Ordinanza N. 316 del 1996
Corte Costituzionale
Data generale
25/07/1996
Data deposito/pubblicazione
25/07/1996
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/07/1996
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato
GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
comma, e dell’art. 566, sesto comma, del codice di procedura penale,
promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1996 dal pretore di Ancona
nel procedimento penale a carico di Luca Agostinelli, iscritta al n.
463 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 1996;
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 10 luglio 1996 il giudice
relatore Cesare Mirabelli;
Ritenuto che il pretore di Ancona, dopo avere convalidato l’arresto
e disposto la misura cautelare degli arresti domiciliari nei
confronti dell’imputato condotto a giudizio direttissimo, con
ordinanza emessa il 21 marzo 1996 ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale: a) dell’art. 34, secondo comma, cod. proc. pen.,
nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio
direttissimo il giudice che abbia convalidato l’arresto dell’imputato
ed applicato una misura cautelare personale; b) dell’art. 566, sesto
comma, cod. proc. pen., nella parte in cui, disponendo senza
ulteriori specificazioni che dopo la convalida dell’arresto si
procede immediatamente al giudizio, indica nello stesso magistrato
che ha proceduto alla convalida quello automaticamente designato alla
trattazione del processo;
che il pretore richiama i principi che la giurisprudenza
costituzionale ha enunciato dichiarando l’illegittimità
costituzionale dell’art. 34, secondo comma, cod. proc. pen.
(sentenza n. 432 del 1995), nella parte in cui non prevede
l’incompatibilità per il giudizio del giudice che nel corso delle
indagini preliminari abbia adottato una misura restrittiva della
libertà personale nei confronti dell’imputato;
che, ad avviso del giudice rimettente, anche la disposizione
denunciata violerebbe il diritto di difesa garantito dall’art. 24
della Costituzione, perché la valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza, necessaria per applicare le misure cautelari,
costituirebbe un’anticipazione del giudizio idonea ad incidere
sull’imparzialità del giudice;
che, inoltre, la stessa disposizione determinerebbe una
disparità di trattamento tra l’arrestato nei cui confronti si
proceda con rito direttissimo rispetto a quello nei cui confronti si
proceda con rito ordinario;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate,
dovendosi tenere conto della specificità del giudizio direttissimo,
nel quale convalida dell’arresto e dibattimento sono sequenze di
un’unica fase del procedimento;
Considerato che con la sentenza n. 177 del 1996 è stata già
dichiarata non fondata analoga questione di legittimità
costituzionale, sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 101 della
Costituzione, per l’omessa previsione nell’art. 34 cod. proc. pen.
dell’incompatibilità per il giudizio di merito del pretore che,
investito del giudizio con rito direttissimo, abbia convalidato
l’arresto e disposto una misura cautelare nei confronti
dell’imputato;
che nel giudizio direttissimo, delineato dall’art. 566 cod. proc.
pen., il pretore, al quale è presentato l’imputato per il giudizio,
si pronuncia pregiudizialmente, con la convalida dell’arresto,
sull’esistenza dei presupposti che gli consentono di procedere
immediatamente al giudizio ed è competente ad adottare
incidentalmente misure cautelari, attratte nella competenza per la
cognizione del merito;
che non può essere configurata una menomazione
dell’imparzialità del giudice il quale, nell’ambito del giudizio con
rito direttissimo dinanzi al pretore, adotti decisioni preordinate al
proprio giudizio o incidentali rispetto ad esso, né una violazione
del principio di eguaglianza, essendo tale situazione diversa da
quella, presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte n. 432
del 1995, del giudice del dibattimento che in precedenza, quale
giudice per le indagini preliminari, abbia adottato una misura
restrittiva della libertà personale;
che una volta esclusa la sussistenza, in questa ipotesi, delle
ragioni di incompatibilità del giudice, non ha ragion d’essere la
questione di legittimità costituzionale prospettata nei confronti
dell’art. 566, sesto comma, cod. proc. pen.;
che le questioni vanno quindi dichiarate manifestamente
infondate;
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 34, secondo comma, e dell’art. 566, sesto
comma, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli
artt. 3 e 24 della Costituzione, dal pretore di Ancona con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 luglio 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 25 luglio 1996.
Il direttore della cancelleria: Di Paola