
trasferito ad esse le funzioni in tema di variazione degli enti
locali territoriali subordinandola alla duplice garanzia della
riserva di legge (regionale) e del rispetto, sia pure in forma non
vincolante, del principio dell’autodeterminazione, o più
propriamente, trattandosi di forme di consultazione peraltro non
vincolanti, del principio di partecipazione delle comunità locali a
talune fondamentali decisioni che le riguardano. Principio
quest’ultimo che, essendo ricevuto dalla tradizione ed essendo insito
nel riconoscimento stesso delle autonomie locali, come può evincersi
dall’intero contesto delle norme costituzionali che le disciplinano,
è diretto a garantire, secondo l’articolato disegno di quella
disciplina, l’autonomia degli enti minori nei confronti delle stesse
Regioni per evitare che queste possano addivenire a compromissioni
dell’assetto preesistente senza tenere adeguato conto delle realtà
locali e delle effettive esigenze delle popolazioni direttamente
interessate.
4.2. – L’art. 133 della Costituzione ha come destinatarie le
regioni a statuto ordinario e perciò la riserva di legge regionale
che pone non può riguardare che queste. La parte di esso che è
invece diretta a garantire la partecipazione popolare delle comunità
locali nei confronti delle stesse regioni – per quel che riguarda le
modifiche del loro assetto costituzionale, in quanto espressione di
un principio connaturato all’articolato disegno delle autonomie in
senso pluralista – deve ritenersi che condizioni anche la potestà
legislativa esclusiva della Regione siciliana nella materia, essendo
chiaramente uno dei principi di portata generale che connotano il
significato pluralistico della nostra democrazia.
Pervenuti a tale conclusione è opportuno precisare che la
specifica indicazione del referendum come modalità idonea ad
assicurare l’assolvimento dell’obbligo di consultazione delle
popolazioni interessate previsto dal secondo comma dell’art. 133
della Costituzione, è contenuta nelle sentenze n. 107 del 1983 e n.
204 del 1981 che riguardano le regioni a Statuto ordinario e quindi
tale indicazione non può ritenersi vincolante per la Regione
siciliana.
Questa è titolare nella materia di potestà legislativa esclusiva
ed è perciò libera di determinare le concrete modalità dirette a
garantire il principio di autodeterminazione o di partecipazione in
forme anche equivalenti a quella tipica del referendum, purché tali
da assicurare, con pari forza, la completa libertà di manifestazione
dell’opinione da parte dei soggetti chiamati alla consultazione, al
riparo cioè da ogni condizionamento esterno nel momento del suo
svolgimento e quindi con l’osservanza delle opportune forme di
segretezza adeguate a tali fini.
Con tali precisazioni deve dichiararsi perciò fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge
regionale della Sicilia 15 marzo 1963, n. 16, sull’ordinamento
amministrativo degli enti locali, (nella formulazione vigente
all’epoca in cui veniva disposta con legge regionale n. 43 del 1981
la variazione territoriale) nella parte in cui, nel prevedere che
l’istituzione di nuovi comuni, la fusione di quelli esistenti, la
modificazione delle loro circoscrizioni e denominazioni, sono
stabilite con legge della regione, non dispone che, per ognuna delle
predette ipotesi, debbano preventivamente essere sentite le
popolazioni direttamente interessate.
Tale previsione – sia pure senza espressa menzione delle forme
idonee ad assicurare la libertà di espressione dell’opinione di
ciascuno, da ritenersi già implicita – è infatti contenuta solo nel
successivo art. 7 della stessa legge, che riguarda però
esclusivamente l’ipotesi dell’istituzione di nuovi comuni, mentre non
può dubitarsi che anche per le altre ipotesi di variazioni
territoriali si manifesti la stessa esigenza.
5. – Le considerazioni che precedono rendono agevole la
definizione anche della questione di legittimità costituzionale
della legge regionale 30 marzo 1981, n. 43 che ha disposto
l’aggregazione al Comune di Palazzolo Acreide di parte del territorio
del Comune di Noto.
L’incostituzionalità della legge è sostenuta fra l’altro dal
giudice a quo in relazione alla consultazione delle popolazioni
interessate, essendo stata ritenuta sufficiente a tali fini, da parte
dell’organo legislativo regionale che ha provveduto, l’iniziativa
assunta da un gruppo di cittadini mediante la sottoscrizione di una
istanza diretta ad ottenere il distacco di detto territorio dal
Comune di Noto e l’aggregazione a quello di Palazzolo Acreide. In
proposito devesi rilevare che dalla documentazione allegata agli atti
del giudizio ed in particolare dal parere espresso dal Consiglio di
giustizia amministrativa per la Regione siciliana risulta che
“l’iniziativa della modifica della circoscrizione territoriale in
esame è stata assunta dal Consiglio comunale di Palazzolo Acreide su
istanza di alcune centinaia di elettori residenti nel Comune di Noto
e di alcune centinaia di cittadini del Comune di Palazzolo Acreide,
proprietari, coltivatori diretti, mezzadri e fittavoli operanti in
contrade ricadenti nel territorio di Noto”, mentre non risulta che si
sia dato corso ad una consultazione popolare con le modalità che si
sono in precedenza indicate come indispensabili per ritenersi
soddisfatto il principio della partecipazione popolare a tale tipo di
scelte.
Ebbene, indipendentemente dalla circostanza anch’essa posta in
evidenza dal giudice a quo, circa la mancata verifica, nel corso del
procedimento, della incidenza di coloro che avevano promosso
l’iniziativa in rapporto alla intera popolazione interessata dalla
variazione territoriale, appare assorbente la mancata successiva
consultazione della popolazione direttamente interessata, ovviamente
dovendosi intendere questa come riferita agli elettori (v. in
proposito le sentenze n. 62 del 1975 e n. 38 del 1969) residenti nei
territori da trasferire e non già, come sembrerebbe erroneamente
adombrarsi nell’ordinanza di rimessione, all’intera popolazione
residente nei due comuni, cui non può riconoscersi un interesse
qualificato per intervenire in procedimenti di variazione che
riguardano parti del territorio rispetto al quale essa non abbia
alcun diretto collegamento.
Così delimitata la nozione di “popolazione interessata” va
rilevato che la consultazione che discende dal principio
costituzionale di cui ci si è in precedenza occupati, non possa
reputarsi sostituita dalla sottoscrizione di istanze di cittadini
dirette a promuovere le iniziative di variazione territoriale,
essendo evidente che la sottoscrizione di dette istanze costituisce
un modo di espressione dell’opinione che non offre garanzie circa la
libertà di ciascuno in relazione a possibili condizionamenti
esterni.
D’altronde, in tutti i procedimenti che presuppongono una
consultazione popolare, e quindi anche quando questa, come nella
specie, non sia vincolante, altro è il momento dell’iniziativa altro
è quello della consultazione vera e propria, come risulta in modo
inequivocabile, ad esempio, sia nella disciplina costituzionale (art.
75 della Costituzione) che in quella ordinaria (legge 25 maggio 1970,
n. 352) in materia di referendum abrogativi, nonché nelle leggi
regionali che hanno disciplinato i referendum consultivi che tengono
ben distinti i due momenti, talché, anche se l’iniziativa dovesse
risultare in concreto promossa dalla maggioranza dei cittadini aventi
diritto alla consultazione referendaria, questa dovrebbe ugualmente
celebrarsi con quelle forme di segretezza idonee ad assicurare la
completa libertà degi aventi diritto nel momento in cui ciascuno di
essi deve manifestare la propria opinione.
6. – La dichiarazione di fondatezza delle questioni di
legittimità costituzionale sotto i profili anzidetti esime
dall’affrontare gli altri profili prospettati sia in ordine alle
stesse norme ed in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sia in
ordine alla legge regionale 30 marzo 1981, n. 43, per asserito
contrasto con la disciplina generale contenuta negli artt. 6, 7 e 8
della legge regionale della Sicilia 15 marzo 1963, n. 16.
7. – Nelle more del giudizio a quo è intervenuta la legge
regionale siciliana 17 febbraio 1987, n. 5 (che anche se già emanata
alla data dell’ordinanza di rimessione non è stata oggetto di
impugnativa in quanto la legge di variazione territoriale, dalla cui
legittimità dipende la definizione della controversia, era stata
adottata sotto il vigore della normativa precedente), dal titolo
“modifiche all’Ordinamento degli enti locali nella Regione siciliana
in tema di istituzione di comuni e norme sul decentramento
amministrativo dei servizi comunali nelle frazioni e borgate”, il cui
articolo 1 apporta una serie di modifiche agli artt. 6, 7, 8 e 9
dell’ordinamento amministrativo degli enti locali della Regione
siciliana.
Tra tali modifiche, si riflettono su aspetti che concernono il
presente giudizio quella riguardante il primo comma dell’art. 6, che
è stato sostituito dal seguente: “L’istituzione di nuovi comuni e la
fusione di quelli esistenti sono stabilite con legge della Regione”,
nonché quella che corcerne l’art. 9, cui è stato aggiunto il
seguente primo comma: “La modificazione e la rettifica delle
circoscrizioni territoriali comunali e delle loro denominazioni sono
disposte con decreto del Presidente della Regione, su proposta
dell’Assessore regionale per gli enti locali, previa deliberazione
della giunta regionale, ove si registri l’assenso dei consigli
comunali interessati”.
Per effetto della citata legge del 1987 è stata espunta dalla
originaria formulazione dell’art. 6 che prevede la forma della legge
regionale, la disciplina riguardante la modificazione e la rettifica
delle circoscrizioni territoriali comunali e delle loro
denominazioni, che è stata trasferita nel successivo art. 9, con una
disposizione che ne costituisce, nella forma così novellata, il
primo comma. Ne consegue che attualmente le modificazioni
territoriali diverse dalla istituzione di nuovi comuni e dalla
fusione di comuni preesistenti, devono essere “disposte con decreto
del Presidente della Regione, su proposta dell’assessore regionale
per gli enti locali, previa deliberazione della giunta regionale, ove
si registri l’assenso dei consigli comunali interessati”.
La disciplina così nel frattempo sopravvenuta è dunque anche
essa in contrasto con il principio costituzionale di portata generale
espresso dall’art. 133, secondo comma, della Costituzione il quale
prevede che debbano essere “sentite le popolazioni interessate” sia
per l’istituzione di nuovi comuni che per qualsiasi modifica delle
loro circoscrizioni e denominazioni, ponendo così sullo stesso piano
qualunque tipo di variazione territoriale degli enti locali.
Tenendo conto di detta normativa regionale sopravvenuta a
disciplinare la materia, la Corte ritiene di doversi avvalere del
potere previsto dall’art. 27, seconda parte, della legge 11 marzo
1953, n. 87, estendendo la dichiarazione di illegittimità
costituzionale all’art. 1 della legge 17 febbraio 1987, n. 5, nella
parte in cui, nel modificare gli artt. 6 e 9 della legge regionale 15
marzo 1963, n. 16 sull’ordinamento amministrativo degli enti locali
della Regione siciliana, non prevede che anche per la fusione di
comuni esistenti e per la modificazione e la rettifica delle
circoscrizioni territoriali comunali e delle loro denominazioni
debbano essere sentite, con le modalità suindicate, le popolazioni
interessate.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della
legge 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti
locali nella Regione siciliana) nella parte in cui non prevede che
anche per la fusione dei Comuni e la modificazione delle loro
circoscrizioni territoriali e denominazioni debbano essere sentite le
popolazioni direttamente interessate;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale della legge
Regionale siciliana 30 marzo 1981, n. 43 (Aggregazione al Comune di
Palazzolo Acreide di ettari 10.295.02.01 del territorio del Comune di
Noto);
Visto l’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87:
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della
legge 17 febbraio 1987, n. 5 (Modifiche all’ordinamento degli enti
locali nella Regione siciliana in tema di istituzione di comuni e
norme sul decentramento amministrativo dei servizi comunali nella
frazioni e borgate) nella parte in cui non prevede che anche per la
fusione dei Comuni e per la modificazione delle loro circoscrizioni
territoriali e denominazioni debbano essere sentite le popolazioni
direttamente interessate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 luglio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: CAIANIELLO
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 27 luglio 1989.
Il cancelliere: DI PAOLA