Sentenza N. 104 del 1989
Corte Costituzionale
Data generale
09/03/1989
Data deposito/pubblicazione
09/03/1989
Data dell'udienza in cui è stato assunto
22/02/1989
Presidente: dott. Francesco SAJA;
Giudici: prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, dott. Aldo
CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof.
Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo
CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI;
il 29 luglio 1988, depositato in Cancelleria il 6 agosto 1988 ed
iscritto al n. 16 del registro ricorsi 1988, per conflitto di
attribuzione sorto a seguito della nota della Procura generale della
Corte dei conti n. 243240 in data 7 giugno 1988 con la quale al
Presidente della Giunta regionale è stato ingiunto di presentare
“l’elenco completo di tutti gli incarichi professionali di qualsiasi
genere conferiti dagli organi regionali a persone fisiche o
giuridiche a partire dall’1 gennaio 1982 e sino alla data odierna”,
nonché di ogni altro atto preliminare, conseguente o connesso;
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 1988 il Giudice
relatore Francesco Greco;
Uditi l’avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l’Avvocato
dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei
ministri;
Corte dei conti invitava, ai sensi dell’art. 74 del T.U. n. 1214 del
1934, il Presidente della Giunta regionale della Lombardia a
trasmettere un elenco completo di tutti gli incarichi professionali
di qualsiasi genere conferiti da organi regionali a persone fisiche o
giuridiche a partire dall’1 gennaio 1982 e fino alla data suddetta.
Precisava la nota, pur senza fissare alcun termine per
l’adempimento, che il menzionato elenco doveva essere articolato
alfabeticamente per nominativo degli incaricati e corredato dei
seguenti dati: 1) eventuale appartenenza dell’incaricato alla P.A.;
2) qualificazione tecnico-professionale di questo; 3) estremi del
provvedimento di conferimento dell’incarico; 4) impegno di spesa; 5)
importi delle somme effettivamente erogate, ripartite fra compenso ed
IVA; 7) in caso di pluralità di incarichi o di rinnovo degli stessi
a favore dei singoli soggetti, dati riepilogativi delle somme
effettivamente corrisposte, ripartite come sopra. Si richiedeva,
inoltre, che all’elenco fossero allegate le copie dei provvedimenti
attributivi degli incarichi, delle autorizzazioni rilasciate
dall’ente di appartenenza degli incaricati, pubblici dipendenti,
delle specifiche disposizioni, anche di carattere interno,
concernenti la materia.
La Giunta regionale, con nota di risposta in data 4 maggio 1988,
precisava di non potere dare esito alla richiesta nei termini
complessi e generici in cui era stata formulata: i relativi
adempimenti avrebbero comportato una paralisi, per un tempo non
breve, degli uffici interessati (rilevandosi all’uopo
esemplificativamente, che nel solo settore della rappresentanza e
difesa in giudizio erano stati conferiti, nell’arco di tempo
suddetto, circa 1050 incarichi); inoltre, la richiesta stessa,
apparentemente proposta a prescindere da una formale istruttoria per
l’accertamento di specifiche responsabilità amministrative, sembrava
risolversi nell’esercizio di un potere di verifica della regolarità
della gestione dell’amministrazione regionale nell’intero settore
dell’affidamento degli incarichi professionali, pur rigorosamente
disciplinato dalle leggi regionali 22 aprile 1974 n. 21, 31 agosto
1981 n. 52 e 1° agosto 1979 n. 42, e nonostante che ciascun
provvedimento di affidamento di incarico fosse sempre stato reso
esecutivo dall’apposita Commissione di controllo sugli atti
dell’amministrazione suddetta.
Con la nota in oggetto, la Procura Generale della Corte dei conti,
contestando e confutando gli assunti della Regione, ribadiva le
proprie richieste e ne ingiungeva l’esecuzione nel termine di mesi
sei, con la sola eccezione degli adempimenti relativi all’affidamento
di incarichi di rappresentanza e difesa in giudizio, rinviati a data
da destinarsi, in relazione ai prospettati problemi organizzativi.
2. – Avverso tale ingiunzione la Regione ha proposto ricorso per
conflitto di attribuzione, lamentando la violazione degli artt. 117,
118, 123, e 125 della Costituzione, anche in relazione agli artt. 97
e 103 della Costituzione.
Deduce la ricorrente che la richiesta istruttoria contestata
darebbe luogo ad un vero eccesso di potere giurisdizionale, perché
intesa, in realtà, a realizzare un generalizzato controllo a
posteriori non previsto dalla Costituzione, sull’attività
amministrativa della Regione e su tutti i suoi atti: ciò che
emergerebbe dalle precisazioni contenute nella stessa nota impugnata,
nella quale lo specifico collegamento dell’ordine di esibizione ad
un’inchiesta (n. 243240) aperta dalla Procura per l’accertamento di
responsabilità amministrative in relazione “a possibili danni
erariali conseguenti ad ipotesi di illecito conferimento di incarichi
professionali” rivelerebbe come l’indagine, avviata non in base a
qualificata notitia criminis bensì per iniziativa dell’ufficio del
Procuratore Generale e senza connessione a specifiche fattispecie
concrete, sia da ricondurre ad un modello di attività non
giurisdizionale ma di controllo.
La ricorrente, pertanto, pur senza contestare la soggezione degli
amministratori e dei dipendenti della Regione al giudizio di
responsabilità spettante alla Corte dei conti secondo la regola
fissata dall’art. 31 della legge 19 maggio 1976, n. 335, lamenta che,
attraverso la richiesta in questione, la Procura Generale non
perseguirebbe illeciti in relazione ad ipotesi specifiche e concrete,
ma intenderebbe procedere ad un’ indebita revisione dell’attività
amministrativa regionale. Ciò sarebbe reso chiaro anche alla luce
della considerazione che, almeno di norma (art. 53 del testo unico n.
1214/1934; art. 83 del regio decreto n. 2440/1923; art. 32 della
legge n. 335/1976), l’azione di responsabilità del Procuratore
Generale della Corte dei conti presuppone una notitia criminis
qualificata e che, se non possono negarsi ipotesi, di tipo residuale,
nelle quali l’organo inquirente si attiva autonomamente, è lo stesso
carattere inquisitorio di iniziative siffatte a postulare come
maggiormente necessaria una forma di autocontrollo intesa ad evitare
che un’attività di natura giurisdizionale trasmodi in altra di
diversa natura. E in quest’ottica, come per il soggetto giudicante il
“limite” è quello di non potere, di regola, procedere di ufficio,
così, per il soggetto requirente, il “limite” è quello di agire in
relazione a fattispecie concrete di reato o di danno e non, come nel
caso in contestazione, in modo assolutamente generico ed
indiscriminato.
La contestata iniziativa della Procura Generale appare, poi, ad
avviso della ricorrente, violativa della sfera di autonomia
costituzionalmente riservata alla Regione anche sotto altro profilo:
essa, invero, muovendo da un giudizio globalmente negativo
sull’attività dell’amministrazione in materia di conferimento di
incarichi professionali, lascia sospettare che il richiedente presuma
come legittimo un solo prototipo di apparato amministrativo (quello
ministeriale) e pretenda di imporlo a tutte le amministrazioni,
sanzionando come illegittimo o fonte di danno erariale tutto ciò che
da quel modello si discosta. In tal modo si oblitera, però, che gli
artt. 117 e 123 della Costituzione riservano al legislatore regionale
la più ampia discrezionalità nell’esercizio dell’autonomia
organizzativa, come è stato ripetutamente riconosciuto da questa
Corte (si citano, al riguardo, l’ordinanza n. 10 del 1988 e la
sentenza n. 99 del 1986) anche in considerazione del fatto che
l’organizzazione amministrativa regionale è amministrazione
prevalentemente indiretta e programmatoria: il che particolarmente
rileva proprio in materia di conferimento di incarichi professionali,
in quanto giustifica un’eventuale scelta della Regione di strutturare
detta organizzazione in modo “aperto”, incentrandola non solo e non
tanto su un personale burocratico permanente quanto anche su apporti
esterni di consulenti.
