Sentenza N. 147 del 1967
Corte Costituzionale
Data generale
15/12/1967
Data deposito/pubblicazione
15/12/1967
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/12/1967
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI – Prof. GIUSEPPE BRANCA –
Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI, Giudici,
lett. b. del D.L.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, concernente la proroga
dei contratti agrari, modificato dalla legge 13 giugno 1961, n. 527,
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 4 marzo 1966 dalla Corte d’appello di
Venezia nel procedimento civile, vertente tra Demo Augusto e Prevedello
Antenore, iscritta al n. 92 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 143 dell’11 giugno 1966 ;
2) ordinanza emessa l’11 luglio 1966 dalla Corte d’appello di
Catania nel procedimento civile vertente tra Barone Francesco ed eredi
di Barone Giuseppe, iscritta al n. 220 del Registro ordinanze 1966 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 324 del 24
dicembre 1966.
Visti gli atti di costituzione di Demo Augusto, Prevedello
Antenore, Barone Francesco e Barone Mario e di intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 16 novembre 1967 la relazione del
Giudice Costantino Mortati;
uditi l’avv. Angelo Stella, per Barone Francesco, ed il sostituto
avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
1. – Nel corso di un giudizio promosso innanzi alla sezione
specializzata agraria del Tribunale di Padova da Prevedello Antenore,
proprietario di un fondo concesso in affitto a Demo Augusto, per
ottenere il rilascio del fondo stesso allo scopo di poter procedere, in
applicazione all’art. 1, lett. b. del D.L.C.P.S. n. 273 del 1947,
modificato con legge n. 527 del 1961, ad una radicale trasformazione
del medesimo, il convenuto sollevava questione di incostituzionalità
delle norme richiamate per violazione degli artt. 3, 24 e 102 della
costituzione, ma essa venne dichiarata manifestamente infondata.
Instauratosi il giudizio di secondo grado avanti alla Corte di appello
di Venezia, questa ebbe a ritenere fondato il dubbio della violazione
degli artt. 24, 101 e 102 della costituzione pel contrasto della legge
denunciata con il principio del libero convincimento del giudice,
sicché, con ordinanza del 4 marzo 1966, disponeva la sospensione della
causa e l’invio degli atti alla Corte costituzionale.
L’ordinanza, debitamente notificata e comunicata è stata
pubblicata nel n. 143 della Gazzetta Ufficiale dell’11 giugno 1966.
Avanti a questa Corte si è costituito Demo Augusto, con
l’assistenza degli avvocati Bernardo Bianchini e Vitaliano Lorenzoni e,
con deduzioni depositate il 3 maggio 1966, ha fatto osservare che i
requisiti essenziali posti dalla legge per l’accoglimento della domanda
del concedente riguardano tanto la radicalità della trasformazione del
fondo concesso, la immediata loro eseguibilità, la incompatibilità
con la continuazione dell’affitto, quanto l’attuabilità del piano e la
sua corrispondenza con l’interesse generale della produzione agraria e
delle esigenze dell’occupazione.
Poiché tutti i requisiti predetti si pongono quali condizioni
dell’azione e non già meri presupposti processuali ed il bene in
contestazione ha carattere di diritto subiettivo, non si rende
possibile che sulla sussistenza di qualcuno di essi si proceda senza il
contraddittorio, e da parte di un organo amministrativo il cui
giudizio, secondo ritenuto dalla costante giurisprudenza della
Cassazione, rimane sottratto al riesame dell’autorità giurisdizionale
investita della questione della risolubilità del rapporto di
conduzione.
La tutela giurisdizionale di un diritto non può subordinarsi ad un
apprezzamento discrezionale della Pubblica amministrazione agente in
veste autoritativa, né può ammettersi l’affievolimento del diritto
soggettivo in interesse legittimo, dato che la valutazione della
sussistenza degli interessi generali della protezione agraria e
dell’occupazione costituiscono elementi costitutivi dell’iter da
percorrere per giungere alla decisione, e deve perciò rimanere
riservato alle parti l’uso degli strumenti di prova a sostegno delle
proprie ragioni, ed all’esclusiva competenza del giudice la pronuncia
sugli elementi medesimi, sia pure col sussidio di accertamenti tecnici,
sempre da lui controllabili e non mai assolutamente vincolanti.
Osserva come l’esigenza di procedere a valutazioni di interesse
generale si presenta nell’applicazione di numerose disposizioni che si
riferiscono ad esso, o a requisiti analoghi, come per esempio quello
dell’ordine pubblico, senza che si sia mai ritenuto l’incompetenza del
giudice ad effettuarle..
Invoca a sostegno delle ragioni dedotte le sentenze di questa Corte
n. 70 del 1961 e 40 del 1964 e conclude chiedendo che sia dichiarata
l’incostituzionalità della norma denunciata.
Si è pure costituito Antenore Prevedello, con l’assistenza degli
avvocati Cesare Crescente e Francesco Franchi, e, con deduzioni
depositate il 7 maggio 1966, ripropone le argomentazioni dedotte nel
corso dei giudizi di merito, chiedendo il rigetto dell’eccezione.
È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri
rappresentato e difeso dall’avvocato generale dello Stato, che
nell’atto di intervento, depositato il 1 luglio 1966, ha fatto rilevare
come la Corte si sia pronunciata su norme analoghe a quella in esame
con le sentenze n. 70 del 1961, di accoglimento dell’eccezione, e con
la n. 94 del 1962 di rigetto, e che la fattispecie regolata dalle norme
ora denunciate è da assimilare a quella cui si riferiva la seconda
delle pronuncie predette. Infatti allora veniva in considerazione la
tutela dell’interesse artistico e storico la cui sussistenza, al fine
di far cessare il diritto alla proroga del conduttore di immobile
urbano, era fatta dipendere dalla necessità ed urgenza di restauri,
quale doveva essere valutata dalla Sopraintendenza alle belle arti, la
cui funzione, come la Corte ebbe a ritenere, non può considerarsi
esplicata al servizio del processo, bensì esclusivamente a tutela di
un pubblico interesse.
L’identità di questa fattispecie con quella in oggetto non è
alterata pel fatto che solo nella prima e non già nella seconda sono
consentiti alla Pubblica amministrazione interventi diretti a tutela
dello stesso interesse che si fa valere nel corso del processo
giurisdizionale, identica rimanendo nei due casi la natura della
partecipazione a questo da parte dell’amministrazione. L’indole
discrezionale dell’atto da questa emanato determina nel proprietario
concedente, alla pari che nell’altra parte del rapporto, una situazione
soggettiva di interesse legittimo, come tale tutelabile con
l’esperimento sia di ricorso gerarchico al Ministro dell’agricoltura e
sia di azione davanti agli organi di giustizia amministrativa, senza
pregiudizio dell’esercizio del potere di disapplicazione da parte del
giudice del diritto, nei limiti in cui esso sia consentito. Dopo aver
fatto osservare che questo sistema di tutela risulta più efficace
dell’altro affidato alla comune consulenza tecnica, l’Avvocatura
conclude chiedendo il rigetto della eccezione.
Con successiva memoria in data 24 ottobre 1967 la stessa
Avvocatura, nel ribadire le deduzioni dell’atto di intervento, rileva
come, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, è riservato al
giudice decidere circa non solo la radicalità della trasformazione e
dell’incompatibilità della sua esecuzione con la permanenza del
rapporto di affitto, ma anche la possibilità di immediata attuazione
del piano, senza che alla decisione su quest’ultimo punto osti la
determinazione del termine per l’esecuzione stessa da parte
dell’Ispettorato. Il giudice infatti può riconoscere che il termine
così fissato sia incongruo e ritenere quindi la mancanza del requisito
dell’immediata attuabilità. Aggiunge che egualmente inesatta è
l’argomentazione desunta da una presunta mancanza di contraddittorio
nella fase amministrativa, dato che il ricorso gerarchico consente
all’uno e all’altro degli interessati di far valere le proprie
ragioni.
Aggiunge che il ricorso alla comune consulenza tecnica si palesa
inadeguato allorché questa riguardi punti (come quello dell’interesse
generale della produzione e dell’occupazione di mano d’opera) per i
quali occorrono elementi di giudizio ben difficilmente disponibili da
periti privati. Insiste nelle conclusioni già prese.
2. – Con altra ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catania,
nel procedimento civile vertente fra Barone Francesco eredi di Barone
Giuseppe, avente ad oggetto l’azione di rilascio del fondo di
proprietà di quest’ultimo concesso al primo per la coltivazione, in
applicazione dell’art. 1 del decreto legislativo n. 273 del 1947, su
menzionato, veniva ritenuta non manifestamente infondata l’eccezione di
incostituzionalità di questa norma, dedotta dal conduttore. A sostegno
osserva il Collegio che il vincolo discendente a carico del giudice
dagli apprezzamenti demandati all’Ispettorato compartimentale
dell’agricoltura contrasta con l’art. 24 della costituzione. Infatti se
è vero che il giudice può rilevare contraddizioni o palesi
incongruenze incorse negli apprezzamenti stessi e richiedere
informazioni o chiarimenti, non gli è invece consentito nominare un
altro consulente, o comunque ricavare da altre fonti il proprio
convincimento. Inoltre il mezzadro leso dal giudizio dell’Ispettorato
non è da questi udito, sicché, se convenuto in giudizio, non può
difendersi su un punto da cui dipende l’estinzione del suo diritto.
L’ordinanza debitamente comunicata e notificata è stata pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 1966 n. 342.
Si è costituito davanti alla Corte Barone Francesco, assistito e
difeso dall’avv. Angelo Stella, con deduzioni depositate il 14 ottobre
1966, con cui si riporta alle difese del giudizio di merito. Con
successiva memoria del 3 novembre 1967 fa osservare che il caso in
oggetto non presenta alcuna analogia con quello deciso dalla sentenza
n. 94 del 1962, poiché quest’ultimo riguardava una situazione di
assoggettamento del privato al rispetto di pubblici interessi,
tutelabili direttamente dalla Pubblica amministrazione e perciò
depotenziati fin dall’origine a interessi legittimi, mentre nella
specie il concedente ha un vero e proprio diritto soggettivo ad
eseguire piani di trasformazione dei fondi di sua proprietà rivolto a
soddisfare un proprio interesse, mentre manca al riguardo ogni potere
di iniziativa della Pubblica amministrazione. Si tratta di un mero
rapporto di diritto privato fra lui ed il concessionario, di fronte al
quale esclusivamente egli assume una responsabilità nel caso di
mancata esecuzione del piano. Non vi è luogo quindi ad alcun
affievolimento del diritto che possa giustificare l’affidamento
all’esclusivo giudizio dell’autorità amministrativa della sussistenza
di alcune delle condizioni poste dalla legge alla decisione sul
rilascio del fondo locato, escludendo quello del giudice chiamato a
decidere la causa. Conclude chiedendo che venga dichiarata
l’incostituzionalità della norma denunciata.
Si è costituito anche Barone Mario, quale procuratore della vedova
e dei figli del concedente Barone Giuseppe, rappresentato e difeso
dagli avvocati Paolo Torrisi e Francesco Ielo, con deduzioni depositate
il 29 novembre 1966 nelle quali fa rilevare che la norma denunciata non
compromette in alcun modo la tutela giurisdizionale dei diritti poiché
la dichiarazione di utilità e attuabilità del piano, concretante un
apprezzamento tecnico-amministrativo, è solo un presupposto per
l’esperimento dell’azione, mentre spetta al magistrato non solo il
sindacato della legittimità formale dell’atto e l’accertamento
dell’incompatibilità fra esecuzione del piano e continuazione del
contratto agrario, dal quale solo deriva la pronuncia relativa alla
rottura del rapporto. Dopo aver osservato che l’assunzione di un
provvedimento amministrativo a presupposto o condizione di un’azione
giudiziaria trova altri esempi nel nostro diritto (come in materia di
terre incolte, di acque ecc.) conclude chiedendo che la questione sia
dichiarata infondata.
Con successiva memoria in data 30 ottobre 1967 la difesa del Barone
fa anzitutto rilevare la differenza della questione in esame rispetto a
quella decisa con la sentenza n. 70 del 1961, dato che in quest’ultima
l’esito del giudizio dipendeva esclusivamente dal parere espresso dal
Genio civile, mentre nella prima l’intervento della Pubblica
amministrazione riguarda solo uno degli elementi, e non quello
principale, della controversia. Si richiama poi alla decisione del
Consiglio di Stato n. 246 del 1966, che, avendo ritenuto proponibile
avanti ad esso il ricorso avverso la decisione del Ministro
dell’agricoltura in ordine all’attuabilità ed utilità della
trasformazione, ha dichiarato infondata la denunciata violazione
dell’art. 24 della costituzione.
Aggiunge che l’atto amministrativo in parola non sfugge neanche al
sindacato dell’autorità giudiziaria ordinaria, in applicazione del
principio di cui all’art. 5 allegato E, secondo quanto ritiene anche la
Cassazione. Dopo avere messo in rilievo che il principio del
contraddittorio non condiziona in via generale la validità dei
procedimenti amministrativi, conclude osservando che, in ogni caso, la
questione sottoposta alla Corte non è proponibile come questione di
costituzionalità della legge n. 527, costituendo invece questione di
interpretazione della medesima in relazione ai limiti posti al
sindacato degli atti amministrativi.
Insiste nelle conclusioni già prese.
1. – Le due cause riguardano la stessa questione di legittimità
costituzionale, sollevata nei confronti dell’art. 1, lett. b. del D. L.
C. P. S. 1 aprile 1947, n. 273, modificato dalla legge 13 giugno 1961,
n. 527, contenente proroga dei contratti agrari, anche se una fa
riferimento alla violazione del solo art. 24 della costituzione mentre
l’altra denuncia anche quella degli artt. 101 e 102. Perciò esse sono
state trattate congiuntamente e vengono ora riunite per essere decise
con unica sentenza.
2. – La questione deve ritenersi infondata sotto l’aspetto delle
allegate violazioni, sia del diritto all’azione ed alla difesa in
giudizio, sia del principio del libero convincimento del giudice. A
comprovare l’esattezza di tale affermazione occorre anzitutto tenere
presente la funzione assegnata al decreto n. 273, che è quella di
limitare il diritto dei proprietari terrieri alla libera disponibilità
dei fondi concessi in compartecipazione o in affitto, affinché risulti
tutelato l’interesse generale alla protezione della parte del rapporto
contrattuale economicamente e socialmente più debole. Protezione che
si esplica, sia con l’imposizione della proroga legale dei contratti
agrari in corso, sia con il condizionare i casi di deroga alla proroga
stessa ad eventi tassativamente determinati, riguardanti o l’esigenza
dello stesso concedente di coltivare direttamente il fondo, ovvero
(come nel caso che qui viene in considerazione) l’interesse del privato
proprietario a ricavare maggiori profitti dalla coltivazione del fondo,
ma solo in quanto esso appaia connesso con l’interesse generale.
È appunto siffatta connessione fra queste due specie di interessi
che spiega come la disposizione denunciata, oltre a conferire al
giudice poteri particolarmente penetranti in ordine alla valutazione
della correlazione rilevabile fra la natura, l’entità, i tempi delle
trasformazioni agrarie volute effettuare dal proprietario e la
incompatibilità rispetto ad esse della presenza nel fondo
dell’affittuario o del colono, allo scopo di evitare che senza una
effettiva necessità venga sacrificata la pretesa di costoro al
mantenimento in vita del rapporto, richieda d’altra parte
all’Ispettorato agrario compartimentale una preventiva dichiarazione,
vincolante il giudice, circa l’attuabilità e l’utilità delle medesime
in confronto con le esigenze dell’incremento della produzione agraria,
nonché con quelle dell’occupazione della mano d’opera.
È la diversità degli interessi voluti soddisfare che dà ragione
del duplice procedimento richiesto affinché si possa consentire la
deroga alla proroga legale: il primo, di carattere amministrativo,
implicante apprezzamenti d’indole discrezionale, anche se in parte di
discrezionalità tecnica, effettuabili per opera delle autorità
(Ispettorati compartimentali e Ministro dell’agricoltura) che appaiono
le sole, o le più idonee, a valutare la corrispondenza del progetto di
trasformazione con le complessive esigenze dell’economia e della
solidarietà sociale (da apprezzare anche in relazione alle direttive
fissate dai programmi economico-sociali ed alla loro idoneità al
conseguimento delle finalità cui questi hanno riguardo). Il secondo
procedimento, esperibile avanti agli organi giurisdizionali, solo dopo
che l’autorità amministrativa si sia pronunciata in senso favorevole
all’istanza del proprietario, non presenta nessuna limitazione
all’esercizio delle comuni facoltà consentite alle parti, né dei
poteri del giudice per giungere alla determinazione della volontà
della legge nel caso concreto, con riferimento alla sussistenza dei
requisiti di radicalità, di incompatibilità, di immediatezza,
richiesti dall’art. 1 lettera b. Non è esatto quanto è stato
dedotto dalla difesa di uno dei concedenti, che cioè la fissazione da
parte dell’Ispettorato del termine per l’ultimazione delle opere di
trasformazione vincoli l’apprezzamento del giudice circa la
immediatezza delle trasformazioni proposte, poiché, mentre questo
riguarda l’inizio delle medesime, l’altra attiene alla loro durata
massima e persegue lo scopo della tutela dell’interesse generale cui
esse sono collegate.
Nessuna obiezione in ordine alla costituzionalità dell’intervento
dell’autorità amministrativa, in modo condizionante per l’esercizio
dell’azione giudiziaria, potrebbe dedursi né dalla circostanza che
l’interesse cui esso si rivolge è fatto valere solo in seguito
all’iniziativa del privato, né dal fatto che l’inosservanza degli
obblighi assunti dal proprietario dia luogo non già a sanzioni
amministrative, ma solo a doveri nei confronti della parte privata, che
può, ai sensi dell’art. 4, richiedere la restituzione del fondo ed il
risarcimento del danno a lui proveniente dall’avvenuto diniego della
proroga legale. Infatti la tutela del pubblico interesse non si
effettua sempre e necessariamente con le stesse forme, né assume
sempre la stessa intensità, potendo invece venire diversamente
ordinata secondo il grado di rilevanza delle necessità sociali e la
diversità del contemperamento che si rende necessario attuare fra
queste ultime e l’autonomia consentita ai privati.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, ed una volta
ritenuto ammissibile il parziale affievolimento in interesse legittimo
del diritto del proprietario alla trasformazione delle culture del
proprio fondo, deve ritenersi che nessuna violazione dello art. 24
della costituzione sia riscontrabile. Infatti nella fase
amministrativa, dotata di una sua autonomia rispetto al processo
giurisdizionale, se non è assicurato il contraddittorio (che non trova
garanzia costituzionale, riguardando l’art. 24 solo il procedimento
giudiziario) non subisce alcun limite la tutela della situazione
giuridica soggettiva del concedente, nel caso di dichiarazione a lui
sfavorevole dell’Ispettorato agrario o del Ministero dell’agricoltura,
rimanendo essa sempre effettuabile con la piena applicazione dei
principi vigenti in materia.
Deve altresì escludersi che ricorra una violazione degli artt.
101 e 102, poiché, come si è già rilevato, nessun limite è posto
alla indipendenza del giudice ed alla formazione del suo libero
convincimento, dato che questo è effettuabile sulla base di tutti gli
accertamenti probatori consentiti dalle comuni norme, in ordine alla
sussistenza dei requisiti necessari per la pronuncia sulla richiesta di
decadenza del diritto alla proroga, mentre limite contrastante con le
norme richiamate non può considerarsi quello che discende dall’atto
amministrativo che precede il giudizio contenzioso e che, se legittimo,
vincola il giudice alla sua applicazione, secondo le norme generali
regolanti tale specie di atti.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i due giudizi promossi con le ordinanze indicate in
epigrafe,
dichiara infondate le questioni di legittimità costituzionale,
proposte con le ordinanze stesse, dell’art. 1, lett. b, del D.L.C.P.S.
1 aprile 1947, n. 273, e dell’articolo unico della legge 13 giugno
1961, n. 527, contenenti norme sulla proroga dei contratti agrari, in
riferimento agli artt. 24, 101 e 102 della costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 1967.
GASPARE AMBROSINI-ANTONINO PAPALDO –
NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO –
ANTONIO MANCA – ALDO SANDULLI –
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI.