Ordinanza N. 326 del 2002
Corte Costituzionale
Data generale
05/07/2002
Data deposito/pubblicazione
05/07/2002
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/2002
Presidente: Cesare RUPERTO;
Giudici: Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA,
Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA;
del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un
procedimento penale, dal Tribunale di Siracusa con ordinanza del
12 giugno 2001, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª serie
speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 12 giugno 2001 il Tribunale di
Siracusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 195,
comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui vieta
agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di deporre sul
contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità
di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), dello stesso
codice;
che il Tribunale di Siracusa premette che nel corso del
dibattimento era stata assunta la testimonianza di un ufficiale di
polizia giudiziaria sulle dichiarazioni acquisite, nell’ambito di
attività di indagine delegata dal pubblico ministero, da persone
informate sui fatti, citate in dibattimento come testimoni;
che il difensore di uno degli imputati aveva eccepito, ai
sensi dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen., così come riformulato
dalla legge 1 marzo 2001, n. 63, il divieto per gli ufficiali e gli
agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle
dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli
artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), cod. proc. pen;
che il tribunale, rigettata l’eccezione della difesa, aveva
dato corso all’assunzione della deposizione ritenendo, in adesione
alla interpretazione letterale della norma prospettata dal pubblico
ministero, che il divieto operi nelle sole ipotesi di dichiarazioni
assunte nell’ambito di attività di indagine a iniziativa della
polizia giudiziaria;
che i difensori avevano quindi eccepito l’illegittimità
costituzionale dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen.,
nell’interpretazione datane dal giudice, in quanto la norma
determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento della
situazione in esame rispetto alle dichiarazioni assunte d’iniziativa
della polizia giudiziaria;
che il tribunale, dopo aver ribadito che il tenore letterale
della norma non consente di ritenere che il divieto di testimonianza
della polizia giudiziaria si estenda al contenuto delle dichiarazioni
ricevute nel corso di attività di indagine delegata, solleva
questione di legittimità costituzionale dell’art. 195, comma 4, cod.
proc. pen., “nella parte in cui prevede che gli ufficiali e gli
agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle
dichiarazioni acquisite da testimoni nelle ipotesi di cui agli
artt. 351 e 357, comma 2, lettera a)”, ritenendo che tale norma violi
gli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost;
che, con riferimento all’art. 3 Cost., il rimettente rileva
che non vi è alcuna ragione per differenziare le ipotesi in cui
l’ufficiale di polizia giudiziaria abbia assunto le informazioni di
propria iniziativa ovvero su delega del pubblico ministero, in quanto
le due situazioni appaiono identiche, trattandosi in entrambi i casi
di attività di assunzione di informazioni da parte della polizia
giudiziaria, disciplinata nel medesimo modo quanto a modalità di
documentazione, destinazione dell’atto al fascicolo del pubblico
ministero, utilizzabilità per le contestazioni, possibilità di
lettura ai sensi degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen;
che la disciplina censurata violerebbe inoltre gli artt. 2 e
24 Cost., in quanto – essendo rimessa alla discrezionalità del
pubblico ministero la decisione se delegare o meno l’atto e, quindi,
se consentire o meno all’ufficiale o agente di polizia giudiziaria di
deporre sul suo contenuto – attribuirebbe allo stesso pubblico
ministero il potere di sottrarre un teste alle domande del difensore
dell’imputato;
che sarebbe di conseguenza violato anche il principio di
parità delle parti enunciato dall’art. 111 Cost., dal momento che il
potere del pubblico ministero di delegare l’atto, incidendo sul
regime della testimonianza de relato della polizia giudiziaria,
configurerebbe “una posizione di preminenza della pubblica accusa
sulla difesa”;
che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e
degli agenti di polizia giudiziaria, sebbene riferibile ai soli casi
in cui costoro abbiano svolto attività d’iniziativa ai sensi degli
artt. 351 e 357, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., riprodurrebbe
la medesima illegittimità già dichiarata dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 24 del 1992;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo, mediante integrale richiamo all’atto d’intervento
depositato nel giudizio instaurato con ordinanza n. 514 del r.o. del
2001 e deciso con la sentenza n. 32 del 2002, che la questione sia
dichiarata infondata.
Considerato che il rimettente, muovendo dalla premessa
interpretativa che il divieto imposto agli ufficiali e agenti di
polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni
acquisite da testimoni nelle ipotesi di cui agli artt. 351 e 357,
comma 2, lettera a), cod. proc. pen. sia operante solo in caso di
attività di indagine a iniziativa della polizia giudiziaria, e non
anche in caso di indagini delegate dal pubblico ministero, ravvisa
nella norma censurata la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost;
che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria, nei casi in cui abbiano svolto
attività di indagine di iniziativa, riprodurrebbe infatti, ad avviso
del giudice a quo la medesima situazione di illegittimità già
dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 1992;
che la disparità di disciplina della testimonianza
indiretta, a seconda che abbia per oggetto attività di indagine di
iniziativa o delegate, sarebbe priva di qualsiasi fondamento
razionale e che la discrezionalità del pubblico ministero nel
decidere se delegare l’attività di indagine, incidendo sulla
possibilità di assumere la testimonianza de relato violerebbe il
diritto di difesa e il principio della parità tra le parti;
che questione identica, sollevata dal medesimo rimettente con
ordinanza n. 728 del r.o. del 2001, è stata dichiarata da questa
Corte manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza con la
sentenza n. 32 del 2002;
che, come emerge dall’ordinanza di rimessione, anche nel caso
in esame il Tribunale solleva questione di legittimità
costituzionale della norma che vieta la testimonianza indiretta della
polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni assunte
nell’ambito di attività di indagine di iniziativa, nonostante abbia
assunto la deposizione de relato del verbalizzante ed abbia quindi
già fatto applicazione del comma 4 dell’art. 195 cod. proc. pen., in
base al presupposto interpretativo, sul quale questa Corte non è
chiamata a prendere posizione, che il divieto non operi nell’ipotesi
di attività delegata;
che pertanto, avendo lo stesso rimettente in precedenza già
assunto la testimonianza dell’ufficiale di polizia giudiziaria, la
questione è priva di rilevanza nel giudizio a quo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 195, comma 4, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111
della Costituzione, dal Tribunale di Siracusa, con l’ordinanza in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 2002.
Il Presidente: Ruperto
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 luglio 2002.
Il direttore della cancelleria:Di Paola