Sentenza N. 133 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
15/07/1969
Data deposito/pubblicazione
15/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
1952, n. 3790, promosso con ordinanza emessa il 24 giugno 1967 dal
tribunale di Bologna nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Baldi
Luigi e Giuseppe e l’Ente per la colonizzazione del Delta padano e tra
la società Bonifica di Porto Corsini e l’Ente per la colonizzazione
del Delta padano, l’Amministrazione delle finanze ed altri, iscritta al
n. 268 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 24 del 27 gennaio 1968.
Visti gli atti di costituzione di Baldi Luigi, della società
Bonifica di Porto Corsini e dell’Ente per la colonizzazione del Delta
padano;
udita nell’udienza pubblica del 3 giugno 1969 la relazione del
Giudice Vincenzo Michele Trimarchi;
uditi gli avvocati Carmelo Carbone e Francesco Rigatelli, per
Baldi, l’avv. Gian Marco Dallari, per la società Bonifica di Porto
Corsini, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò,
per l’Ente Delta padano.
1. – Con D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, veniva disposta nei
confronti di Luigi e Giuseppe Baldi l’espropriazione di un complesso di
beni, siti in agro di Ravenna ed aventi una estensione di ettari
2.563.77.34 con un reddito dominicale di lire 291.890,98, con il
conseguente trasferimento degli stessi in proprietà all’Ente per la
colonizzazione del Delta padano.
L’indennità di espropriazione offerta ai Baldi veniva determinata
in complessive lire 99.036.049,95.
Con atto di citazione del 9 marzo 1954 i Baldi convenivano in
giudizio davanti al tribunale di Bologna l’Ente per la colonizzazione
del Delta padano e chiedevano, previa, occorrendo, dichiarazione di
illegittimità costituzionale del decreto, in linea principale che
fosse dichiarata illegittima l’occupazione dei beni da parte dell’Ente,
ed in subordinazione, che fosse dovuta ad essi attori la somma
corrispondente all’effettivo valore dei beni, compresi i fabbricati,
nella loro reale consistenza in quel momento.
Successivamente, con atto di citazione del 28 maggio 1955 la s.p.a.
Bonifica di Porto Corsini, che con atti datati 7 e 8 novembre 1950
aveva acquistato dai Baldi una parte dei beni espropriati, conveniva
davanti allo stesso tribunale l’Ente per la colonizzazione del Delta
padano, l’Amministrazione delle finanze dello Stato, il Ministero della
marina mercantile, il Ministero dei lavori pubblici ed i Baldi; e
chiedeva che l’Ente per la colonizzazione del Delta padano fosse
condannato alla restituzione in suo favore dei beni espropriati di sua
ragione, per essere il decreto presidenziale viziato di illegittimità
costituzionale.
Le due cause venivano riunite con ordinanza dell’8 giugno 1956. I
Baldi si associavano alle allegazioni ed alle conclusioni della
Società Bonifica di Porto Corsini.
Con ordinanza collegiale del 13 gennaio 1959, veniva disposta
consulenza tecnica al fine di accertare la natura di una vasta zona
compresa nell’espropriazione, ma il mezzo istruttorio non poteva aver
corso a causa della difficoltà ed onerosità dell’accertamento.
Trattative di bonario componimento della lite, protrattesi per
anni, risultavano vane.
Rimesse le parti davanti al Collegio, venivano, in via
pregiudiziale, rinnovate o sollevate varie questioni di legittimità
costituzionale.
Precisamente, Luigi e Giuseppe Baldi deducevano l’illegittimità
costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3790, in riferimento
agli artt. 76 e 77 della Costituzione ed in relazione: a) agli artt.
3,4 e 5 della legge 12 maggio 1950, n. 230, all’art. 1 della legge 21
ottobre 1950, n. 841, all’art. 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333, e
all’art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, perché il decreto di
espropriazione, pur essendo stato modificato il piano particolareggiato
di cui all’art. 3 della legge n. 230 del 1950, non era stato preceduto
da un nuovo deposito nella Casa comunale di Ravenna e da una nuova
pubblicazione del piano stesso nel Foglio annunzi legali della
Provincia; b) alla legge n. 841 del 1950 e in particolare all’art. 4 di
detta legge, perché nel decreto di espropriazione erano stati inclusi,
nel computo del reddito dominicale medio, acque e terreni di
immodificabile sterilità, terreni boschivi frangivento e zone
edificatorie urbane residenziali ed industriali, tutti non suscettibili
di coltivazione e di trasformazione agraria; c) a tutte le disposizioni
già citate, perché il procedimento che ha preceduto il decreto
presidenziale non è stato svolto per le finalità di legge, ma con il
preordinato intento di acquisire, a fini di speculazione, terreni non
espropriabili, e perché codesti terreni sono stati quasi totalmente
alienati dall’Ente; e d) a tutte le disposizioni citate, per essere
state incluse nel computo del reddito dominicale e nell’espropriazione,
zone demaniali. La Società Bonifica di Porto Corsini, mentre aderiva
alle eccezioni di illegittimità costituzionale proposte dai Baldi,
sollevava a sua volta questione di legittimità costituzionale del
detto decreto presidenziale, in relazione all’art. 20 della legge n.
841 del 1950 ed in riferimento agli artt. 42, 44, 76 e 77 della
Costituzione, adducendo di essere stata privata, nella qualità di
proprietaria di gran parte dei beni espropriati, dell’indennità di
espropriazione che, invece, era stata liquidata ai venditori.
2. – Il tribunale di Bologna, con ordinanza del 24 giugno 1967,
ritenuto il carattere pregiudiziale della risoluzione delle dedotte
questioni, dichiarava non manifestamente infon date la prima e la
seconda di quelle sollevate dai Baldi e la questione sollevata dalla
Società Bonifica di Porto Corsini solo in riferimento agli artt. 76 e
77 della Costituzione. Dichiarava, invece, manifestamente infondate le
altre questioni.
In ordine alle tre questioni, il tribunale riteneva: che, essendo
del tutto pacifica in causa la difformità tra i dati contenuti nel
piano particolareggiato pubblicato nel F.A.L. del 31 dicembre 1951 e
quelli di cui al decreto impugnato, e non essendosi provveduto da parte
dell’Ente al nuovo deposito e alla nuova pubblicazione del piano
modificato, il procedimento di espropriazione appariva irregolare, in
quanto erano stati violati gli artt. 76 e 77 per eccesso di delega, a
nulla rilevando in contrario la circostanza che la superficie dei
terreni espropriati era minore di quella prevista nel piano
particolareggiato, e che ciò era avvenuto su ricorso dei Baldi.
Riteneva, altresì, che, con eccesso di delega in relazione
all’art. 4 della legge n. 841 del 1950, non erano stati esclusi sia dal
calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie, terreni
di immodificabile sterilità come le aree denominate “pialasse”, che
servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto
Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione, nonché
terreni boschivi frangivento.
Riteneva, infine, il tribunale che, a sensi dell’art. 20 della
legge n. 841 del 1950, il decreto presidenziale avrebbe dovuto
contenere la determinazione dell’indennità spettante alla Società
Bonifica di Porto Corsini e che per ciò, essendo stata emessa codesta
determinazione, avesse violato la legge di delegazione e gli artt. 76 e
77 della Costituzione.
L’ordinanza del tribunale, ritualmente comunicata e notificata,
veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 24 del 27 gennaio 1968.
3. – Nel giudizio davanti a questa Corte si costituivano Luigi
Baldi (con deduzioni depositate il 23 ottobre 1967), la Società
Bonifica di Porto Corsini (con deduzioni depositate il 27 ottobre 1967)
e l’Ente per la colonizzazione del Delta padano (a mezzo
dell’Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 15
febbraio 1968), e chiedevano, le prime due parti, che le questioni
fossero dichiarate fondate e la terza, invece, che ne fosse dichiarata
l’infondatezza. Il Baldi e l’Ente depositivano nei termini,
rispettivamente una memoria ed una breve memoria riassuntiva, con cui
insistevano nelle rispettive ragioni e richieste.
A) In ordine alla prima questione, a) l’Ente espropriante assumeva
che, l’obbligo della ripubblicazione del piano di scorporo è
condizionato ad una effettiva situazione di possibile pregiudizio per
l’espropriato e quando, invece, il piano sia modificato o per
correzione di errori materiali o in modo da non determinare conflitti
con gli interessi dell’espropriato, la sua ripubblicazione costituisce
un atto meramente superfluo.
Nella specie non si sarebbe verificata alcuna delle ipotesi
previste dall’art. 2 della legge n. 339 del 1952. L’Ente aveva invece
accolto parzialmente i ricorsi prodotti dai fratelli Baldi ed in
conseguenza di ciò aveva ridotto la quota espropriabile da lire
339.951,14 a lire 291.890,98, con una differenza di lire 48.060,16.
In conseguenza di tale riduzione era stato operato lo stralcio dal
piano di alcuni mappali, facendo rimanere inalterati quelli residui e
non ne erano stati aggiunti dei nuovi.
La riduzione delle quote di esproprio dall’Ente veniva così
motivata. Sarebbero state operate detrazioni dalla consistenza di Luigi
Baldi (in ordine ad una particella di Ha. 7.18.60 (reddito dominale
lire 668.29) risultata non di sua proprietà) e dalla consistenza dei
due fratelli (in ordine a terreni, in parte aree fabbricabili, in parte
già coperti da costruzioni e in parte destinati all’uso pubblico, per
complessivi Ha.10.48.20 (reddito dominicale lire 4.533,00) e quindi per
Ha. 5.24.10 (reddito dominicale lire 2.266,50) per ciascuno dei due).
Sarebbe stata, d’altra parte, operata, per il calcolo del reddito
dominicale medio, la detrazione dalla consistenza dei pascoli
parificità di 2 (equiparati a questo fine, ad incolti produttivi) per
una estensione complessiva di Ha. 1.521.34.50 (con un reddito
dominicale di lire 51.725,74) (e per ciascuno dei due fratelli Ha.
760.67.25 con un reddito dominicale di lire 25.862,87).
In conseguenza di ciò il piano di scorporo non sarebbe stato
sostanzialmente modificato con pregiudizio degli espropriati, ma
soltanto rettificato, con correzione di errori materiali e revisione
delle quote di reddito espropriabile, in accoglimento dei loro stessi
ricorsi. Non si sarebbe avuta alcuna violazione delle norme
espropriative. E per ciò nessuna ripub blicazione (che d’altronde non
sarebbe stata neppure possibile a seguito della scadenza del termine
utile) avrebbe dovuto aver luogo per consentire agli espropriati
l’esperimento, in via amministrativa, di nuovi ricorsi volti
all’eliminazione di eventuali violazioni di quelle norme.
b) Il costituito Luigi Baldi in ordine alla prima questione
assumeva che nel sistema delle leggi di riforma è necessario che vi
sia corrispondenza (almeno per la parte che assume rilievo sostanziale)
tra il contenuto del piano particolareggiato e quello del decreto di
espropriazione. Se il piano particolareggiato subisce modifiche
sostanziali, ad es. circa le modalità di determinazione del reddito
dominicale dell’intera proprietà e con una differente impostazione
data alla base di scorporo, gli interessati devono, attraverso la
ripubblicazione del piano, essere posti in condizione di far valere i
loro diritti.
Non è necessario – aggiungeva ancora il Baldi – che la mancata
ripubblicazione del piano si risolva in un vizio di sostanza, perché
l’anzidetta corrispondenza è garanzia essenziale ed inderogabile del
decreto di scorporo. Alla ripubblicazione deve procedersi anche se la
superficie viene ridotta. La ripubblicazione del piano modificato
rientra tra le prescritte forme di pubblicità che tutelano un
interesse generale.Concludeva pertanto il Baldi sul punto, sostenendo
che le irregolarità del procedimento – e tra questa rientra la mancata
ripubblicazione del piano modificato – configurano un vizio di
legittimità costituzionale per eccesso di delega. Sarebbe perciò
infondata la tesi dell’Ente secondo cui l’obbligo di ripubblicazione
del piano modificato sia condizionato da una effettiva situazione di
possibile pregiudizio per gli espropriati e che tale situazione non
sussiste quando la modifica si sostanzia in una riduzione
dell’esproprio ovvero sia dovuta ad accoglimento di ricorsi degli
espropriati.
Nella specie, vi sarebbe tra il contenuto del piano e quello del
decreto una differenza clamorosa, essendo passati l’estensione della
zona espropriata da Ha. 2.927.53.58 ad Ha. 2.563.77.34 (con una
riduzione di Ha. 369.76.24), il reddito dominicale da lire 339.951.04 a
lire 291.890.98 (con una riduzione di lire 48.061,06) e l’indennità da
lire 116.173.141,4 a lire 99.036.049,95 (con una riduzione di lire
17.137.091). Tale differenza rivelerebbe la radicale rielaborazione del
piano (anche se non è dato conoscere come in effetti si sia proceduto
dall’Ente nelle modificazioni) e sarebbe la conseguenza dell’adozione,
da parte dell’Ente, di criteri giuridici differenti da quelli
precedentemente seguiti nel piano pubblicato, con una sostanziale
modificazione di questo anche all’estensione dei terreni espropriati.
L’Ente, comunque, non accoglindo sostanzialmente i ricorsi a suo tempo
prodotti dai Baldi, avrebbe adottato un criterio intermedio, empirico,
errato.
Il piano, così modificato avrebbe dovuto essere ripubblicato in
base all’art. 4 della legge n. 230 del 1950 e non in base all’art. 2
della legge n. 339 del 1952, ma l’Ente non solo non vi ha proceduto, ma
provvedendo a suo tempo alla pubblicazione solo nell’ultimo giorno
utile (31 dicembre 1951), si era preclusa la possibilità di farlo.
Faceva notare ancora il Baldi che non era e non è consentito
all’Ente, in caso di mancata ripubblicazione del piano, di rendere
conoscibile in maniera diversa e tardivamente, come nella specie, la
situazione. Una ricostruzione siffatta non può essere presa in
considerazione, per varie ragioni: anzitutto perché si tratta di
semplici asserzioni dell’Ente, in secondo luogo perché le
modificazioni sarebbero il frutto dell’adozione di nuovi criteri
rispetto all’originario piano ed infine perché, in ordine ai 1.521
ettari di terreno classificati in catasto come pascolo parificato di
seconda e pertanto computati a tutti i fini del piano originario,
l’Ente ha proceduto ad una equiparazione ad incolti produttivi, solo al
fine del computo del reddito medio.
In particolare, a proposito di codesta equiparazione, l’Ente ha
operato arbitrariamente, non limitandosi alla eliminazione di semplici
errori materiali, ma addirittura modificando la qualifica catastale
(pur avendo solo il potere, contro le risultante catastali, di
ricorrere alla competente commissione). Analoga operazione arbitraria,
d’altra parte, l’Ente avrebbe compiuto a proposito dello stralcio dei
terreni in parte aree fabbricabili ed in parti coperti da costruzioni,
in contrasto con le risultanze catastali e senza avere il potere di
provvedere.
Rilevava, infine, il Baldi che nel decreto presidenziale le
estensioni di alcuni mappali sarebbero maggiori rispetto a quelle
indicate nel piano particolareggiato, ed un mappale sarebbe nuovo.
4. – B) La seconda questione, come si è sopra precisato, è posta
in relazione all’art. 4 della legge n. 841 del 1950 e sempre in
riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione e concerne la mancata
esclusione sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della
superficie, e l’avvenuta inclu sione nel decreto di “terreni di
immodificabile sterilità, come le aree denominate pialasse, che
servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto
Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione”, nonché
“terreni boschivi frangivento”.
a) Al riguardo, la difesa dell’Ente ha osservato che la
trasformabilità dei terreni, quale presupposto della loro
espropriabilità, deve intendersi in senso meramente tecnico, senza
costituire un limite rigorosamente vincolante, ma che la relax tiva
nozione si inquadra in una sfera di valutazione discrezionale riservata
al legislatore e non soggetta al sindacato di costituzionalità. Né la
Costituzione né la legge di delegazione fissano una nozione di
trasformabilità cui il legislatore delegato debba attenersi.
D’altra parte, è indubbio che i boschi, anche se frangivento, non
sono esclusi dall’espropriazione.
Pur non avendo il tribunale motivato circa le censure relative
all’inclusione nell’esproprio di terreni asseriti edificatori o di zone
industriali, ovvero di fabbricati rurali, la difesa dell’Ente si faceva
carico di rilevare che tutti i terreni espropriati erano censiti in
catasto come agricoli alla data del 15 novembre 1949 (e quindi per essi
valeva quanto ora detto circa la trasformabilità) e che il problema
relativo ai fabbricati rurali era stato risolto da questa Corte con
sentenza n. 62 del 1957.
b) Il Baldi, con le deduzioni e con la memoria, mentre circa gli
aspetti relativi alle zone edificatorie ed ai boschi si riportava alle
considerazioni svolte nel giudizio di merito, rilevava, a proposito
delle “pailasse” che bene aveva fatto il tribunale ad indagare se
quelle zone, pur essendo iscritte in catasto rustico, avessero natura
diversa dalla proprietà terriera, ed era pervenuto a corrette
conclusioni, ritenendo quelle aree non suscettive di coltivazione; e
che da codesta constatazione in fatto non poteva non discendere
l’illegittimità dell’inclusione delle ripetute aree nel piano di
espropriazione approvato col decreto presidenziale. Senza scendere a
subordinate, il Baldi si preoccupava di precisare che, se l’Ente avesse
escluso dal piano particolareggiato le estensioni lagu nari (la cui
superficie sarebbe stata di Ha. 2.600), sarebbe venuta meno, nei
confronti degli espropriati, la possibilità di una espropriazione; e
che dette estensioni dovevano necessariamente essere escluse, perché
non costituenti proprietà agricola. Riconoscimenti in tal senso erano
nell’operato del catasto che solo a fini fiscali le aveva indicate come
“pascolo parificato di seconda” e nel comportamento dell’Ente che ad
una parte di essi (Ha. 1.521 su 2.600) aveva attribuito la
qualificazione di “incolto produttivo” e che, ad es. in delibere ed in
atti di trasferimento a terzi, aveva ammesso il carattere lagunare
della zona.
Per tanto, secondo il Baldi, le ripetute estensioni avrebbero
dovuto essere del tutto escluse dai computi dell’esproprio e
dall’esproprio, e la loro inclusione costituisce il vizio di eccesso
dalla delega legislativa, che porta, anche tenuto conto della vastità
delle zone, alla totale illegittimità del decreto di espropriazione.
5. – C) In ordine alla terza questione, sollevata in relazione
all’art. 20, terz’ultimo comma, della legge n. 841 del 1950,
l’Avvocatura dello Stato, per l’Ente di colonizzazione del Delta
padano, ricordava che l’acquirente per atto inefficace non è soggetto
passivo dell’espropriazione, non deve essere nemmeno indicato nel
decreto e non gli si deve attribuire la indennità o la parte
corrispondente ai beni acquistati. A codesto acquirente spetta solo un
diritto di credito, alla parte di indennità spettantegli, diritto da
far valere in sede di svincolo dell’indennità stessa.
Nella specie, la Società Bonifica di Porto Corsini sarebbe priva
di legittimazione passiva per far valere la pretesa illegittimità del
decreto proprio sotto il profilo del citato art. 20. Né le varrebbe
invocare l’art. 2900 del Codice civile, perché l’azione surrogativa
sarebbe fondata su un titolo inefficace. Spetta alla Società, come si
è detto, solo un diritto di credito sull’indennità, il cui ammontare
per altro non è oggetto di contestazione.
La Società Bonifica di Porto Corsini, da canto suo, rilevava che,
interpretando l’art. 20 nel senso prospettato dall’Ente, questa Corte
sarebbe chiamata ad esaminare d’ufficio se discendendo direttamente
l’effetto espropriativo dal combinato disposto dell’art. 20, comma
secondo, della legge n. 841 del 1950 e dell’art. 1, ultimo comma, del
D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69, tali norme siano compatibili con l’art.
42, comma secondo, della Costituzione, in quanto sarebbe negato
retroattivamente il riconoscimento alla proprietà privata,
disconoscendosi l’efficacia del suo legittimo acquisto.
Senonché – secondo la Società – l’art. 20 va interpretato
diversamente e precisamente nel senso che esso ha solamente reso
inopponibili agli Enti di riforma gli atti di acquisto posteriori a
determinate date, al limitato effetto del computo del coacervo della
proprietà terriera nella sua consistenza al 15 novembre 1949. Con la
conseguenza che l’espropriazione va pronunciata nei confronti degli
acquirenti ed agli stessi la indennità deve essere offerta e
corrisposta.
Insisteva, pertanto la Società per la declaratoria
dell’illegittimità del decreto di espropriazione.
Il Baldi, infine, rilevava che la mancanza di determinazione
dell’indennità spettante alla Società comportava l’indeterminatezza
della parte di indennità di pertinenza dei Baldi e che gli sarebbe
giovata (e per ciò chiedeva che fosse emessa) la declaratoria di
illegittimità costituzionale del decreto per il motivo rassegnato
dalla Società.
6. – All’udienza del 6 novembre 1968 le difese delle parti
costituite svolgevano oralmente le rispettive ragioni ed insistevano
nelle precedenti richieste.
La Corte, con ordinanza del 20 dicembre 1968 n. 131, considerato
che prima di esaminare le questioni della causa appariva opportuno
acquisire i piani particolareggiati di esproprio pubblicati il 31
dicembre 1951 dall’Ente per la colonizzazione del Delta padano e
portanti i nn. 283/1 e 284/1 nei confronti di Baldi Giuseppe e di Baldi
Luigi, nonché tutti gli atti e documenti comunque rilevanti ai fini
dell’approntamento dei piani particolareggiati concernenti le stesse
ditte ed approvati col D.P.R. n. 3790 del 1952, disponeva che l’Ente
procedesse al deposito in cancelleria ed entro 60 giorni dalla
comunicazione dell’ordinanza, degli indicati atti e documenti.
Nel termine l’Ente depositava, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato,
copia dei piani particolareggiati originari, i modelli Q (con allegati)
relativi al calcolo della quota scorporabile ai fini dei piani
particolareggiati originari ed agli effetti del decreto di esproprio, e
fotocopie delle Gazzette Ufficiali contenenti il decreto di esproprio e
dell’errata corrige.
7. – Sotto la data del 20 maggio 1969, il Baldi depositava una
seconda memoria e lo stesso faceva l’Ente per la colonizzazione del
Delta padano.
Il Baldi sosteneva che dalle controdeduzioni dell’Ente al ricorso
dei fratelli Baldi contro i piani di esproprio risulta in modo
inequivoco che a suo tempo fu proposta “l’approvazione di un piano
radicalmente differente dai piani particolareggiati pubblicati senza
provvedere a ripubblicazione, non per avere effettuato correzioni di
errori materiali, ma per avere adottato nuovi criteri, differenti
concetti giuridici, rispetto ai piani particolareggiati pubblicati”.
In particolare la difesa del Baldi rilevava che l’Ente,
riconoscendo che vastissime estensioni erano vincolate al servizio del
porto ed operando di conseguenza una cospicua detrazione, aveva
adottato un concetto giuridico totalmente diverso da quello
precedentemente applicato. Ed infatti, mentre in sede di formazione dei
piani particolareggiati, l’Ente aveva ritenuto che il terreno di cui
sopra, catastalmente parificato, a fini fiscali, a pascolo di seconda,
doveva essere considerato terreno in conseguenza di detta
parificazione, in un secondo momento, e precisamente in sede di
approntamento dell’unico piano particolareggiato approvato col ripetuto
decreto, aveva considerato quel terreno come incolto produttivo,
modificando il criterio di valutazione adottato per la formazione dei
piani particolareggiati originari, oggetto di pubblicazione.
In ordine al secondo profilo della sollevata questione la difesa
del Baldi insisteva nel rilevare che sarebbero stati espropriati
terreni di immodificabile sterilità, assumendo che tale conclusione
sarebbe pienamente confermata dalle citate controdeduzioni dell’Ente.
In detto documento l’Ente avrebbe riconosciuto, infatti, che tali
“terreni” erano “estensioni di acqua e non terreno, e tanto meno
terreno agricolo, vincolate alla funzione idraulica… indispensabile
al funzionamento del porto e alla navigazione”. Sulla base di codesti
presupposti tali zone avrebbero dovuto essere escluse da ogni computo e
valutazione; ed invece l’Ente le ha prese in considerazione e computate
“con la semplicistica affermazione che dette zone debbono essere
computate in quanto esse sono classificate pascoli parificati oppure
pascoli”.
Osservava, infine, la difesa del Baldi che l’Ente, dovendo per
altre ragioni ridurre la superficie scorporabile, avrebbe operato in
modo da lasciare ai Baldi la “pialassa” del Piombone, e cioè
un’estensione d’acqua, aggravando in tal modo, nei confronti degli
espropriati i già ingenti danni agli stessi occorsi in conseguenza
dell’attuazione delle leggi di riforma agraria. Con la memoria sopra
ricordata, da canto suo l’Ente insisteva perché la sollevata auestione
fosse dichiarata infondata.
Premesso che, essendo l’onere della nuova pubblicazione previsto
dalla legge come garanzia sostanziale, prima ancora che formale in
favore di soggetti espropriati, l’esigenza ispiratrice della relativa
norma consiste nell’impedire il verificarsi di un possibile pregiudizio
a carico dei soggetti passivi del procedimento, secondo la difesa
dell’Ente nella specie non si sarebbe verificata l’ipotesi
dell’indicato pregiudizio e quindi non era necessario che si procedesse
a nuova pubblicazione. Le modificazioni ai piani particolareggiati,
infatti, erano state apportate in conseguenza dell’accoglimento
parziale di ricorsi presentati dai fratelli Baldi, i quali da ciò
erano stati notevolmente avvantaggiati.
Inoltre, i piani originari non erano stati sostanzialmente
modificati, con pregiudizio degli espropriati, ma solo rettificati, con
la semplice correzione di errori materiali e revisione delle quote di
reddito espropriabile, e senza l’adozione di differenti criteri di
espropriazione. E pertanto, anche sotto questo secondo profilo, per
l’Avvocatura dello Stato, non si erano mai verificati i presupposti
perché si dovesse procedere ad una nuova pubblicazione dei piani.
8. – All’udienza del 3 giugno 1969, le parti costituite svolgevano
ancora una volta e conclusivamente le rispettive ragioni e richieste.
1. – La questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 27
dicembre 1952, n. 3790, con cui è stata disposta nei confronti di
Luigi e Giuseppe Baldi l’espropriazione di terreni dell’estensione di
ettari 2.563.77.34, in favore dell’Ente per la colonizzazione del Delta
padano, è sollevata anzitutti, in relazione agli artt. 3, 4 e 5 della
legge 12 maggio 1950, n. 230, all’art. 1 della legge 21 ottobre 1950,
n. 841, all’art. 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333 e all’art. 2
della legge 2 aprile 1952, n. 339, ed in riferimento agli artt. 76 e 77
della Costituzione.
Ritiene il tribunale di Bologna che “il piano particolareggiato
determina il contenuto della legge provvedimento in cui si concreta
l’attività delegata e che i diritti dell’espropriando e dei terzi sono
tutelati dalle prescritte forme di pubblicità, fra le quali va
annoverata, la nuova pubblicazione del piano particolareggiato di
esproprio quando esso abbia subito modifiche”; che “è del tutto
pacifico in causa che vi è differenza tra i dati contenuti nel F.A.L.
del 31 dicembre 1951” (nel quale sono stati pubblicati i piani
particolareggiati originari nn. 283/1 e 284/1, di eguale contenuto,
rispettivamente intestati a Giuseppe Baldi ed a Luigi Baldi) “e quelli
contenuti nel D.P.R. n. 3790”; e che, perciò non risultando pubblicati
i piani particolareggiati definitivi, non sarebbero state osservate le
norme delle leggi di delega già citate e sarebbero stati violati gli
artt. 76 e 77 della Costituzione.
La questione di legittimità costituzionale del decreto di
esproprio, sotto questo primo profilo, ad avviso della Corte, non è
fondata.
2. – Nella specie, risulta in punto di fatto dall’ordinanza del
giudice a quo, dagli atti e dalle ammissioni delle parti in questa
sede, che il piano particolareggiato definitivo, approvato con il detto
decreto n. 3790 del 1952, ha un contenuto parzialmente diverso da
quello dei due piani originari (complessivamente considerati) e che a
questi sono state apportate varie modifiche.
Il piano particolareggiato approvato differisce da quelli originari
in quanto prevede l’espropriazione di terreni per un’estensione di
ettari 2.563.77.34 con un reddito dominicale di lire 291.890,98 e
l’offerta di un’indennità di lire 99.036.049,95 mentre i piani
originari riguardano complessivamente ettari 2.927.53.58 con un reddito
dominicale di lire 339.951,14 e l’indennità offerta ammonta a lire 116
milioni 173.141,40. Le tre voci risultano così ridotte,
rispettivamente di ettari 363.76.24 di estensione e di lire 48.060,16
di reddito dominicale, e di lire 17.137.092,25 di indennità.
A tali riduzioni si accompagnano, nel piano approvato, la
eliminazione totale o parziale di alcuni mappali già compresi nel
primo corpo dei terreni di cui ai piani originari e lo stralcio
integrale degli arti corpi (II, III e IV).
È del pari sufficientemente certo che a tali modifiche (riduzione
della quota di esproprio ed esclusione di dati beni dallo scorporo) dei
piani originari, l’Ente per la colonizzazione del Delta padano è
pervenuto, accogliendo in parte il ricorso a suo tempo proposto dai
Baldi avverso i piani originari, a seguito e attraverso l’esclusione:
a) della consistenza, di un terreno in Grizzana di Bologna (perché di
proprietà di un omonimo di Luigi Baldi) e di aree fabbricabili site in
territorio di Bologna (perché facenti parte di territori non
assoggettati alla legge n. 841 del 1950); b) dalla consistenza e dallo
scorporo, di terreni o occupati in fatto e destinati a strada o incolti
sterili, di una casa cantoniera, e di un fabbricato rurale di
proprietà comunale; e c) dalla consistenza, ai soli fini del calcolo
del reddito medio, di ettari 1.521.34.50 (partita 1912, Sezione S.
Alberto) di terreni, classificati in catasto come parificati di 2ª e
ritenuti incolti produttivi.
D’altra parte, risulta in modo sicuro che nel piano approvato non
sono stati compresi terreni o ditte che già non figurassero nei piani
pubblicati.
Tutto ciò porta a ritenere che nella specie, ai piani originari
siano state apportate modifiche di vario genere e che, accanto a quelle
consistenti nella semplice correzione di meri errori materiali nella
dichiarazione (del tutto ininfluenti ai fini dell’asserita doverosità
di ripubblicazione del piano), vi sono modifiche puramente formali
(egualmente irrilevanti) come quella risultante dalla sostituzione di
un unico piano definitivo ai due piani originari, ma soprattutto
modifiche sostanziali o radicali.
Senonché i dati e gli elementi emersi e fin qui rilevati nella
specie considerata non possono indurre questa Corte a ritenere
essenziale la pubblicazione del piano modificato ed a trarre, dalla
constatazione del mancato compimento di codesta formalità, il
convincimento della fondatezza della sollevata questione, sotto il
profilo in esame. E ciò pur tenendosi presente che con diverse
pronunce, in ordine a fattispecie la cui valutazione ha risentito delle
peculiarità proprie di ciascuna di esse, e in tema di garanzie per gli
espropriandi e per i terzi, si è esplicitamente, e più volte,
statuito nel senso del carattere essenziale delle forze pubblicitarie
(sentenze n. 39 del 1962, nn. 34, 38 e 41 del 1964 e n. 133 del 1967).
3. – Vi è indubbiamente a proposito del caso in esame un punto o
profilo che va messo nel dovuto risalto.
Non è appagante la tesi secondo cui, in ogni caso, alla
pubblicazione del piano che abbia subito modifiche sostanziali si debba
provvedere perché nel totale rispetto del procedimento è la garanzia
per gli espropriandi e per i terzi. Non si può non tener conto infatti
degli interessi che stanno a fondamento delle norme e dei modi e limiti
della loro tutela.
Occorre distinguere. Nell’ipotesi in cui nel piano modificato non
siano compresi terreni che già non fossero in quello originario e ad
ogni modo a questo siano state apportate modifiche sostanziali,
l’interesse degli espropriandi e dei terzi va tenuto presente (qualora
ne sia temuta o attuata la violazione) ai fini della valutazione di
essenzialità degli atti del procedimento.
Se del piano originario vengono effettuati il deposito e per
estratto, la pubblicazione (come nella specie) e – si ripete – le
modifiche non si sostanziano nell’aggiunzione di nuovi terreni o di
nuove ditte, la (nuova) pubblicazione del piano modificato non serve a
tutelare di più e meglio l’interesse dei terzi, che a seguito del
compimento della prima pubblicità sono stati messi in grado di
conoscere il piano e di sperimentare le proprie difese.
Per quanto concerne gli espropriandi, il discorso è meno semplice
ma egualmente conclusivo. C’è da ritenere che sia irrilevante la
mancanza di pubblicazione del piano assoggettato a modifiche
sostanziali, qualora per i soggetti espropriati sia esclusa l’esistenza
di un danno il quale sia eliminabile solo attraverso il rimedio di cui
all’art. 4 comma secondo, della legge n. 230 del 1950, e sia invece
configurabile un danno astrattamente eliminabile con la denuncia di
illegittimità costituzionale del decreto, e attraverso il relativo
procedimento davanti a questa Corte.
Stante che la richiesta avanzata a sensi del citato art. 4, comma
secondo, può tendere (come è logicamente da ammettere) oltre che alla
rettifica degli errori materiali, alla applicazione di norme diverse o
nuove o all’adozione di criteri giuridici diversi o nuovi; ma che la
mancata proposizione di essa non è di ostacolo acché le domande già
proponibili, vengano avanzate davanti al giudice di merito e nella
eventuale fase del giudizio costituzionale (sentenza n. 10 del 1959),
appare del tutto razionale il risultato sopra conseguito. La mancanza
di pubblicazione del piano modificato integra una inosservanza delle
leggi di delega suscettibile d’essere fatta valere davanti a questa
Corte, unicamente nella effettiva (e non solo presunta) ricorrenza di
un interesse degli espropriati a proporre ricorso a sensi del citato
art. 4, comma secondo.
Precisata in tal senso l’interpretazione (che nella materia ha una
funzione di primaria importanza) delle norme in oggetto, deve
escludersi con riferimento alla specie che nel piano modificato siano
state introdotte cause di danni contro le quali i fratelli Baldi solo
col ripetuto ricorso avrebbero potuto far valere le loro difese.
Va tenuto conto, ancora una volta, che il piano modificato si
riferisce solo a terreni già compresi nei piani provvisori pubblicati;
che nel piano modificato, essendo diminuita la quota di esproprio
gravante sui due condomini, sono stati inclusi beni per un’estensione
che è inferiore (per Ha. 363.74.26) a quella dei beni (medesimi)
inclusi nei piani provvisori pubblicati; che gli espropriati, qualora
fossero stati messi in grado di conoscere il piano modificato,
nell’assenza di errori materiali da correggere, non si sarebbero potuto
servire del più volte indicato ricorso; e che ciò solo ed invece, gli
espropriati avrebbero potuto fare (ed hanno fatto sollevando davanti al
tribunale di Bologna la questione): denunciare le violazioni di legge
in cui sarebbe incorso l’Ente formando i piani originari e
modificandoli, in sede di controllo sulla legittimità costituzionale
del decreto.
Risulta pertanto che nella specie gli espropriati erano carenti di
interesse a pretendere la pubblicazione del piano definitivo, e
conseguentemente deve dichiararsi l’infondatezza della questione.
4. – Con l’ordinanza di rimessione viene denunciata la
illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 3790 anche sotto altro
profilo. Si assume infatti che “con eccesso di delega in relazione
all’art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, anziché essere esclusi
sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie,
sono stati inclusi nel decreto terreni di immodificabile sterilità
come le aree denominate “pialasse”, che servono da cassa di espansione
delle maree per il drenaggio di Porto Corsini e che perciò non sono
suscettive di coltivazione; inoltre sono stati inclusi terreni boschivi
frangivento”.
Non vi è dubbio che le norme di cui alla legge n. 841 del 1950,
alla legge n. 230 dello stesso anno in quanto richiamata ed
applicabile, ed alle leggi successive concernono i “territori
suscettibili di trasformazione fondiaria o agraria” (art. 1, comma
primo, della legge n. 841) e per quanto riguarda la specie, quelli
compresi nel Comune di Ravenna (D.P.R. 7 febbraio 1951, n. 69). Della
“proprietà terriera privata”, soggetta, ai sensi dell’art. 4 della
legge n. 841 (che ha sostituito l’art. 2 della legge n. 230), ad
espropriazione non fanno parte i terreni in fatto sterili, e cioè
privi attualmente dell’attitudine alla produzione agricola. Del parti
ne sono esclusi esplicitamente, nonostante che si tratti di terreni
soggetti ad estimo, i boschi (sempre che per quelli in pianura o in
lieve pendio, suscettibili di trasformazioni agrarie ed esenti dal
vincolo idrogeologico, l’Ente non si avvalga della facoltà di cui
all’art. 5 della citata legge n. 841). Non vi rientrano neppure i
terreni facenti parte del demanio o del patrimonio dello Stato o degli
enti pubblici, e così pure i terreni iscritti in catasto senza reddito
(come gli incolti sterili).
Il tribunale di Bologna, postosi il problema dell’osservanza in
concreto dell’anzidetto limite oggettivo, ha ritenuto, come si è sopra
osservato che, avrebbero dovuto essere esclusi sia dal calcolo del
reddito dominicale che da quello della superficie “terreni di
immodificabile sterilità come le aree denominate “pialasse” che
servono da cassa di espansione delle maree per il drenaggio di Porto
Corsini e che perciò non sono suscettive di coltivazione” e “terreni
boschivi frangivento”. Ha, in tal modo, per questi terreni dichiarato
che gli stessi non potessero concorrere a formare la consistenza
complessiva e conseguentemente essere oggetto di scorporo.
Anche se non è possibile negare a tale pronuncia qualche valore
decisorio, la Corte non ritiene che l’assunto del tribunale sia di tal
natura e portata che se ne possa e debba tener conto come se si
trattasse di una vera e propria pronuncia non definitiva.
L’affermazione fatta dal tribunale non è sostenuta, nell’ordinanza, da
una argomentazione che ne metta in luce le premesse in fatto e le
ragioni in diritto. Trattasi comunque, di una valutazione di indubbia
importanza che ha bisogno d’essere approfondita e definita in ogni sua
parte ed al fine qui rilevante, e non soltanto per determinare in
concreto se tra i terreni non espropriabili rientrano le c.d.
“pialasse” ed i terreni boschivi frangivento, ma anche per accertarne
l’esatta estensione.
5. – È necessario precisare ulteriormente che le leggi di delega
in materia di riforma fondiaria, in tema di individuazione dei beni
terrieri soggetti ad esproprio, fissano elementi o criteri sicuramente
obiettivi. In base ad essi non possono essere espropriati i beni
terrieri compresi in determinati comuni, che siano in fatto sterili o
consistano in boschi. Ma al legislatore delegato, qualora a proposito
dei primi ricorra la possibilità della loro trasformazione in terreni
coltivabili e per i secondi si abbiano i requisiti di cui all’art. 5
della legge n. 841, è consentito di superare in concreto quei limiti.
In sede di controllo sulla legittimità costituzionale dei decreti
delegati, spetta alla Corte di accertare se degli anzidetti elementi o
criteri obiettivi si è tenuto conto e in caso di mancata osservanza
dei relativi limiti, di dichiarare l’illegittimtà del decreto di
scorporo per violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.
Nel caso in esame ricorrono, per quanto di ragione, i presupposti
perché si debba pervenire alla dichiarazione di illegittimità
costituzionale del decreto impugnato. Risulterebbe, infatti, che vaste
estensioni, catastalmente iscritte in testa agli espropriati, fossero,
sia al 15 novembre 1949 che all’epoca dello scorporo, prive in fatto
dell’attitudine a dare frutti o prodotti agricoli. E tale dato, di
sicura importanza e decisività, non sarebbe stato tenuto presente, con
la mancata osservanza ed anzi con il superamento del notato limite
obiettivo.
6. – Non rientra nella discrezionalità, politica e tecnica, del
legislatore delegato la possibilità di considerare dati terreni, in
atto sterili, suscettibili di trasformazione e successivamente di
sfruttamento agricolo.
Non è pensabile che il superamento del limite oggettivo negativo
(che i terreni non siano in atto sterili) sia sottratto ad ogni
controllo: altrimenti, il limite, che certamente ricorre, non sarebbe
più tale.
È inoltre da rilevare che il giudizio circa la trasformabilità
dei terreni sterili in terreni coltivabili, è ancorato alla ricorrenza
di dati pratici o tecnici obiettivi, e cioè che si possa considerare
trasformabile un dato terreno solo se lo stesso, in atto non
utilizzabile per la lavorazione e produzione agricola, sia
concretamente adatto a diventarlo a mezzo di opere il cui costo secondo
una valutazione media risulti finanziariamente sopportabile, e si
presenti in termini di economicità (ponendosi a raffronto, sul piano
della produttività, il capitale prevedibilmente occorrente per il
compimento delle opere di trasformazione, ed il nuovo valore della
terra così trasformata).
Se si considera la trasformabilità in senso economico-sociale,
d’altra parte, è dato parimenti di constatare l’esistenza di limiti
alla relativa valutazione ed al conseguente assoggettamento di dati
terreni all’espropriazione. Alla attuazione delle norme sociali
contenute nella Costituzione, i destinatari debbono attendere nel
rispetto dei metodi, delle forme e dei modi generalmente o
specificamente richiesti. Ed in particolare il legislatore delegato,
ove ritenga di dover fare prevalere quelle esigenze, non può, per
superare il rilevato limite oggettivo negativo, dar vita a
determinazioni che non rispondano alle note della non arbitrarietà e
della ragionevolezza.
7. – Nella specie, determinate zone sarebbero state considerate
trasformabili in terreni suscettivi di coltivazione. L’anzidetto
limite negativo, dato dalla sterilità a fini agricoli di quelle
estensioni, sarebbe stato superato e senza che ci fossero i presupposti
per ammetterne la trasformabilità in senso economico-produttivo e
comunque senza l’osservanza delle dette garanzie indispensabili per
valutare positivamente la trasformabilità (delle stesse estensioni di
beni terrieri) in senso economico-sociale.
Da ciò consegue che, in quanto siano state comprese nella
consistenza zone di immodificabile sterilità e siano stati superati,
sotto i periodi indicati, i limiti della delega, il decreto de quo è
viziato e quindi è illegittimo dal punto di vista costituzionale.
Per i terreni boschivi frangivento, fin qui non considerati
espressamente, risulterebbe la mancata osservanza dell’art. 5 della
legge n. 841. Da tali disposizioni, integrative di quelle contenute nel
precedente articolo e relative all’espropriabilità dei terreni, si
ricava che per la possibilità di scorporo dei boschi, si presuppone
che gli stessi si trovino in pianura o in lieve pendio, siano
suscettibili di trasformazione agraria e siano esenti dal vincolo
idrogeologico.
Orbene, tali condizioni debbono ricorrere per i terreni boschivi
frangivento, cioè per quelle zone di terreno su cui insistono alberi
di alto fusto con funzione di frangivento.
Ne deriva che in ordine a detti terreni, in quanto si tratti di
boschi e in quanto vi facciano difetto le suddette condizioni, il
decreto d’espropriazione è viziato. Perciò anche di esso si deve
dichiarare la illegittimità costituzionale.
La mancanza di un accertamento giudiziale definitivo comporta per
altro che la pronuncia di incostituzionalità del decreto sia operativa
in quanto si pervenga, nella dovuta sede, a quell’accertamento, con la
concreta determinazione dei beni da ritenere illegittimamente
espropriati e della loro estensione.
8. – Per il caso in cui si dovesse ritenere sulla base dei criteri
sopra precisati che per determinate zone di immodificabile sterilità
fosse esistita la possibilità di trasformarle e ridurle in condizioni
di sfruttamento agricolo, rimarrebbe evidente e rilevante un altro
aspetto della dedotta illegittimità costituzionale del decreto. In
particolare ciò potrebbe aversi per le zone, aventi le stesse
caratteristiche di quelle, dell’estensione di ettari 1.521.34.50,
iscritte in catasto alla partita n. 1912 della sezione S. Alberto.
Il legislatore delegato, infatti, in ordine alle zone da ultimo
indicate, ha esattamente riconosciuto che i relativi terreni si
trovassero nella condizione fisico-agronomica degli incolti produttivi
e ne ha esattamente operato la detrazione ai fini del calcolo del
reddito medio, ma potrebbe aver operato una ingiustificata
discriminazione almeno in ordine ai terreni, in destra del Canale
Candiano di Porto Corsini, della estensione di ettari 482,
catastalmente registrati come pascoli parificati e che sarebbero in
fatto da considerare incolti produttivi e quindi da escludere, in forza
di quanto precedentemente detto, dalla consistenza complessiva e
comunque da detrarre da detta consistenza ai fini della determinazione
del reddito medio.
9. – È infondata, invece, la questione come sopra sollevata sotto
il terzo profilo.
Il tribunale di Bologna ritiene che l’art. 20 della legge n. 841,
pur dichiarando inefficaci di diritto nei confronti degli Enti per la
riforma fondiaria le vendite posteriori al 1 gennaio 1948, tuttavia
statuisce che l’indennità di esproprio venga corrisposta
all’acquirente, salvo a questo di agire verso il venditore per il
recupero dell’eventuale differenza tra l’indennità ed il prezzo di
acquisto versato; e che nella specie, non essendo stata determinata
l’indennità spettante alla Società per azioni Bonifica di Porto
Corsini per la parte di beni acquistati dai Baldi, sotto la data dell’8
novembre 1950, con atto in notar Gallerani, non sia stata osservata la
legge delega e siano stati, di conseguenza, violati gli artt. 76 e 77
della Costituzione.
La Corte è dell’avviso che l’art. 20 della legge n. 841 debba
essere interpretata, sul punto che qui interessa, nel senso che nei
confronti degli enti incaricati dell’attuazione della legge medesima,
sono inefficaci di diritto gli atti di vendita a società, posteriori
al 1 gennaio 1948; che “i terreni che formano oggetto dell’atto
inefficace di diritto sono considerati come pertinenti al patrimonio
dell’alienato sia per la determinazione del patrimonio soggetto a
scorporo, sia per l’applicazione dello scorporo stesso”, e che
conseguentemente il decreto è emesso legittimamente nei confronti
dell’originario proprietario (alla data del 15 novembre 19491.
Dallo stesso articolo unitamente al precedente art. 18 si evince
che l’indennità di espropriazione è determinata nei confronti
dell’espropriato e viene corrisposta allo stesso o, qualora si
riferisca a beni alienati, anche se con atti inefficaci,
all’acquirente.
Il sistema è armonico e trova riscontro anche nella espropriazione
per pubblico interesse: i diritti dei terzi, infatti, sono trasferiti
ad ogni effetto sull’indennità di espropriazione (art. 9, comma primo,
della legge n. 230).
Appare perciò non meritevole di essere seguita l’interpretazione
parzialmente diversa, assunta dal tribunale a sostegno della sollevata
questione.
Non si ha quindi, nel fatto che col decreto de quo non siano state
determinate le indennità spettanti alla società per azioni Bonifica
di Porto Corsini e correlativamente a Luigi Baldi, alcuna inosservanza
delle leggi di delega, né violazione degli artt. 76 e 77 della
Costituzione.
E neppure, con l’accoglimento della sopra esposta interpretazione,
la Corte è tenuta, come vorrebbe la società Bonifica di Porto
Corsini, a esaminare la questione di legittimità costituzionale del
citato art. 20 (e dell’art. 1, ultimo comma, del D.P.R.7 febbraio 1951,
n. 69) in riferimento all’art. 42, comma secondo, della Costituzione,
perché già lo stesso tribunale di Bologna ne ha dichiarato la
manifesta infondatezza.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale del D.P.R.27 dicembre
1952, n. 3790, in quanto risulti che, per la formazione del piano di
espropriazione contro Luigi e Giuseppe Baldi di Antonio, sono state
comprese nella consistenza zone di immodificabile sterilità, non
suscettive di trasformazione fondiaria o agraria, e non sono state
detratte, ai fini del calcolo del reddito medio, tutte le zone che
fossero in fatto incolti produttivi.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – ANGELO DE
MARCO – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.