Ordinanza N. 216 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
23/05/2002
Data deposito/pubblicazione
23/05/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
20/05/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY,
Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA,
Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria
FLICK, Francesco AMIRANTE;
da 1 a 11, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517
(Disciplina dei rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed
università, a norma dell’articolo 6 della l. 30 novembre 1998,
n. 419), promossi con n. 22 ordinanze emesse il 5 luglio 2000 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III,
rispettivamente iscritte ai nn. 592, da 717 a 725 e da 741 a 752 del
registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 33, 38 e 39, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di S.A. ed altri, di A. A. ed
altro, G. L. ed altri, di M. R. ed altro, F. F. ed altro e della
Regione Toscana nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio,
sezione III, con ventidue ordinanze del 5 luglio 2000 (pervenute alla
Corte il 21 giugno, il 20 ed il 24 agosto del 2001), nel corso di
giudizi promossi da docenti universitari delle facoltà di medicina e
chirurgia (infra: medici universitari), solleva questione di
legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni del decreto
legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (Disciplina dei rapporti fra
Servizio sanitario nazionale ed università, a norma dell’articolo 6
della l. 30 novembre 1998, n. 419): art. 5, comma 8, in riferimento
agli artt. 3 e 97 della Costituzione; art. 5, comma 7, in riferimento
agli artt. 33 e 76 della Costituzione; art. 5, commi da 1 a 6 e da 8
a 11, nonché art. 3 quest’ultimo nella parte in cui non prevede una
partecipazione diretta degli organi universitari nelle scelte delle
aziende ospedaliero-universitarie in materia di collegamento tra le
attività di assistenza, didattica e ricerca in riferimento agli
artt. 33 e 76 della Costituzione;
che le ordinanze, con argomentazioni sostanzialmente
identiche, censurano l’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999,
il quale stabilisce un termine perentorio entro il quale i medici
universitari esercitano o rinnovano l’opzione prevista dal comma 7
per l’esercizio di attività assistenziale intramuraria (c.d.
attività assistenziale esclusiva), ovvero di attività
libero-professionale extramuraria, disponendo che, in mancanza di
comunicazione, si intende effettuata l’opzione per l’attività
assistenziale esclusiva;
che, ad avviso dei rimettenti, la norma, fissando il
succitato termine indipendentemente dalla individuazione delle
strutture destinate allo svolgimento dell’attività assistenziale
intramuraria, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della
Costituzione, in quanto la loro preventiva identificazione
configurerebbe un presupposto dell’opzione e, proprio per questo, la
disposizione inciderebbe negativamente sulla compenetrazione tra
attività assistenziale ed attività didattico-scientifica, in
violazione dei principi di coerenza e ragionevolezza
dell’ordinamento, nonché di buon andamento dell’amministrazione;
che, secondo il Tribunale amministrativo regionale, l’art. 5,
comma 7, del d.lgs. n. 517 del 1999 e le disposizioni ad esso sottese
e connesse – ossia i commi da 1 a 6 e da 8 ad 11 – nonché l’art. 3,
nella parte riguardante l’organizzazione interna delle aziende
ospedaliero-universitarie, violerebbe gli artt. 33 e 76 della
Costituzione;
che, in particolare, la configurazione dell’opzione per
l’attività assistenziale esclusiva quale requisito per
l’attribuzione degli incarichi di direzione dei programmi di cui al
comma 4 della norma impugnata pregiudicherebbe la compenetrazione tra
attività sanitaria assistenziale ed attività didattica e di ricerca
scientifica, assoggettando l’attività assistenziale svolta dal
medico universitario alle determinazioni organizzative del direttore
generale dell’azienda ospedaliero-universitaria, in violazione del
principio dell’autonomia universitaria;
che, ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, agli
organi dell’università sarebbero stati attribuiti compiti marginali
nel coordinamento degli interessi concernenti l’insegnamento e la
ricerca scientifica, tenuto conto sia dei poteri attribuiti al
direttore del dipartimento, sia della circostanza che questi risponde
della programmazione e della gestione delle risorse al direttore
generale e sarebbe tenuto a privilegiare le esigenze dell’attività
assistenziale rispetto a quelle dell’attività didattica e
scientifica, così da non garantire lo svolgimento delle attività
assistenziali “funzionali alle esigenze della didattica e della
ricerca” in violazione dell’art. 6, comma 1, lettera b) della legge
30 novembre 1998, n. 419;
che, secondo i giudici a quibus “la normativa delegata in
materia di opzione” (ossia l’art. 5, commi da 1 a 6 e da 8 a 11,
nonché l’art. 3 del d.lgs. n. 517 del 1999 “in parte qua”)
violerebbe gli artt. 33 e 76 della Costituzione, dal momento che il
divieto di attribuire al medico universitario, il quale non abbia
scelto l’attività assistenziale esclusiva, la direzione delle
strutture e dei programmi finalizzati alla integrazione di queste
attività non garantirebbe “la coerenza fra l’attività assistenziale
e le esigenze della formazione e della ricerca” (art. 6, comma 1,
lettere b e c della legge n. 419 del 1998), modificando lo stato
giuridico del personale universitario, in violazione dei principi e
dei criteri direttivi della legge-delega;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti
i giudizi fatta eccezione per quello instaurato con l’ordinanza
iscritta al n. 750 del registro ordinanze del 2001 con separati atti
di contenuto sostanzialmente coincidente, chiedendo che le questioni
siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;
che, ad avviso della difesa erariale, il d.lgs. 28 luglio
2000, n. 254, attribuendo ai medici universitari la facoltà di
esercitare l’attività libero-professionale intramuraria in regime
ambulatoriale presso i propri studi, neicasi di carenza di strutture
e di spazi idonei all’interno delle aziende
ospedaliero-universitarie, inciderebbe sulla fondatezza delle censure
riferite all’art. 5, comma 8, del d.lgs. n. 517 del 1999;
che, secondo l’interveniente, detta norma, fissando un
termine perentorio per l’esercizio dell’opzione in esame, non sarebbe
legata da alcun nesso con il comma 7, e, comunque, i medici
universitari, allorquando effettuano la scelta, sono consapevoli
degli effetti che ne derivano;
che, ad avviso dell’Avvocatura, le censure riferite
all’art. 5, comma 7, cit., ed alle disposizioni ad esso sottese,
sarebbero infondate, in quanto gli incarichi di direzione dei
programmi del comma 4 sono stati ragionevolmente riservati ai medici
universitari i quali, scegliendo il rapporto esclusivo, assicurano
piena disponibilità per la loro realizzazione, ed inoltre le norme
censurate non violerebbero il principio di compenetrazione tra
attività assistenziale ed attività didattica e di ricerca, poiché
i medici universitari che scelgono il rapporto non esclusivo
continuano a svolgere l’attività di ricerca e didattica strumentale
rispetto a quella assistenziale;
che, secondo la difesa erariale, le censure riferite
all’art. 76 della Costituzione sarebbero infondate, dato che la
legge-delega ha inteso rafforzare la collaborazione tra università e
Servizio sanitario nazionale;
che nei giudizi instaurati con le ordinanze di rimessione
iscritte ai numeri 592, 722, 724, 749 e 752 del registro ordinanze
dell’anno 2001, si sono costituiti i ricorrenti nei processi
principali, facendo sostanzialmente proprie le conclusioni del
Tribunale amministrativo regionale, nonché deducendo, con alcuni
atti, il contrasto delle norme impugnate con parametri costituzionali
ulteriori rispetto a quelli indicati dalle ordinanze di rimessione;
che nel giudizio promosso dall’ordinanza iscritta al numero
718 del registro ordinanze dell’anno 2001 si è altresì costituita
la Regione Toscana parte nel processo a quo chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.
Considerato che l’identità delle norme impugnate, delle censure
proposte e dei parametri costituzionali invocati, nonché la
coincidenza delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione
rendono opportuna la riunione dei giudizi;
che, nel decidere identiche questioni sollevate dallo stesso
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, questa Corte, con
ordinanza n. 394 del 2001, ha affermato che gli atti legislativi e
regolamentari, nonché la sentenza n. 71 del 2001, sopravvenuti alle
ordinanze di rimessione, hanno influito sul complessivo quadro
normativo di riferimento nel quale si inscrivono i molteplici profili
delle questioni di legittimità costituzionale, richiedendo,
conseguentemente, un nuovo esame da parte dei giudici a quibus dei
termini delle questioni e della loro perdurante rilevanza;
che le argomentazioni svolte in detta ordinanza conservano
validità anche in relazione ai provvedimenti di rimessione oggetto
del presente giudizio;
che, alla luce delle modificazioni sopra indicate, gli atti
devono essere restituiti ai rimettenti, affinché procedano ad un
nuovo esame della perdurante rilevanza delle questioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, sezione III.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Capotosti
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2002.
Il direttore della cancelleria: Di Paola