Ordinanza N. 158 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
10/05/1999
Data deposito/pubblicazione
10/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
29/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i
giudizi innanzi alla Corte dei conti), promossi con cinque ordinanze
emesse l’8 ottobre 1997, il 17 aprile, il 6 marzo e, quanto a due di
esse, il 3 aprile 1998, dalla Corte dei conti, Sezione
giurisdizionale per la Regione Siciliana, rispettivamente iscritte ai
nn. 367, 528, 656, 732 e 854 del registro ordinanze 1998 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22, 29, 39, 41 e 48,
prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
relatore Massimo Vari.
Ritenuto che la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per
la Regione siciliana, giudicando in sede di rinvio da parte delle
Sezioni centrali di appello, ha sollevato – con più ordinanze, di
analogo contenuto, emesse in data 8 ottobre 1997 (r.o. n. 367 del
1998), 6 marzo 1998 (r.o. n. 656 del 1998), 3 aprile 1998 (r.o. nn.
732 ed 854 del 1998) e 17 aprile 1998 (r.o. n. 528 del 1998) –
questione di legittimità costituzionale dell’art. 105 del regio
decreto 15 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i
giudizi innanzi alla Corte dei conti);
che, secondo talune delle ordinanze (r.o. nn. 367, 528, 656 e 732
del 1998), il predetto art. 105, giusta l’interpretazione accolta dal
c.d. “diritto vivente” – nel senso che la pronunzia del giudice di
appello può essere limitata alle questioni pregiudiziali oppure
investire in tutto o in parte il merito, a prescindere dall’esistenza
di una questione pregiudiziale – si porrebbe in contrasto con l’art.
101, secondo comma, della Costituzione, che garantisce la libertà e
l’indipendenza del giudice vincolando la sua attività soltanto alla
legge, in quanto la disposizione denunciata, nella interpretazione di
cui sopra, consentendo al giudice d’appello di trattare anche solo
una parte del merito e, quindi, di rinviare gli atti al giudice di
primo grado per la definizione del giudizio, determinerebbe un
assoggettamento di quest’ultimo alle statuizioni del primo tanto
marcato da limitare la formazione ed espressione del suo libero
convincimento per la definizione della causa;
che, secondo l’ordinanza di cui al r.o. n. 732 del 1998, sarebbe
violato, altresì, il principio di ragionevolezza, poiché il
riconoscimento in capo al giudice di appello del potere di scegliere
discrezionalmente i casi in cui non definire la controversia
esporrebbe al rischio sia di un’infinita duplicazione del primo e del
secondo grado di giudizio, sia dell’esame della stessa controversia
più volte da parte di giudici dello stesso grado;
che, inoltre, l’ordinanza di cui al r.o. n. 854 del 1998 denuncia
la disposizione in parola, per contrasto con l’art. 101, secondo
comma, della Costituzione, sotto profili analoghi a quelli sopra
accennati, con specifico riferimento alla sua applicazione nel
contenzioso pensionistico, avuto riguardo alla costante
interpretazione delle Sezioni centrali di appello della Corte dei
conti, secondo la quale la cognizione delle Sezioni stesse sarebbe
limitata “al giudizio rescindente rimettendo la decisione nel merito
al giudice di primo grado”;
che l’ordinanza di cui al r.o. n. 656 del 1998 denuncia,
altresì, in via subordinata, l’art. 14 del medesimo regio decreto n.
1038 del 1933, e cioè la disposizione che disciplina il c.d. “potere
sindacatorio” del collegio giudicante, assumendo che tale
disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione, nella parte in cui comporterebbe, secondo la
consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, l’attribuzione al
giudice di una potestà di ricerca autonoma e piena delle fonti
materiali di prova, e non solo di integrazione degli elementi offerti
dall’attore (e cioè dal procuratore regionale);
che, a tal proposito, il rimettente – nel far presente che, nel
caso al suo esame, la Sezione centrale di appello ha annullato la
sentenza di primo grado, avendo rilevato “l’assenza di soddisfacenti
elementi di prova dei fatti a fondamento della domanda” e
“condizionando la definizione del giudizio all’esperimento dei dovuti
accertamenti istruttori” – sostiene che la sopra menzionata
giurisprudenza, superando il diverso orientamento espresso in
passato, ha attribuito alla c.d. sindacatorietà portata tale da
consentire al giudice di determinare autonomamente l’oggetto del
giudizio, individuare i soggetti responsabili ed acquisire gli
elementi di prova a sostegno della domanda;
che, ad avviso del giudice a quo, tale interpretazione
consolidata darebbe luogo ad una rilevante modifica della realtà
processuale, in contrasto con il principio di imparzialità ed
indipendenza del giudice, oltre che con il principio di tutela delle
parti, con violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche a
causa dell’ingiustificata posizione di privilegio processuale
riconosciuta al P.M., tale da esonerarlo dall’onere di provare la
domanda;
che nei giudizi di cui al r.o. nn. 367, 528, 656 e 732 del 1998
è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha
concluso per l’infondatezza delle questioni.
Considerato che i giudizi, attenendo a questioni analoghe o
connesse, possono essere riuniti per essere decisi con un’unica
pronunzia;
che la questione concernente l’art. 105 del regio decreto 15
agosto 1933, n. 1038, è da reputare manifestamente inammissibile, in
quanto detta disposizione – nel prevedere che il giudice di appello
possa limitarsi a conoscere delle questioni pregiudiziali ovvero
estendere al merito il suo giudizio, quando su quest’ultimo si sia
pronunziata la sentenza di primo grado – definisce, come è evidente,
l’ambito di cognizione affidato al medesimo giudice, trovando,
perciò, in detta sede la sua applicazione;
che, per contro, come questa Corte ha già affermato, per potersi
ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della questione
proposta, è necessario che la norma impugnata sia applicabile nel
giudizio a quo, e non, come nella specie, in una fase processuale
precedente;
che, a riprova di ciò, sta la circostanza che la decisione
assunta in quest’ultima fase non sarebbe certamente resa inefficace
da una eventuale pronunzia di incostituzionalità riguardante, nei
termini sollecitati dai rimettenti, il predetto art. 105;
che, a ritenere il contrario, si consentirebbe al giudice a quo
di avvalersi del giudizio di costituzionalità quale strumento per
pervenire alla caducazione di una decisione cui non intende
adeguarsi, utilizzando, in definitiva, il sindacato incidentale come
un surrettizio mezzo di impugnazione (da ultimo, sentenza n. 375 del
1996);
che, del pari, manifestamente inammissibile va considerata la
questione di costituzionalità dell’art. 14 del regio decreto n.
1038 del 1933, per difetto di motivazione in punto di rilevanza, non
avendo il rimettente chiarito quale sia, nella fattispecie, l’ipotesi
applicativa di tale disposizione, tra quelle reputate contra
Constitutionem alla quale egli è necessariamente tenuto a far
ricorso; e ciò tanto più che l’esigenza di una interpretazione
esorbitante, tale, cioè, da postulare un esercizio di poteri
istruttori con l’ampiezza di modalità censurate dall’ordinanza di
rimessione, non sembra in alcun modo imposta dalla sentenza di
rinvio, al di là, come emerge anche dall’ordinanza stessa, di una
generica prospettazione della necessità dell’esperimento dei dovuti
accertamenti istruttori.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi, dichiara:
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 105 del regio decreto 15 agosto 1933, n.
1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei
conti), sollevata dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti
per la Regione siciliana, in riferimento all’art. 101, secondo comma,
della Costituzione, con le ordinanze di cui al r.o. nn. 367, 528,
656, 732 e 854 del 1998 ed, altresì, al principio di ragionevolezza
con l’ordinanza di cui al r.o. n. 732 del 1998;
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14 del medesimo regio decreto, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla stessa
Sezione, con l’ordinanza di cui al r.o. n. 656 del 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vari
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola