Sentenza N. 05986 del 2018
Consiglio di Stato - Sezione VI
Data deposito/pubblicazione
19/10/2018
Data dell'udienza in cui è stato assunto
11/10/2018
N. 05986/2018 REG.PROV.COLL.
N. 04605/2017 REG.RIC.
N. 04844/2017 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4605 del 2017, proposto da:
D. C., S. C., D. M., A. M., S. S., rappresentati e difesi dall’avvocato Giovanni Canino, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, e Segretariato Regionale Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo per l’Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna, Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale per L’Emilia Romagna, non costituiti in giudizio;
nei confronti
L. Z., non costituito in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 4844 del 2017, proposto da:
Z. L., in persona del Procuratore Generale Alessandra Bonazzi, rappresentato e difeso dall’avvocato Silva Gotti, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della VI Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del Ministro pro tempore, e Segretariato Regionale Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo per l’Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
D. C., S. C., D. M., A. M., S. S, non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 4605 del 2017:
della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna – Sezione I, n. 153/2017, resa tra le parti, concernente impugnazione di dichiarazione di interesse culturale emesso dalla Direzione Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo – Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna, con cui si dichiara “ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. d) e 13, comma 1 del D.L.vo n. 42/2004 l’interesse particolarmente importante dell’immobile con gli annessi beni mobili denominato Casa-Studio Dalla”.
quanto al ricorso n. 4844 del 2017:
della sentenza del T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna – Sezione I n. 153/2017, resa tra le parti, concernente impugnazione di dichiarazione di interesse culturale emesso dalla Direzione Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo – Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna, con cui si dichiara “ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. d) e 13, comma 1 del D.L.vo n. 42/2004 l’interesse particolarmente importante dell’immobile con gli annessi beni mobili denominato Casa-Studio Dalla” e domanda di risarcimento danni.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e del Segretariato Regionale Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo per L’Emilia Romagna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2018 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per gli appellanti D. C., S. C., D. M., A. M., S. S, l’avvocato Giovanni Canino, per l’appellante L. Z., l’avvocato Silva Gotti e, per le Amministrazioni intimate, l’avvocato dello Stato Stigliano Messuti.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Emilia – Romagna, L. Z. – erede insieme ad altri cugini del musicista Lucio Dalla – ha impugnato il decreto in data 30/01/2015, con il quale il MIBACT ha dichiarato, ai sensi degli artt. 10, co. 3, lett. d) e 13 del D.L.vo n. 42/2004, d’interesse particolarmente importante l’immobile, con gli annessi mobili ivi presenti, denominato Casa-Studio Dalla, sito in parte del primo piano del fabbricato di via Massimo D’Azeglio n. 15 in Bologna.
Venivano svolte in ricorso, sia quanto al procedimento sia quanto al contenuto del vincolo, le seguenti censure:
1) Violazione degli artt. 2, 7 e 8, L. n. 241/1990, anche in relazione agli artt. 10 e 3 della medesima. Violazione dell’art. 14, D.L.vo n. 42/2004 e del DPCM 231 del 2010.
2) Eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti e difetto di istruttoria. Irragionevolezza per genericità. Difetto di motivazione per incongruità. Sviamento.
3) Violazione dell’art. 10, co. 3, lett. d) del D.L.vo n. 42/2004.
4) Il danno derivane dalla imposizione del vincolo, che ha natura sostanzialmente ablatoria, è costituito dalla privazione di molte facoltà della proprietà, secondo l’applicazione delle disposizioni previste dal Capo II, dalla Sezione I del Capo III e dalla Sezione I del Capo IV del Titolo I del D.L.vo n. 42/2004.
Si è costituita l’Amministrazione intimata, chiedendo il rigetto del ricorso.
2. Con separato ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, D. C., S. C., D. M., A. M., S. S. – eredi insieme ad altri cugini del musicista Lucio Dalla – hanno a loro volta impugnato il decreto in data 30/01/2015 (e i numerosi atti collegati), con il quale il MIBACT ha dichiarato, ai sensi degli artt. 10, co. 3, lett. d) e 13 del D.L.vo n. 42/2004, d’interesse particolarmente importante l’immobile, con gli annessi mobili ivi presenti, denominato Casa-Studio Dalla, sito in parte del primo piano del fabbricato di via Massimo D’Azeglio n. 15 in Bologna.
Venivano dedotti in ricorso i seguenti cinque motivi di ricorso:
1) Incompetenza nell’adozione della dichiarazione di interesse culturale. Falsa applicazione dell’art. 14, co. 6, D.L.vo n. 42/2004 e omessa applicazione dell’art. 39 DPCM 171/2014 – Violazione dell’art. 2, co. 1, L. n. 241/1990 e delle norme relative allo specifico procedimento di dichiarazione d’interesse culturale.
2) Violazione del termine di conclusione del procedimento (tab. reg. 231/2010). Violazione del giusto procedimento e del principio di autovincolo. Violazione art. 2, L. n. 241/1990, art. 97 Cost., D.M. n. 495/2004 e DPCM n. 231/2010. Eccesso di potere per irragionevolezza.
3) Omessa notifica della dichiarazione di interesse culturale al ricorrente D. C.. Omessa applicazione dell’art. 15, co. 1, D.L.vo n. 42/2004 e dell’art. 21-bis L. n. 241/1990.
4) Assenza dell’interesse culturale. Difetto di collegamento con la storia e deformante interpretazione del collegamento identitario: – Falsa applicazione degli artt. 2 e 10, co. 3, lett. d) del D.L.vo n. 42/2004 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti, per valutazione erronea dei presupposti di legge e per illogicità, per motivazione apparente e per difetto di istruttoria.
5) Erronea sottoposizione di opere di autori viventi e/o di recente esecuzione – Eccesso di potere per travisamento del fatto, per irragionevolezza, per illogicità e per violazione del principio di proporzionalità – Omessa applicazione dell’art. 10, co. 5, D.L.vo n. 42/2004 – Violazione dell’art. 33 Cost. e del diritto d’autore.
Anche in questo secondo giudizio si è costituita l’Amministrazione intimata, chiedendo il rigetto del ricorso.
3. Per la loro evidente connessione oggettiva e per la identità della qualificazione soggettiva dei ricorrenti, tutti coeredi del Maestro Lucio Dalla, i ricorsi sono stati riuniti dal T.A.R.
4. Con sentenza n. 153/2017, i ricorsi sono stati poi respinti.
5. Avverso tale sentenza hanno interposto gravame, da un lato, L. Z. e, dall’altro lato, D. C., S. C., D. M., A. M, S. S..
6. L’Amministrazione si è costituita in giudizio, per resistere al gravame.
7. All’udienza dell’11 ottobre 2018, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1. I due appelli vanno riuniti per connessione oggettiva e identità della qualificazione soggettiva dei ricorrenti.
2. E’ fondato il primo motivo di gravame degli appellanti D. C., S. C., D. M., A. M., S. S.
Con la sentenza n. 2243/2011, il Consiglio di Stato ha precisato i poteri della Soprintendenza “pur nell’ampia sfera di discrezionalità di cui dispone l’Amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, il cui esercizio non resta sottratto a criteri di ragionevolezza, di proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti del potere esercitato e di adeguatezza al caso concreto”.
L’ampia discrezionalità deve essere ponderata alla luce: – del proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti, – dell’adeguatezza al caso concreto; – della ragionevolezza del provvedimento.
Nella sentenza impugnata il vincolo non è stato minimamente indagato sotto questi profili, in quanto viene ritenuto che la relazione allegata (quella stessa “relazione di massima” che nella prima stesura prevedeva un comitato scientifico, ulteriori specifici sopralluoghi, una puntuale identificazione dei beni da vincolare, una indagine sulla relazione tra i beni ed il maestro) sia congruamente motivata.
Alla luce dei criteri indicati dal Consiglio di Stato, non si rinviene, però:
– nessuna valutazione sull’adeguatezza del vincolo, la cui estensione è totale;
– nessuna valutazione sulla ragionevolezza del provvedimento, che anzi nella prima stesura anticipa l’esigenza di svolgere necessariamente ulteriori attività istruttorie che poi non vengono svolte;
– nessun proporzionale bilanciamento degli interessi coinvolti.
A partire dal fatto che, ricomprendere indistintamente tutti i beni presenti nell’immobile, significa in realtà negare proprio l’esercizio di qualsiasi forma di discrezionalità, manca, innanzitutto, una chiara elencazione delle cose mobili contenute nella “Casa-Studio Dalla”, che sarebbero tecnicamente assurte a bene culturale.
L’art. 14 del D.L.vo 42/2004 esige “gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa”, profilo che andava tassativamente ed inevitabilmente esaurito.
In mancanza di quanto richiesto dalla norma, si deve concludere che la Soprintendenza abbia imposto un illegittimo e generico vincolo sul tutto, rinviando ad un successivo accordo con la proprietà la chiara individuazione di cosa effettivamente sottoporre a vincolo.
Non si ha un vincolo su beni determinati, ma si è di fronte ad un vincolo “affettivo” caratterizzato da palese aleatorietà ed indeterminatezza.
E’ così mancata l’attività istruttoria che non è mai stata compiuta.
Altresì il D.L.vo 42/2004, all’art. 14, prevede che “la comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini …”.
Dunque gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini devono essere chiaramente individuabili fin dalla comunicazione di avvio.
Nel nostro caso, però, la relazione (parte integrante dell’avvio del procedimento) si autodefinisce una relazione “di massima” e “sommaria”, richiedendo una serie di attività ritenute necessarie prima di pervenire all’emissione del vincolo. Tali attività non sono state mai svolte. Difatti, non si è proceduto a nessun ulteriore sopralluogo, così che l’unico sopralluogo si è svolto senza gli eredi; non si è proceduto a nominare “appositamente” alcun “Comitato Scientifico” e dunque non si è potuto verificare i rapporti ed i legami solo accennati nella prima relazione; non si è individuato “in maniera precisa, tra il foltissimo materiale raccolto, esclusivamente quello che abbia una forte relazione con il cantautore”.
Appare evidente una violazione originaria dell’art. 14, co. 2 del D.L.vo 42/2004 che poi si è riverberata sul provvedimento finale.
Il primo giudice si arresta nell’esame, ritenendo che “è la suggestione” ciò che “il vincolo intende perpetuare”, un tessuto connettivo fin troppo gracile ed astratto per svolgere quella funzione impositiva e di collante (degli elementi dell’unicum) che l’Amministrazione appellata intenderebbe far svolgere.
Né pare che “l’apertura della relazione in ordine al complesso dei beni mobili descritti, essendo precisato che tra gli stessi ‘si potranno individuare in maniera più precisa ed assieme alla proprietà, quelli che hanno una forte relazione con il cantautore’” enfatizzata nella sentenza possa costituire elementi di legittimazione del vincolo. Anche questo incombente istruttorio non è stato posto in essere. Se si tratta di un unicum, come ritiene la sentenza gravata, non si comprende come si possa ipotizzare di sottrarne dei singoli pezzi.
3. E’ altresì fondato il gravame proposto dal ricorrente L. Z..
Il decreto di vincolo è fondato su una seconda relazione quasi identica alla prima, nella quale si era evidenziata la necessità di ulteriori attività istruttorie, in seguito mai compiute. Si legge testualmente nella prima relazione che quella “proposta costituisce una prima relazione di massima, volta a mettere in luce l’importanza della raccolta”, che “la stessa sarà necessariamente seguita da un elenco dettagliato dei beni derivato dai sopralluoghi specifici all’interno della casa”, che “le opere qui indicate, in maniera sommaria e certamente non esaustiva, sono state individuate a seguito di un primo sopralluogo e da notizie derivate dalla bibliografia e da interviste dell’artista”, che “l’intento finale è quello di individuare in maniera precisa, tra il foltissimo materiale raccolto, esclusivamente quello che abbia una forte relazione con il cantautore” e che “un Comitato Scientifico che verrà appositamente costituito contribuirà a verificare i rapporti e i legami in questa occasione solo accennati”.
Appare evidente il difetto istruttorio, in quanto nella seconda relazione non è stato aggiunto alcunché che possa ritenere superata l’inidoneità della prima relazione. La stessa Amministrazione aveva riconosciuto che la relazione iniziale era vaga, non verificata e la necessità di redigerne una successiva e di istituire un comitato scientifico. I punti nei quali la relazione finale è stata integrata rispetto alla prima sono inconsistenti sotto il profilo che qui interessa, vale a dire l’accertamento della legittimità dell’istruttoria.
La relazione, poi, non contiene un elenco completo dei beni mobili da vincolare, per cui si è inteso vincolare fittiziamente un unicum, scelta che non trova alcuna giustificazione in base agli atti d’istruttoria. La illogicità e la irragionevolezza derivano dal fatto di non aver scelto tra i beni astrattamente vincolabili e di aver quindi vincolato un insieme indistinto, fittiziamente indicato come unicum.
Si legge, poi, chiaramente nella relazione definitiva che non si tratta di una collezione, i beni invece sono stati trattati come se di trattasse di una collezione. Sono stati vincolati gli arredi solo perché appartenevano all’artista, senza che sia stato dimostrato il presunto legame inscindibile tra gli stessi e soprattutto il legame con la produzione artistica e la rilevanza culturale di tale legame.
4. Non può essere invece accolta la domanda risarcitoria proposta dal sig. L. Z.. Al di là del fatto che il ricorrente non ha esplicato con sufficiente chiarezza le ragioni concrete su cui la domanda si fonda, egli si è comunque riservato di quantificare il danno in corso di causa, incombente al quale non ha mai provveduto, per cui la domanda non può essere accolto.
5. Conclusivamente, i due gravami sono fondati, per cui, in riforma della sentenza impugnata, vanno accolti i ricorsi in primo grado, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con esclusione della domanda di risarcimento danni proposta dal ricorrente L. Z..
6. Le spese del doppio grado di giudizio, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
7. L’Amministrazione intimata è tenuta a rifondere agli appellanti il contributo unificato corrisposto per i ricorsi in primo grado ed in appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie e, per l’effetto, accoglie i ricorsi in primo grado, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, con esclusione della domanda di risarcimento danni proposta dal sig. L. Z..
Condanna l’Amministrazione intimata a rifondere ad entrambe le parti appellanti le spese del doppio grado di giudizio, liquidate rispettivamente in € 1.500,00, oltre accessori di legge, per il primo grado di giudizio ed in € 1.500,00, oltre accessori di legge, per il secondo grado di giudizio.
L’Amministrazione intimata è tenuta a rifondere agli appellanti il contributo unificato corrisposto per i ricorsi in primo grado ed in appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Marco Buricelli, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Oswald Leitner, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oswald Leitner Vincenzo Lopilato
IL SEGRETARIO