Ordinanza N. 33 del 1998
Corte Costituzionale
Data generale
26/02/1998
Data deposito/pubblicazione
26/02/1998
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/02/1998
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv.
Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 25 marzo 1997
dalla Corte d’appello di Trieste nel procedimento penale a carico di
Vitiello Raffaele, iscritta al n. 347 del registro ordinanze 1997 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima
serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1998 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
Ritenuto che con ordinanza del 25 marzo 1997 emessa nel corso di un
giudizio penale la Corte d’appello di Trieste ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25 e 101, secondo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 438 cod. proc. pen., nella parte in cui “subordina al
consenso del pubblico ministero l’esperibilità del rito abbreviato
chiesto dall’imputato”;
che il rimettente riferisce che nel corso del procedimento di
primo grado il giudice aveva respinto, stante il dissenso del
pubblico ministero, la richiesta di giudizio abbreviato formulata
dall’imputato e aveva altresì rigettato un’eccezione del medesimo
relativa all’incostituzionalità della disciplina del rito speciale
nella parte in cui stabilisce l’insindacabilità del diniego
dell’organo di accusa; che la pronuncia dibattimentale di condanna
resa dal giudice di primo grado era appellata dall’imputato, il quale
riproponeva, tra i motivi di impugnazione, l’eccezione anzidetta,
alla quale ritiene ora di dare seguito il giudice di appello, previa
affermazione della rilevanza della questione, il cui accoglimento
determinerebbe, a norma dell’art. 442 cod. proc. pen., la riduzione
di un terzo della pena applicabile;
che ad avviso della Corte d’appello la necessità, per l’accesso
al giudizio abbreviato, del consenso del pubblico ministero
attribuisce a quest’ultimo un insindacabile potere di veto, tale da
influire in modo incontrollabile sulla determinazione della pena;
compito, questo, che il codice e ancor prima la Costituzione affidano
al giudice;
che l’attribuzione di un siffatto potere risulta, ad avviso del
rimettente, in contrasto: a) con l’art. 3 della Costituzione, per
ingiustificata possibilità di trattamento differenziato di casi
analoghi, in quanto dedotti in procedimenti trattati da diversi
pubblici ministeri; b) con l’art. 24, secondo comma, della
Costituzione, per la violazione del diritto di difesa; c) con l’art.
25 della Costituzione, per la lesione del principio del giudice
naturale e d) con l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, per
la soggezione del giudice alla volontà del pubblico ministero invece
che soltanto alla legge;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o comunque per
l’infondatezza della questione;
Considerato che la Corte d’appello rimettente prospetta una
dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 438 cod. proc. pen.
che elimini dai presupposti di ammissibilità del giudizio abbreviato
il consenso del pubblico ministero, così da superare una disciplina
che, ad avviso della Corte stessa, accorda all’organo di accusa un
insindacabile potere di “veto” sull’esperibilità del giudizio
speciale, con le conseguenze sostanziali che ne derivano;
che questa Corte con la sentenza n. 81 del 1991 – menzionata
dallo stesso giudice a quo – ha introdotto nella disciplina del
giudizio abbreviato il controllo del giudice sul dissenso del
pubblico ministero, come garanzia rispetto a un possibile diniego
ingiustificato, e ha indicato al contempo – ricavandolo dal sistema –
il criterio alla cui stregua verificare la legittimità del dissenso,
cioè la definibilità del processo allo stato degli atti,
conseguentemente riconoscendo al giudice del merito il potere di
applicare la riduzione di un terzo della pena quando il mancato
consenso risulti ingiustificato;
che nell’anzidetta riconfigurazione dello schema procedimentale
del rito speciale i dubbi di costituzionalità prospettati dal
rimettente perdono rilievo, poiché il sindacato del giudice, anche
dell’impugnazione, sulla legittimità del diniego del giudizio
abbreviato consente di applicare all’imputato la riduzione di pena
quando la mancata trattazione del processo nella forma abbreviata sia
dipesa da un dissenso ingiustificato dell’accusa, così da escludere
che possano ravvisarsi gli inconvenienti e le arbitrarie
differenziazioni tra imputati, lamentati dal giudice a quo;
che la richiesta di eliminazione del presupposto del consenso del
pubblico ministero ai fini dello svolgimento del giudizio abbreviato
risulterebbe d’altra parte eccessiva e impropria allo stato attuale
della disciplina, in quanto equivarrebbe alla possibilità di
adottare un rito speciale contro le determinazioni del pubblico
ministero e sulla base della sola volontà dell’imputato, espressa in
funzione dei propri interessi di difesa, possibilità che questa
Corte ha ravvisato come non coerente con il disegno attuale del
processo penale (sentenza n. 81 del 1991 citata; sentenza n. 284 del
1990);
che inoltre questa Corte ha sottolineato come la pura e semplice
eliminazione del presupposto del consenso del pubblico ministero
verrebbe a determinare ulteriori disarmonie di dubbia
costituzionalità nel sistema, poiché alla perdita, per l’accusa,
della facoltà di interloquire sulla scelta del rito dovrebbero
accompagnarsi una nuova disciplina sull’esercizio del diritto alla
prova e una modifica delle limitazioni alla facoltà di impugnazione
(sentenze n. 442 del 1994 e n. 92 del 1992), secondo scelte e
soluzioni che sono affidate al legislatore, cui più volte questa
Corte ha d’altra parte indirizzato l’invito a provvedere al riguardo;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente
infondata, sotto ogni profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 438 del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25 e 101,
secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste,
con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Zagrebelsky
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.
Il direttore della cancelleria: Di Paola