D’altra parte, sottolinea ancora la ricorrente, nella specie non
può venire in discussione neanche una, sia pur legittima, scelta di
questo tipo, atteso che la materia suddetta è, nell’ordinamento
della Regione Lombardia, dettagliatamente e rigorosamente
disciplinata dalle già citate leggi, nell’osservanza delle quali gli
incarichi professionali sono sempre stati conferiti, venendo i
relativi atti resi esecutivi dall’apposita Commissione di controllo
sugli atti dell’amministrazione regionale (di cui fa parte un
magistrato della Corte dei conti: art. 41, secondo comma, lett. b),
della legge n. 62 del 1953).
3. – Resiste al ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri,
per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, che sollecita la
declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Precisa, al riguardo, che, come già questa Corte ha posto in luce
(sentenza n. 111 del 1976), quante volte la nozione di conflitto di
attribuzione è risultata estesa, nell’esperienza attuativa, ad
ipotesi in cui non tanto veniva in contestazione l’appartenenza del
potere concretamente esercitato quanto l’esercizio del medesimo,
oggetto della decisione è stato pur sempre l’accertamento della
spettanza di una competenza con l’eventuale annullamento dell’atto
adottato dal soggetto riconosciuto responsabile di invasione o di
menomazione della sfera di competenza propria dell’altro.
Nella specie, viceversa, essendo incontestata la soggezione della
Regione alla giurisdizione amministrativo-contabile della Corte dei
conti, non è dato ravvisare quale ambito di attribuzioni
costituzionalmente garantito a quest’ultima possa ritenersi
compromesso dall’ indagine avviata e, in particolare, dalla richiesta
di elementi conoscitivi circa gli incarichi professionali conferiti
nel periodo in questione.
E, mentre è da riconoscere che la stessa specificità del tema
d’indagine, con la correlata determinazione temporale, esclude la
genericità lamentata dalla ricorrente, va del pari rilevato, ad
avviso dell’Autorità resistente, che soltanto una immunità degli
amministratori regionali dalla giurisdizione della Corte dei conti in
materia di responsabilità amministrativa potrebbe essere dedotta ad
oggetto di vindicatio in giudizio costituzionale: sicché,
difettando, come non è controverso, tale presupposto, non può che
inferirsene l’inammissibilità del ricorso.
Rileva, inoltre, l’Avvocatura dello Stato che la contestata
richiesta non muove, di per sé, da alcuna presunzione di
colpevolezza e che costituisce gratuita illazione della ricorrente la
presunta identificazione dei criteri di giudizio alla cui stregua la
Procura Generale della Corte dei conti si accingerebbe alla ricerca
di eventuali responsabilità amministrative. Tutto quanto dedotto ed
osservato al riguardo dalla ricorrente si risolverebbe, dunque, in
una sorta di difesa di merito, preventivamente ed inammissibilmente
svolta in questa sede, dovendosene, se del caso, discutere davanti
alla Corte suddetta, ove questa dovesse essere investita, ad
iniziativa dell’organo inquirente, del giudizio circa eventuali
effetti dannosi degli atti in questione.
4. – Nell’imminenza dell’udienza, ha depositato una memoria la
difesa della Regione Lombardia, insistendo nelle già spiegate
conclusioni.
Ha, in particolare, osservato che, nella specie, l’azione
intrapresa dalla Procura Generale della Corte dei conti non è
riferibile all’archetipo del “riscontro delle risultanze globali”
della gestione finanziaria di un ente (quale, ad esempio, quella
consentita, nei confronti degli enti locali, dall’art. 13 del decreto
legge 22 dicembre 1981, n. 786), nel cui ambito può giustificarsi la
richiesta di elementi informativi generici: la detta Procura agisce,
invece, esclusivamente nella sua veste di organo cui è demandato
dalla legge il potere di promuovere i giudizi di responsabilità, che
sono e possono essere soltanto giudizi concreti, aventi ad oggetto
fatti determinati e danni determinati, imputabili a determinati
ammimistratori o funzionari.
