Ordinanza N. 224 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
19/06/1998
Data deposito/pubblicazione
19/06/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/06/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Annibale MARINI;
comma del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 1 luglio
1997 dal magistrato di sorveglianza di Sassari nel procedimento
penale a carico di M. G., iscritta al n. 673 del registro ordinanze
1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42,
prima serie speciale, dell’anno 1997;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1998 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che il magistrato di sorveglianza di Sassari, nell’ambito
di un procedimento instaurato, ex art. 212, primo comma, del codice
penale, per la sospensione della misura di sicurezza della libertà
vigilata, cui era sottoposto un soggetto che, in pendenza della
misura, era stato tratto in arresto per detenzione di sostanze
stupefacenti, ha sollevato questione di legittimità costituzionale
di tale norma, nella parte in cui non prevede la sospensione della
misura di sicurezza – nella specie, la libertà vigilata – nei
confronti della persona sottoposta a custodia cautelare in carcere;
Che, ad avviso del giudice rimettente, la norma denunciata
contrasterebbe:
con l’art. 3 (indicato solo in motivazione come secondo comma)
della Costituzione, a causa della disparità di trattamento tra il
detenuto in espiazione di pena, nei cui confronti la misura di
sicurezza rimane sospesa durante l’esecuzione della pena stessa, e il
soggetto sottoposto alla custodia cautelare in carcere, nei cui
confronti non è disposta analoga sospensione della misura di
sicurezza: tale soggetto, privato della libertà senza essere però
ammesso ai trattamenti rieducativi penitenziari, risulterebbe infatti
irragionevolmente destinatario di un regime di sfavore, essendo in
concreto privato della possibilità di dimostrare, mediante il
reinserimento nella società libera, il venir meno della
pericolosità sociale, con l’abnorme conseguenza della “automatica
sottoposizione ad un ulteriore periodo di misura di sicurezza”,
ovvero di una declaratoria non motivata di cessazione della
pericolosità;
con l’art. 27 della Costituzione (indicato solo in motivazione
come terzo comma), in forza del quale il sistema dell’esecuzione
penale, ivi compreso il regime delle misure di sicurezza, essendo
orientato alla rieducazione del condannato, deve consentirgli la
possibilità di dimostrare in concreto il suo reinserimento sociale;
possibilità che è invece preclusa se la persona sottoposta a misura
di sicurezza trascorre parte del periodo di esecuzione della misura
in stato di custodia cautelare;
con gli artt. 25 e 101 della Costituzione (indicati solo in
motivazione, rispettivamente, come terzo e secondo comma), in quanto
la sottoposizione ad un ulteriore periodo di libertà vigilata, che
verrebbe verosimilmente disposta nei confronti di chi ha trascorso in
stato di custodia cautelare gran parte del periodo che avrebbe dovuto
trascorrere in libertà vigilata, “interverrebbe solo mediatamente in
forza di legge”, ma sarebbe in effetti determinata dal fatto di un
terzo, cioè dell’autorità giudiziaria che ha emesso l’ordinanza di
custodia cautelare;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata.
Considerato che il rimettente, muovendo dal presupposto
interpretativo che l’art. 212, primo comma, cod. pen. dispone la
sospensione di qualsiasi misura di sicurezza, detentiva e non
detentiva, quando nel corso dell’esecuzione della misura stessa debba
essere scontata una pena detentiva, ritiene che la norma censurata
non consenta di disporre la sospensione della misura di sicurezza –
nella specie, la libertà vigilata – nei confronti di chi è
sottoposto a custodia cautelare;
che questa Corte è pertanto chiamata a prendere esclusivamente
in esame la situazione di chi, nel corso dell’esecuzione della misura
di sicurezza non detentiva della libertà vigilata, venga sottoposto
a custodia cautelare in carcere;
che il presupposto interpretativo su cui si basa il rimettente è
palesemente erroneo, in quanto tra la misura di sicurezza della
libertà vigilata e la privazione della libertà – sia essa derivante
dall’esecuzione di pena detentiva o dall’applicazione della custodia
cautelare in carcere – sussiste una incompatibilità assoluta, che
rende impossibile, naturalisticamente ancora prima che
giuridicamente, applicare tale misura (e le altre misure di sicurezza
personali non detentive, quali il divieto di soggiorno in uno o più
comuni o in una o più provincie o il divieto di frequentare osterie
o spacci di bevande alcoliche) a chi si trova ristretto in uno
stabilimento penitenziario;
che, in particolare, non potrebbero trovare attuazione i
contenuti tipici della libertà vigilata descritti dall’art. 228 cod.
pen., tra i quali la sorveglianza dell’Autorità di pubblica
sicurezza, da esercitarsi in modo da favorire, mediante il lavoro, il
riadattamento alla vita sociale, nonché l’imposizione di
prescrizioni idonee ad evitare la commissione di nuovi reati;
che l’impossibilità di dare esecuzione alle misure di sicurezza
personali non detentive quando sopravviene un titolo – definitivo o
provvisorio – di privazione della libertà spiega perché il
legislatore abbia ritenuto superfluo prevedere espressamente la
sospensione dell’esecuzione di tali misure qualora sopravvenga lo
stato di custodia cautelare in carcere;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 212, primo comma, del codice penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, 27, 101, della
Costituzione, dal magistrato di sorveglianza di Sassari, con
l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.
Il cancelliere: Fruscella