Sentenza N. 7292 del 2000
Corte di Cassazione - Sezione Penale VI
Data deposito/pubblicazione
20/06/2000
Data dell'udienza in cui è stato assunto
02/05/2000
Il reato di sottrazione consensuale di minorenni non è realizzato qualora l’agente si sia limitato a dare ospitalità al minore, in luogo noto e accessibile al genitore, senza impedire od ostacolare in alcun modo l’esercizio delle facoltà e l’adempimento dei doveri che a costui competono.
Corte di Cassazione
Sezione VI penale
2 maggio 2000
Sentenza n. 7292
Con sentenza in data 2.11.1999 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna di Ga. An. per i reati di cui agli artt. 12 sexies L. n. 898/70, 570 c. 2 e 573 c.p., riducendo alla misura di quattro mesi di reclusione la pena inflitta in primo grado. Era stato ascritto al Ga. di non aver corrisposto alla moglie Pe. Ma. l’assegno mensile posto a suo carico con la sentenza che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai tre figli minorenni, di aver sottratto la figlia Mi., di anni quattordici, alla Pe. cui era stata affidata.
Ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore.
Deduce difetto e manifesta illogicità della motivazione, per essere basata la condanna sulle sole dichiarazioni della querelante e per essere stata ritenuta la sua capacità economica sulla mera base della titolarità di una patente abilitante alla guida di mezzi pesanti; mancata assunzione di prova decisiva per non essere stata disposta la rinnovazione del dibattimento da lui richiesta per sentire la figlia; erronea applicazione dell’art. 573 c.p., risultando che la figlia aveva scelto liberamente di stabilirsi presso la dimora paterna.
Sono infondati i motivi di ricorso relativi ai reati di cui all’art. 12 sex. l.cit. e 570 c. 2 c.p.. L’imputato aveva dedotto sul punto difese logicamente incompatibili tra loro, sostenendo da una parte di aver adempiuto ai propri obblighi verso i figli e allegando dall’altra l’impossibilità dell’inadempimento per incapacità economica. La sentenza impugnata fornisce comunque adeguata motivazione delle ragioni per le quali entrambi gli assunti sono stati disattesi, richiamando, da parte, la deposizione testimoniale della moglie dell’imputato, cui i minori erano affidati, e l’assolto difetto di qualsiasi elemento (documentale o di altro genere) che confortasse le generiche allegazioni dell’imputato in contrario; e dall’altra il fatto che l’imputato, secondo le sue stesse dichiarazioni, aveva lavorato sia pure saltuariamente come conducente di mezzi pesanti e avrebbe potuto quindi adempiere ai propri obblighi, tenuto conto del ridottissimo imposto (L. 150.000 mensili) dell’assegno posto a suo carico, laddove era rimasto invece totalmente inadempiente.
È invece fondato il motivo di ricorso relativo alla configurabilità del rato di cui all’art. 573 c.p..
Non rileva ovviamente il fatto che la minore Ga. Mi., all’epoca quattordicenne, avesse scelto spontaneamente di lasciare l’abitazione della madre e di stabilirsi presso il padre, poiché proprio il consenso del minore è elemento essenziale del reato di cui all’art. 573 c.p. e differenziale di tale reato da altre fattispecie punite con le pene più gravi. Si è altresì ritenuto che il reato possa essere commesso anche da un genitore in danno dell’altro, poiché l’esercizio della potestà spetta a ciascuno di essi anche disgiuntamente.
Il comportamento tipico della fattispecie delittuosa può consistere sia nella sottrazione del minore consenziente, sia nella ritenzione di esso contro il volere dell’esercente (o, come nel caso, dell’altro esercente) della potestà parentale. Ciò posto, la terminologia usata dal legislatore fa ritenere che non integri estremi di reato il comportamento che in qualsiasi modo interferisca con l’esercizio della potestà; ma soltanto quello che risulti incompatibile con esso, spogliandone anche solo temporaneamente il titolare, così come avviene ad esempio nel caso in cui il minore venga trasferito in un luogo lontano ovvero ignoto al titolare della potestà parentale. Ciò non avviene, invece, quando l’agente si sia limitato a dare ospitalità al minore, in luogo noto ed accessibile al genitore, senza contemporaneamente porre in essere alcun impedimento all’esercizio delle facoltà e all’adempimento dei doveri che a costui competono e senza ostacolarli in alcun modo. Si può porre, in una situazione del genere, la questione della configurabilità del diverso reato previsto dal secondo comma dell’art. 388 c.p., in presenza di provvedimenti giudiziali relativi all’affidamento del minore; ma anche in tale ipotesi non si può prescindere dalla necessaria valutazione della rilevanza di un comportamento meramente omissivo, la dove la legge o il tenore del provvedimento non prevedano un preciso e specifico obbligo di fare, dovendosi escludere la configurabilità del reato quando non risulti che l’agente abbia posto in essere comportamenti incompatibili con l’esecuzione del provvedimento o sia venuto meno a un preciso dovere di collaborazione impostogli dalla legge o dal provvedimento. Nel caso in esame i giudici di merito hanno ravvisato il reato nel mero fatto dell’ospitalità data dall’imputato alla figlia, in assenza di provvedimenti modificativi del regime dell’affidamento, senza accertare se tale condotta abbia rappresentato in concreto un fatto incompatibile con l’esercizio della potestà parentale da parte della querelante ed abbia avuto l’effetto di impedirlo, col rendere impossibile alla Pe. i contatti con la minore.
La sentenza va quindi annullata, con rinvio al giudice competente per nuovo esame sul punto.
P.Q.M.
la Corte annulla l’imputata sentenza limitatamente al reato di cui all’art. 573 c.p. e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Napoli.
Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, nella udienza, il 2 maggio 2000.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2000