Sentenza N. 27 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
13/03/1980
Data deposito/pubblicazione
13/03/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
06/03/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott.
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
dell’equo canone nella parte relativa ai locali di affari”‘ promosso
con ordinanza emessa il 28 marzo 1979 dal pretore di Trieste, nel
procedimento civile vertente tra Sapienza Donato e la S.p.a. Pacchetti,
iscritta al n. 442 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 182 del 4 luglio 1979.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore
Arnaldo Maccarone;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Nel corso del procedimento civile promosso da Sapienza Donato
contro la S.p.a. Pacchetti ai sensi dell’art. 73 della legge n. 392 del
27 luglio 1978 e concernente la domanda di rilascio, prima della
scadenza del rapporto locativo, di un immobile destinato ad uso diverso
da quello di abitazione, il pretore di Trieste ha sollevato, con
ordinanza del 28 marzo 1979, questione di legittimità costituzionale
della “normativa dell’equo canone nella parte relativa al locali di
affari”, che si tradurrebbe in un “gratuito privilegio della proprietà
immobiliare ed in una incostituzionale confisca della piccola
imprenditorialità e dell’artigianato”, e sarebbe in contrasto con gli
artt. 35 e 41 prima parte e primo capoverso della Costituzione.
L’ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 4 luglio 1979.
Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
depositato tempestivamente le proprie deduzioni.
L’Avvocatura ha sostanzialmente osservato che nell’ordinanza di
rinvio non sarebbe dato individuare le norme oggetto della censura, per
la genericità dei riferimenti contenuti nella motivazione che, oltre
tutto, riguarderebbero categorie non prese specificamente in
considerazione dalla normativa impugnata. Si renderebbe quindi
necessaria la restituzione degli atti al giudice a quo per
l’indicazione delle norme impugnate e per una più compiuta motivazione
sulla rilevanza.
L’ordinanza in esame non è idonea a promuovere un giudizio di
legittimità costituzionale.
È invero canone fondamentale del procedimento relativo al giudizio
incidentale di legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge che l’ordinanza di rinvio deve enunciare o
comunque rendere sicuramente individuabili le norme oggetto della
censura, nonché i profili della denunziata violazione costituzionale.
Nella specie difettano entrambi i suddetti elementi.
Da un lato, invero, manca l’individuazione delle norme impugnate,
solo genericamente indicate come quelle concernenti i “locali
d’affari”, mai peraltro espressamente menzionati nella legge n. 392 del
1978, che è composta di 85 articoli e si occupa delle locazioni di
immobili ad uso diverso da quello dell’abitazione in numerose
disposizioni comprese negli artt. da 27 a 47 e da 66 a 73, i quali
regolano le più varie ipotesi, che vanno dalla durata del contratto di
locazione alla rinnovazione del medesimo, dalla procedura per il
rilascio all’aggiornamento del canone, dalla successione nel contratto
alla disciplina del diritto di prelazione ed alla proroga del
contratto, senza che dall’ordinanza emergano elementi sicuri al fine di
poter individuare quali fra dette norme, ad avviso del giudice a quo,
siano quelle che concretino il denunziato privilegio della proprietà
immobiliare o l’assunta confisca della piccola imprenditorialità e
dell’artigianato.
D’altra parte la genericità delle denunzie si estende al contenuto
delle censure, enunciate soltanto con le riferite espressioni vagamente
critiche, poste in relazione con gli invocati precetti costituzionali
solo attraverso un riferimento formale e carente di una sufficiente
analisi degli elementi sui quali dovrebbe fondarsi il presunto
contrasto.
Da quanto premesso risulta l’indeterminatezza della proposta
questione, la quale per tale motivo, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (sent. nn. 35/70, 176/72), deve essere dichiarata
inammissibile.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
“della normativa dell’equo canone nella parte relativa ai locali di
affari” sollevata in relazione agli artt. 35 e 41 prima parte e primo
capoverso della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 marzo 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere