Ordinanza N. 123 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
16/04/1999
Data deposito/pubblicazione
16/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
12/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,
dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio
ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace); degli
artt. 51, secondo comma, e 52 del codice di procedura civile e
dell’art. 78 delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1998 dal
giudice di pace di Imola nel procedimento civile vertente tra la
Ditta C.E.J. e la Ditta Elettro C.F. s.r.l., iscritta al n. 411 del
registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il giudice
relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che nel corso di un procedimento civile il giudice di
pace di Imola, dopo aver chiesto al capo dell’ufficio
l’autorizzazione ad astenersi ed a seguito del relativo diniego, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, 101,
secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, questioni di
legittimità costituzionale, in via gradata:
A) dell’art. 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione
del giudice di pace), soprattutto riguardo alla decisione secondo
equità;
a) “nella parte in cui, prescrivendo che il giudice di pace è
tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari,
e quindi all’osservanza dei doveri di cui all’art. 51, comma 2, cpc,
prevede e attribuisce al capo dell’ufficio il potere di emettere
provvedimento di rigetto della richiesta dell’autorizzazione di
astensione anche nel caso in cui la grave ragione di convenienza,
valutata sussistente dal giudice istante, riguarda il difetto o il
pericolo di imparzialità”;
b) “nella parte in cui non prevede il (riconosciuto) diritto del
giudice di pace di astenersi (per obbedire alla coscienza), nel caso
in cui questi valuta sussistente il difetto o il pericolo di
imparzialità”;
B) degli artt. 51, secondo comma, del codice di procedura civile
e 78 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile,
soprattutto riguardo alla decisione secondo equità:
a) “nella parte in cui prevedono e attribuiscono al capo
dell’ufficio il potere di emettere provvedimento di rigetto della
richiesta di autorizzazione all’astensione, anche nel caso in cui la
grave ragione di convenienza, valutata sussistente dal giudice
istante, riguarda il difetto o il pericolo di imparzialità”;
b) “nella parte in cui non prevedono il (riconosciuto) diritto
del giudice di pace di astenersi (per obbedire alla coscienza), nel
caso in cui questi valuta sussistente il difetto o il pericolo di
imparzialità”;
C) dell’art. 52 del codice di procedura civile, soprattutto
riguardo alla decisione secondo equità, nella parte in cui non
prevede che ciascuna delle parti, alle quali dovrebbe essere
notificato il provvedimento di diniego dell’autorizzazione
all’astensione riguardo all’istanza del giudice che ha valutato
sussistente il difetto o pericolo di imparzialità, possa proporre
ricusazione del giudice mediante ricorso, contenente i motivi
specifici e i mezzi di prova, da depositarsi in cancelleria due
giorni dopo la notifica;
che, ad avviso del rimettente, le garanzie di imparzialità e
terzietà del giudice dovrebbero essere assicurate anche nei casi di
astensione facoltativa, allorché sia lo stesso giudice a dichiarare
di essere privo della necessaria serenità di giudizio;
che le ipotesi in cui il giudice valuti e dichiari sussistente il
difetto o il pericolo di imparzialità non sono invece contemplate
né dall’art. 10 della legge istitutiva del giudice di pace, né tra
i casi tassativi di astensione obbligatoria, di cui all’art. 51 cod.
proc. civ., con la conseguenza che nell’ipotesi di rigetto
dell’istanza di astensione, avanzata per gli indicati motivi, il
giudice avrebbe comunque il dovere di definire il giudizio, violando
in tal modo i principi costituzionali del “giusto processo”, nei
quali è insita l’esigenza di imparzialità e di terzietà del
giudice;
che la disposizione di cui all’art. 51, secondo comma, cod. proc.
civ. si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, poiché essa affida l’accertamento della sussistenza
del difetto di imparzialità al capo dell’ufficio sotto un profilo,
quello soggettivo-interiore, che sfugge alla sua cognizione;
che la indicata norma violerebbe, inoltre, i principi
costituzionali del giusto processo, in quanto il provvedimento di
diniego dell’autorizzazione ad astenersi non costituisce un mezzo
efficace per “ridare al giudice l’imparzialità ovvero per vincere
effettivamente la forza della prevenzione”;
che tra i diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall’art.
2 della Costituzione vi è anche quello “di essere, di sentirsi uomo
giusto” e tali diritti sarebbero gravemente lesi dalle norme che non
consentono al giudice di astenersi, quando egli ritenga di non essere
imparziale;
che le disposizioni disciplinanti l’astensione si porrebbero
inoltre in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 107, terzo
comma, della Costituzione, in quanto il fine di tali norme
costituzionali è quello di garantire ai giudici una assoluta
autonomia di giudizio e di sottrarli a rapporti di tipo gerarchico,
che potrebbero pregiudicare tale autonomia;
che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione ad astenersi,
pur avendo natura amministrativa, interferisce invece nell’ambito
della funzione giurisdizionale, perché statuisce circa la
sussistenza di uno dei presupposti processuali del giusto processo e
prevale sulle determinazioni giurisdizionali già adottate;
che sussisterebbe, infine, violazione del diritto di azione e di
difesa, in quanto il procedimento relativo all’astensione facoltativa
è configurato come un procedimento interno di carattere
amministrativo, cui restano estranee le parti, le quali non possono
proporre ricusazione e non hanno quindi modo di evitare il concreto
pericolo di una sentenza ingiusta, non essendo nemmeno poste in
condizione di conoscere la “situazione di pregiudizievole sofferenza”
in cui si trova il giudice, che, pur avendo denunciato il pericolo di
imparzialità, deve provvedere alla definizione del giudizio;
che risulterebbe quindi irragionevole attribuire alle parti il
potere di ricusazione del giudice nei casi di presunta parzialità di
cui all’art. 51, primo comma, cod. proc. civ., e non attribuirlo,
invece, nel caso di dichiarato, concreto ed effettivo pericolo di
parzialità.
Considerato che il rimettente censura le norme che attribuiscono al
capo dell’ufficio il potere di emettere un provvedimento di diniego
della richiesta di astensione, anche quando la grave ragione di
convenienza riguardi il difetto o il pericolo di imparzialità, e che
non prevedono il diritto del giudice di astenersi, né la
possibilità per le parti di ricusare il giudice che non sia stato
autorizzato ad astenersi;
che in definitiva il rimettente vorrebbe che l’astensione
“facoltativa”, di cui all’ultimo comma dell’art. 51 cod. proc. civ.,
fosse configurata come un diritto insindacabile del giudice;
che le questioni sono manifestamente infondate;
che l’istituto dell’astensione del giudice, pur finalizzato alla
concreta attuazione del principio di imparzialità, costituisce
tuttavia una deroga al dovere di ius dicere che il magistrato assume
entrando a far parte dell’ordine giudiziario;
che pertanto le ipotesi in cui il giudice è esonerato da tale
dovere, in quanto eccezionali, sono tipiche e tassativamente
predeterminate dal legislatore, senza alcun margine di
discrezionalità;
che oltre ai casi tipici nei quali è già espressa la
valutazione dell’esistenza di un pregiudizio alla imparzialità
dell’organo giudicante, il legislatore ha considerato anche il
possibile verificarsi di situazioni che rendono opportuna
l’astensione del giudice in presenza di “gravi ragioni di
convenienza”;
che la espressione formulata dal legislatore in termini
necessariamente generici, stante la varietà delle ipotesi possibili,
comporta in sede applicativa la valutazione in concreto della
ricorrenza di una grave ragione idonea a determinare l’astensione del
giudice;
che del tutto ragionevolmente il legislatore ha rimesso il
controllo in ordine a tale valutazione ad un soggetto diverso
dall’interessato, e ciò sia per impedire arbitrarie astensioni
allorché difettino i relativi presupposti, sia per consentire un
giudizio più obiettivo e distaccato sulla opportunità che il
giudice sia esonerato dall’obbligo di decidere;
che, come ha già affermato questa Corte, il provvedimento del
capo dell’ufficio “riveste un carattere meramente ordinatorio in
quanto espressione della facoltà di distribuzione del lavoro e, più
in generale, della potestà direttiva” (ordinanza n. 35 del 1988),
sì che al relativo procedimento restano necessariamente estranee le
parti del giudizio nel corso del quale viene richiesta
l’autorizzazione all’astensione;
che la tutela delle dette parti si realizza efficacemente
attraverso l’attribuzione ad esse del potere di ricusazione del
giudice nei casi tassativamente previsti.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374
(Istituzione del giudice di pace), degli artt. 51, secondo comma, del
codice di procedura civile e 78 delle disposizioni di attuazione del
medesimo codice, e dell’art. 52 del codice di procedura civile,
sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, 101,
secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, dal giudice di
pace di Imola con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Contri
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola