Sentenza N. 491 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
07/11/1989
Data deposito/pubblicazione
07/11/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
25/10/1989
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof.
Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo
CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.
Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
comma, del codice civile nel testo sostituito dall’art. 1, della
legge 29 maggio 1982, n. 297 (“Disciplina del trattamento di fine
rapporto e norme in materia pensionistica”), promosso con l’ordinanza
emessa il 12 novembre 1988 dal Pretore di Modena nel procedimento
civile vertente tra Melotti Maurizio e la Ditta Officine Bindi di
Bertocchi Franco, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1989 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima
serie speciale, dell’anno 1989;
Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice
relatore Luigi Mengoni;
confronti della ditta officine Bindi di Bertocchi Franco, per la
determinazione del trattamento di fine lavoro, il Pretore di Modena,
con ordinanza del 12 novembre 1988 ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2120, terzo comma, cod. civ.,
nel testo sostituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte
in cui – a differenza di quanto è stabilito per i periodi di assenza
dal lavoro dovuti a una delle cause di cui all’art. 2110 cod. civ.,
nonché per il caso di sospensione totale o parziale del lavoro con
intervento della Cassa integrazione guadagni – non include il
servizio militare di leva tra le cause di sospensione della
prestazione di lavoro per le quali deve essere computato nella
retribuzione annua, ai fini del calcolo del trattamento di fine
rapporto, l’equivalente della retribuzione normale.
La questione è sollevata in riferimento non all’art. 52 Cost. –
profilo già esaminato dalla Corte con la sentenza n. 802 del 1988 e
l’ordinanza n. 36 del 1989 – ma agli artt. 3 e 136, sulla base della
premessa che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte nella
sentenza citata, il trattamento di rapporto è, come l’indennità
originariamente prevista dall’art. 2120, un effetto dell’anzianità.
Posta questa premessa, il giudice remittente denuncia:
a) ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle
ipotesi di sospensione previste dalla norma impugnata, trattandosi
anche nell’ipotesi in questione di sospensione dovuta a causa non
imputabile al lavoratore;
b) in particolare, ingiustificata disparità di trattamento dei
lavoratori, obbligati – essi soltanto – al servizio militare di leva,
rispetto al trattamento delle lavoratrici in caso di gravidanza e
puerperio.
2. – Secondo il giudice a quo non varrebbe osservare in contrario
che solo nelle ipotesi di sospensione previste dalla norma
denunciata, e non pure durante il servizio militare di leva, il
lavoratore ha diritto alla retribuzione o a una prestazione
previdenziale sostitutiva, sia perché anche chi presta servizio
militare ha diritto ad una prestazione pecuniaria erogata dallo
Stato, in aggiunta ad altre attribuzioni in natura, sia perché,
comunque, nelle dette ipotesi la legge non si riferisce alle somme
effettivamente percepite dal lavoratore, ma alla retribuzione che gli
sarebbe spettata in caso di normale svolgimento del rapporto di
lavoro;
c) irrazionale disparità di trattamento rispetto ai pubblici
dipendenti, per i quali, a norma dell’art. 20 della legge 24 dicembre
1986, n. 958, anche il periodo di servizio militare di leva è
calcolato agli effetti del trattamento di fine servizio (indennità
di buonuscita, premio di fine servizio ecc.);
d) violazione dell’art. 136, primo comma, Cost., avendo il
legislatore del 1982 reintrodotto surrettiziamente una norma (l’art.
1, secondo comma, del d.leg.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, che
escludeva il servizio militare dal computo ai fini del calcolo
dell’indennità di anzianità) già espunta dall’ordinamento dalla
sentenza di questa Corte n. 8 del 1963.
cod.civ., modificato dalla legge n. 297 del 1982, nella parte in cui
non prevede il servizio militare di leva tra i periodi di sospensione
della prestazione di lavoro computabili nel calcolo del trattamento
di fine rapporto, già riconosciuta da questa Corte con la sentenza
n. 802 del 1988 in riferimento all’art. 52 della Costituzione, è
rimessa in discussione dal Pretore di Modena in riferimento ad altri
parametri costituzionali, e precisamente agli artt. 3 e 136.
2. – La questione non è fondata.
Secondo la premessa di fondo assunta dal giudice a quo, dalla
quale dipende tutta la motivazione dell’ordinanza, il trattamento di
fine rapporto non ha natura diversa dall’indennità di anzianità
originariamente prevista dall’art. 2120. Contrariamente alla dottrina
accolta dalla citata sentenza n. 802 del 1988, il diritto del
lavoratore previsto dal nuovo testo della norma sarebbe sempre un
“effetto dell’anzianità” e la differenza rispetto alla precedente
indennità di anzianità consisterebbe soltanto “nel diverso criterio
di calcolo del loro ammontare”.
Questa valutazione riduttiva non avverte che il criterio di
calcolo è necessariamente connesso con la natura dell’indennità, di
guisa che la radicale modificazione di quello non può non comportare
una radicale trasformazione di questa. Il rilievo che “il trattamento
di fine rapporto, non diversamente dall’indennità di anzianità,
sarà di entità tanto maggiore quanti più sono gli anni di
servizio” non coglie il significato specifico e tecnico della regola
di “proporzionalità agli anni di servizio” che qualificava
l’indennità di anzianità come un effetto dell’anzianità.
Tale proporzione significa che quanto maggiore è il numero degli
anni di servizio prestato tanto più elevata è la base di computo
dell’indennità, costituita dall’ultima retribuzione o, nel caso di
retribuzione costituita in tutto o in parte da compensi variabili,
dalla media degli emolumenti percepiti negli ultimi tre anni.
L’indennità non era una retribuzione accantonata, correlata alle
retribuzioni guadagnate durante il rapporto di lavoro, ma era un
corrispettivo distinto, collegato all’anzianità per se stessa, la
quale entrava direttamente nel calcolo in funzione di moltiplicatore.
Dopo la legge del 1982 l’anzianità non è più un fattore di
calcolo, e in questo senso il trattamento di fine rapporto non è un
effetto dell’anzianità. Esso è formato dalla somma di
accantonamenti annuali calcolati sul coacervo delle retribuzioni
percepite in ciascun anno e rivalutati annualmente a partire
dall’anno successivo. Ne consegue che, ceteris paribus, il
frazionamento dell’anzianità di servizio conseguente a passaggi del
lavoratore da un’azienda all’altra non incide sull’ammontare
complessivo del trattamento di fine rapporto. Una delle ragioni della
ristrutturazione dell’istituto, oltre alla riduzione del costo del
lavoro, è stata l’esigenza di favorire la mobilità del lavoro,
fortemente penalizzata dalla disciplina precedente a causa appunto
della proporzione diretta all’anzianità di servizio, che
caratterizzava l’indennità come premio di fedeltà all’azienda.
L’anzianità conserva solo una rilevanza indiretta in ragione
degli incrementi automatici di retribuzione ad essa collegati
(“scatti di anzianità”, notevolmente ridotti dalla recente
contrattazione collettiva, e passaggi automatici di qualifica,
limitati ai livelli più bassi). Ma ciò significa che la
progressione dell’anzianità influisce, attraverso i connessi
automatismi salariali, sull’entità delle quote annuali di
accantonamento, non già che il trattamento di fine rapporto è
proporzionale all’anzianità.
3. – La correlazione del trattamento di fine rapporto alle
retribuzioni effettivamente percepite esclude la computabilità dei
periodi di sospensione della prestazione di lavoro durante i quali il
lavoratore non conserva la retribuzione, né direttamente, né in
forme equivalenti di previdenza. Tale è il periodo del servizio
militare di leva secondo la disciplina del d.lgs. C.p.S. n. 303 del
1946, in base alla quale si giustifica, in relazione all’art. 3
Cost., la discriminazione operata dalla norma impugnata rispetto ai
periodi di assenza dal lavoro considerati dall’art. 2110 cod. civ. La
ratio dell’art. 2120, terzo comma, non è, come ritiene il giudice a
quo, la non imputabilità al lavoratore dell’impedimento sopravvenuto
(non tutte e non sempre le sopravvenienze previste dall’art. 2110
sono indipendenti dalla volontà del prestatore di lavoro), bensì il
diritto di conservare la retribuzione in deroga al principio di
sinallagmaticità delle prestazioni.
Il riferimento della legge alla retribuzione normale non fornisce
argomento per sostenere che le ipotesi in essa richiamate sono
trattate come periodi di retribuzione figurativa (cioè fittizia)
indipendentemente dalla conservazione della retribuzione a norma
dell’art. 2110 cod. civ., così che la mancanza di analoga tutela nel
caso del servizio militare di leva non giustificherebbe l’esclusione
di questo periodo dal calcolo degli accantonamenti di cui al primo
comma. La dipendenza logica della norma dell’art. 2120, terzo comma,
dal presupposto della conservazione della retribuzione è confermata
dall’equiparazione alle ipotesi di cui all’art. 2110 dei soli periodi
di sospensione del lavoro assistiti dall’intervento della Cassa
integrazione guadagni. Ciò significa che il riferimento alla
retribuzione normale ha soltanto una funzione di arrotondamento (nei
casi di conservazione della retribuzione limitata a una aliquota
percentuale) analoga a quella della norma del primo comma circa il
computo delle frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni.
Nemmeno vale obiettare che “anche chi presta servizio militare ha
diritto a una elargizione pecuniaria erogata dallo Stato e integrata
da attribuzioni ulteriori in natura”. Tali prestazioni, corrisposte a
tutti i militari, non sono “forme equivalenti di previdenza”
sostitutive dell’obbligazione retributiva del datore di lavoro, la
quale in questa ipotesi resta sospesa al pari dell’obbligazione di
lavoro.
Manifestamente inconsistente è poi l’estrapolazione dalle ipotesi
contemplate dall’art. 2120, terzo comma, del caso di gravidanza e
puerperio per metterlo a confronto col caso del lavoratore chiamato
ad adempiere il dovere civico del servizio militare di leva e trarne
argomento di violazione dell’art. 3 Cost. sotto lo specifico profilo
del principio di parità dei sessi.
Non è producente nemmeno il confronto con la disciplina
legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici,
fatta salva dall’art. 4, sesto comma, della legge n. 297 del 1982.
Che il periodo del servizio di leva si computi ai fini di questo
trattamento si spiega perché l’indennità di buonuscita per il
personale statale, l’indennità di anzianità per i dipendenti degli
enti parastatali e l’indennità premio di servizio per i dipendenti
degli enti locali, la cui disciplina il legislatore ha ritenuto,
almeno per il momento, di non modificare, hanno natura analoga a
quella dell’indennità di anzianità originariamente prevista dal
codice civile per i rapporti di lavoro privato, cioè sono
corrispettive all’anzianità come tale, nella quale, giusta la
sentenza n. 8 del 1963 di questa Corte, deve essere computato anche
il tempo trascorso in servizio militare di leva.
4. – Non sussiste infine la pretesa violazione dell’art. 136 Cost.
La sentenza appena citata ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 13
settembre 1946, n. 303, il quale escludeva, salva diversa
disposizione del contratto collettivo, che il periodo trascorso in
servizio militare di leva dovesse essere computato “agli effetti
dell’anzianità”. Questa norma non è stata ripristinata dall’art.
2120, terzo comma, nel nuovo testo dettato dalla legge n. 297 del
1982. Il periodo del servizio di leva continua ad essere computato
nell’anzianità di servizio a tutti i suoi effetti: scatti periodici
di anzianità (cfr. Cass. n. 6166 del 1988), durata del preavviso,
delle ferie annuali e del comporto per malattia, passaggi automatici
di qualifica. Ma tra questi effetti non v’è più il diritto
all’indennità di anzianità, al quale la legge del 1982 ha
sostituito un trattamento di natura diversa.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2120, terzo comma, cod.civ., modificato dalla legge 29
maggio 1982, n. 297 (“Disciplina del trattamento di fine rapporto e
norme in materia pensionistica”), nella parte in cui non prevede il
servizio militare di leva tra i periodi di sospensione della
prestazione di lavoro computabili nel calcolo del trattamento di fine
rapporto, sollevata, in relazione agli artt. 3 e 136 della
Costituzione, dal Pretore di Modena, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1989.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: MENGONI
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 7 novembre 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI