Ordinanza N. 176 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
18/05/1999
Data deposito/pubblicazione
18/05/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/05/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,
prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo
MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 maggio 1998
dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Venezia, iscritta al n. 533 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie
speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 aprile 1999 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di Venezia, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di
archiviazione di un procedimento penale relativo ad un esposto
presentato “per una muretta pericolante antistante gli anagrafici
2303 e 2304 di Venezia/Castello”, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 112 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 409 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevede che il giudice per le indagini preliminari possa ordinare al
pubblico ministero di iscrivere nel registro delle notizie di reato
il nome della persona che sia da considerare indiziata;
che il rimettente, dopo aver riferito di aver già fissato la
camera di consiglio con la partecipazione della persona offesa ma non
della persona sottoposta alle indagini, “in quanto non rientra nei
poteri del GIP né ordinare al Pubblico Ministero di iscrivere il
nome di una persona nel registro delle notizie di reato né tanto
meno citarla direttamente quale indagata attribuendole una qualifica
che formalmente non riveste”, ha rilevato che la denunciata carenza
normativa si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza e
con quello di obbligatorietà della azione penale;
che, quanto al primo profilo, il giudice a quo ritiene si
determini disparità di trattamento: a) tra il soggetto cui sia
attribuibile il reato nel procedimento contro ignoti, rispetto al
soggetto cui sia parimenti attribuibile il reato, ma del quale il
pubblico ministero non voglia inscriverne il nome nel registro di cui
all’art. 335 cod. proc. pen; b) tra coloro che si trovano in una
identica situazione, “a seconda che la loro posizione venga esaminata
da un Pubblico Ministero anziché da un altro”; disparità, queste,
ancor più evidenti nella ipotesi in cui il giudice non ritenga di
disporre l’archiviazione, giacché mentre nel primo caso può essere
fissata la camera di consiglio, nel secondo si verifica una “impasse
procedurale a tutto vantaggio dell’indiziato”;
che violato sarebbe anche l’art. 112 della Costituzione, in
quanto “nei casi in esame, col suo comportamento, il Pubblico
Ministero ad libitum vanifica totalmente il potere-dovere di
controllo del giudice per le indagini preliminari”;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che, sotto l’apparenza di una questione di legittimità
costituzionale, il giudice a quo in realtà si limita a prospettare
una problematica di mero fatto, frutto di un contrasto tra uffici e
tale da generare una patologica stasi del procedimento, la cui causa
generatrice non ha nulla a che vedere con la supposta carenza di un
quadro normativo che, al contrario, si presenta adeguato ed
esauriente;
che, infatti, non può in alcun modo revocarsi in dubbio la
circostanza che, a prescindere dal “tipo” di archiviazione richiesta
dal pubblico ministero, spetti in ogni caso al giudice il potere ove
nel procedimento non figurino persone formalmente sottoposte alle
indagini di disporre, nella ipotesi in cui non ritenga di poter
accogliere la richiesta di archiviazione, l’iscrizione nel registro
di cui all’art. 335 cod. proc. pen. del nominativo del soggetto cui
il reato sia a quel momento da attribuire;
che la questione proposta deve pertanto essere dichiarata
manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 409 del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dal
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia
con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 18 maggio 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola