Ordinanza N. 9 del 2001
Corte Costituzionale
Data generale
04/01/2001
Data deposito/pubblicazione
04/01/2001
Data dell'udienza in cui è stato assunto
15/12/2000
Presidente: Fernando SANTOSUOSSO;
Giudici: Massimo VARI, Cesare RUPERTO, Riccardo CHIEPPA, Gustavo
ZAGREBELSKY, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK;
sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 23 marzo
1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’on.
Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Giancarlo Caselli, promosso
dalla Corte di appello di Roma – sezione terza penale, con ricorso
depositato l’11 settembre 2000 ed iscritto al n. 167 del registro
ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il giudice
relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che, nell’ambito del giudizio d’appello avverso la
sentenza di condanna dell’on. Vittorio Sgarbi per il reato di
diffamazione aggravata a mezzo stampa nei confronti di Giancarlo
Caselli, la Corte d’appello di Roma ha sollevato conflitto di
attribuzione fra poteri dello Stato contro la deliberazione della
Camera dei deputati del 23 marzo 1999, con cui tale Assemblea ha
dichiarato che i fatti per i quali l’on. Sgarbi è sottoposto al
suddetto procedimento penale concernono opinioni espresse
nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, ai sensi dell’art. 68,
primo comma, della Costituzione;
che la Corte d’appello, dopo aver richiamato la
giurisprudenza costituzionale relativa all’oggetto del conflitto di
attribuzione ed al nesso funzionale che deve intercorrere tra le
opinioni espresse e l’attività parlamentare, rileva come nel caso di
specie non possa ravvisarsi alcun nesso di tal genere, “stante la non
riscontrabilità di connessione con atti tipici della funzione
parlamentare, in quanto non è possibile individuare … un intento
divulgativo di una scelta o, più in generale, di una attività
politico-parlamentare”. Al contrario, le dichiarazioni incriminate
avrebbero “natura di insulto personale” e sarebbero scollegate ed
estranee rispetto a qualunque valutazione politica, come sarebbe
dimostrato “dalla loro genericità e dalla carenza di riferimenti a
fatti concreti, specifici, determinati”. Né “il fatto che si tratti
di argomento politicamente rilevante e trattato in più occasioni da
un deputato” comporterebbe di per sé “che ci si trovi in presenza di
esercizio della funzione parlamentare, da ravvisare solo quando tale
attività sia correlabile ad uno specifico atto tipico”;
che pertanto, secondo la Corte d’appello, la deliberazione
della Camera esorbiterebbe dall’ambito derogatorio consentito
dall’art. 68 della Costituzione, con la conseguente violazione degli
artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, della
Costituzione – che assegnano la titolarità della funzione
giurisdizionale alla magistratura e tutelano la legalità e
l’indipendenza del suo esercizio – nonché degli artt. 3, primo
comma, della Costituzione – per la disparità di trattamento che
verrebbe introdotta tra cittadini e parlamentari – e 24, primo comma,
della Costituzione – per l’impossibilità della parte lesa a fruire
della tutela giurisdizionale, solo perché è stata offesa da un
parlamentare.
Considerato che, in questa fase del giudizio, a norma dell’art.
37, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, la Corte costituzionale
è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se “esiste la
materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua
competenza”, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche
in punto di ammissibilità;
che nella fattispecie sussistono i requisiti, soggettivo ed
oggettivo, del conflitto (cfr., da ultimo, le ordinanze n. 91, n. 150
e n. 389 del 2000);
che infatti, quanto al primo, devono ritenersi legittimati ad
essere parti del presente conflitto sia la Corte d’appello di Roma –
essendo principio costantemente affermato da questa Corte che i
singoli organi giurisdizionali, esplicando le loro funzioni in
situazione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono
da considerarsi legittimati, attivamente e passivamente, ad essere
parti di conflitti di attribuzione – sia la Camera dei deputati – in
quanto organo competente a dichiarare definitivamente la propria
volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma,
della Costituzione;
che, quanto al profilo oggettivo, sussiste la materia del
conflitto, dal momento che la ricorrente lamenta la lesione della
propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, da parte
della citata deliberazione della Camera dei deputati;
che la forma dell’ordinanza, utilizzata per proporre il
ricorso, deve ritenersi idonea per una valida instaurazione del
conflitto – ove sussistano sostanzialmente i requisiti richiesti –
come ripetutamente affermato da questa Corte (cfr., ex plurimis le
sentenze n. 10, n. 11 e n. 82 del 2000);
che dal ricorso possono ricavarsi “le ragioni del conflitto”
e “le norme costituzionali che regolano la materia”, come richiesto
dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi avanti la Corte
costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo
1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte
d’appello di Roma nei confronti della Camera dei deputati con il
ricorso indicato in epigrafe;
Dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione
della presente ordinanza alla Corte d’appello di Roma, ricorrente;
b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente
ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del
suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla
comunicazione, per essere poi depositati presso la cancelleria della
Corte entro venti giorni dalla notifica.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.
Il Presidente: Santosuosso
Il redattore: Santosuosso
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 4 gennaio 2001.
Il cancelliere: Fruscella