Ordinanza N. 299 del 1994
Corte Costituzionale
Data generale
13/07/1994
Data deposito/pubblicazione
13/07/1994
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/07/1994
Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
Giudici: prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo
CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.
Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando
SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;
della legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia
di finanza pubblica), promossi con le seguenti ordinanze: 1) n. 10
ordinanze emesse il 24 giugno 1993 dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio sui ricorsi proposti da Bisesti Salvatore ed
altri contro il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni ed altro,
iscritte ai nn. da 762 a 771 del registro ordinanze 1993 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale,
dell’anno 1994; 2) ordinanza emessa il 31 marzo 1993 dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Izzo
Aniello ed altri contro l’Istituto Nazionale di Previdenza dei
Dirigenti di Aziende industriali, iscritta al n. 93 del registro
ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 12, prima serie speciale, dell’anno 1994;
Visto l’atto di costituzione di Izzo Aniello ed altri nonché gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 27 aprile 1994 il Giudice
relatore Francesco Guizzi.
Ritenuto che numerosi dipendenti del Ministero delle Poste e delle
Telecomunicazioni hanno chiesto, con dieci diversi ricorsi diretti al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, la declaratoria del
loro diritto a fruire del beneficio dell’anzianità convenzionale,
attribuito dall’art. 1 della legge 24 maggio 1970, n. 336 (Norme a
favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex
combattenti ed assimilati), agli ex combattenti (e categorie
equiparate), e il conseguente diritto al computo della detta
anzianità nella determinazione della retribuzione, ricostruita sulla
base di disposizioni di carattere generale, quali quelle contenute
negli accordi nazionali di lavoro;
che il divieto di applicazione per più di una volta dei
benefici combattentistici, stabilito dall’art. 3 della legge 9
ottobre 1971, n. 824 (Norme di attuazione, modificazione ed
integrazione della l. 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a
favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed
assimilati), circoscrivibile soltanto all’ipotesi di modificazione
della situazione di carriera, non ricorreva nella specie;
che, successivamente alla proposizione dei ricorsi, è entrata
in vigore la legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in
materia di finanza pubblica) la quale, all’art. 4, comma 5, ha
stabilito che non si dovrà procedere al computo delle maggiori
anzianità previste dalla legge n. 336 del 1970 in sede di successiva
ricostruzione economica prevista da disposizioni di carattere
generale e che di conseguenza si dovrà procedere al riassorbimento
degli eventuali migliori trattamenti già in godimento;
che il TAR del Lazio ha, siccome rilevante, sollevato questione
di costituzionalità della detta norma, in riferimento agli artt. 3 e
36 della Costituzione, in quanto il ricorso andrebbe accolto in
ossequio ad una concorde e consolidata giurisprudenza amministrativa,
se non vi ostasse il disposto dell’art. 4, comma 5, della legge n.
498 del 1992;
che in base alla cennata giurisprudenza l’anzianità di servizio
attribuita agli ex combattenti (e categorie equiparate) dalla legge
n. 336 del 1970 non differirebbe dall’anzianità derivante dal
servizio effettivamente prestato e spiegherebbe i suoi effetti anche
nel computo delle retribuzioni da rideterminare in forza di nuovi
accordi nazionali di lavoro;
che la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 36 della
Costituzione perché, non diversamente da quanto la Corte
costituzionale ha deciso con la sentenza n. 39 del 1993, essa ha
determinato una ingiustificata disparità di trattamento tra
dipendenti che si trovano nella stessa condizione di ex combattenti
(e categorie equiparate), essendosi attribuito ad alcuni e negato ad
altri il beneficio;
che nel nostro caso la denunciata disparità non potrebbe dirsi
sanata per effetto della disposizione che stabilisce il
riassorbimento dei migliori trattamenti in godimento da parte di
taluni, atteso che la situazione di eguaglianza potrebbe
ristabilirsi, non senza incertezze, per lo meno in un arco di tempo
ampio e consistente;
che con un ulteriore ricorso, esaminato da altra sezione dello
stesso Tribunale amministrativo regionale, alcuni dipendenti
dell’Istituto Nazionale di Previdenza dei dirigenti di aziende
industriali (I.N.P.D.A.I.) hanno fatto un’uguale richiesta e il
Tribunale ha, del pari, sollevato la questione di costituzionalità
dell’art. 4, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, con
riferimento, questa volta, non solo ai parametri costituzionali già
indicati nelle precedenti ordinanze di rimessione (artt. 3 e 36) ma
anche a quelli indicati dai ricorrenti e riferibili agli artt. 97 e
101 e ss. della Costituzione, in quanto la norma, oltre a creare
l’ingiustificata disparità di trattamento già evidenziata con le
precedenti ordinanze di rimessione, sottrarrebbe al giudice il
compito istituzionale di interpretare ed applicare la legge (artt.
24, 101, 104, 111 e 113 della Costituzione);
che la sostituzione del legislatore all’interprete (giudice)
attraverso l’emanazione di una disposizione dissimulata come
interpretativa ma, in realtà, abrogativa con efficacia retroattiva,
sarebbe viziata dalla illegittimità perché interferirebbe
nell’esercizio delle funzioni attribuite ad un altro potere
costituzionale (onde si potrebbe parlare di uno sviamento strumentale
della funzione legislativa);
che la norma impugnata, inoltre, violerebbe anche il principio
(peraltro, secondo il rimettente, non assoluto) in virtù del quale
la legge deve disporre solo per l’avvenire (art. 11 delle preleggi),
in tal modo frustrando l’affidamento di una vasta categoria di
cittadini nella certezza giuridica (sentt. n. 255 del 1990, 822 del
1988 e 349 del 1985);
che, in relazione a questo ultimo giudizio, si sono costituiti i
ricorrenti i quali hanno chiesto la declaratoria di illegittimità
costituzionale della norma impugnata;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per
mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per
l’inammissibilità o l’infondatezza della questione prospettata.
Considerato che le ordinanze sollevano un’unica questione e,
pertanto, vanno riunite;
che i primi due profili della stessa (natura falsamente
interpretativa, sostanzialmente innovativa, della norma impugnata;
ingiustificata disparità di trattamento dei destinatari della norma
in ragione del possibile parziale insuccesso del meccanismo di
riassorbimento dei maggiori trattamenti già in godimento) sono stati
esaminati dalla Corte nell’udienza pubblica del 22 febbraio 1994 e
decisi con la sentenza n. 153 del 1994;
che il restante profilo già prospettato negli stessi termini
dalla parte privata costituitasi nel giudizio a quo, e davanti alla
Corte, è stato considerato e respinto in quella occasione (come da
sentenza n. 153 del 1994);
che, pertanto, difettano veri nuovi profili;
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi; dichiara la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 5, della
legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di
finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36, 97 e
101 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, 4 luglio 1994.
Il Presidente: CASAVOLA
Il redattore: GUIZZI
Il cancelliere: DI PAOLA
Depositata in cancelleria il 13 luglio 1994.
Il direttore della cancelleria: DI PAOLA