L’avere l’organo richiedente trascurato siffatti limiti
nell’esercizio del proprio potere comporta l’abnormità
dell’esercizio stesso, con l’illegittima conseguenza dell’imposizione
alla Regione di un facere straordinario (consistente nella
sistemazione dei dati nel modo richiesto dal Procuratore Generale) e,
soprattutto, dell’assoggettamento della medesima ad una anomala forma
di controllo sui propri modelli organizzativi, liberamente e
legittimamente scelti.
Lombardia è proposto contro la nota della Procura Generale della
Corte dei conti, datata 7 giugno 1988, con la quale, ai sensi
dell’art. 74 del testo unico n. 1214 del 1934, si è invitato il
Presidente della Giunta regionale della Lombardia a trasmettere un
elenco di tutti gli incarichi professionali, di qualsiasi genere,
conferiti da organi regionali a persone fisiche e giuridiche dal 1°
gennaio 1982 alla data della ricezione della suddetta nota.
L’elenco, articolato alfabeticamente per nominativo, doveva
indicare: a) eventuale appartenenza dell’incaricato alla P.A.; b) la
sua qualificazione tecnico-professionale; c) il provvedimento del
conferimento dell’incarico; d) l’impegno di spesa; e) le somme
effettivamente erogate (compenso ed IVA) e i riepiloghi delle stesse
nel caso di incarichi plurimi o rinnovati. Inoltre, dovevano essere
allegate le copie dei relativi provvedimenti anche
dell’amministrazione di appartenenza.
2. – Il conflitto è anzitutto ammissibile.
La Regione ricorrente, pur non contestando la soggezione dei
propri funzionari alla giurisdizione della Corte dei conti, sia
contabile che amministrativa, e il potere del Procuratore Generale
della stessa Corte di accertare le eventuali responsabilità dei
predetti per il risarcimento dei possibili danni erariali conseguenti
agli illeciti commessi, si duole che, nella specie, la richiesta del
Procuratore Generale, siccome non fondata su elementi di fatto
concreti, determinati e specifici, riferentesi ad un’attività
svoltasi in un arco di tempo molto lungo e dopo che per alcuni
periodi dello stesso era stato effettuato già il controllo
istituzionale, non legata nemmemo a concrete ipotesi di illeciti
amministrativi producenti danni erariali, ma solamente a mere
supposizioni e indiscriminate eventualità, peraltro abbastanza
incerte, costituisce un cattivo esercizio del potere dalla legge
attribuito allo stesso Procuratore Generale. E, risolvendosi in
un’attività di controllo successivo e tardivo, finisce per
privilegiare un modello di amministrazione, peraltro non bene
determinato. Risulta, inoltre, lesiva della sfera di autonomia
garantita ad essa ricorrente da precetti costituzionali (artt. 117,
118, 123, 128 della Costituzione) i quali, in sostanza, sono violati.
L’ipotesi prospettata rientra, quindi, certamente nella nozione di
conflitto di attribuzione elaborata dalla giurisprudenza di questa
Corte (sentenza n. 111 del 1976). Essa è comprensiva non solo
dell’ipotesi in cui sia contestata l’appartenenza del potere, ma
anche di quella di esercizio del potere idoneo a determinare una
lesione della sfera di attribuzione del soggetto ricorrente. Oggetto
della decisione è pur sempre l’accertamento della spettanza di una
competenza con il conseguente annullamento dell’atto adottato dal
soggetto ritenuto responsabile di invasione o di menomazione della
sfera di competenza propria dell’altro soggetto.
Il conflitto è determinato in ogni caso dall’interesse del
soggetto ricorrente alla difesa della integrità delle competenze
garantite a ciascuno dei soggetti o enti confliggenti o da norme
formalmente costituzionali o da norme ordinarie integrative o
esecutive di norme costituzionali di competenza.
3. – I motivi del conflitto sono fondati.
Il giudizio di responsabilità amministrativa trae il suo
fondamento dagli artt. 82 e 83 della legge sulla contabilità
generale dello Stato, approvata con regio decreto 18 novembre 1923,
n. 2440, e dall’art. 52 del testo unico delle leggi sulla Corte dei
conti approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Si
instaura non solo nei confronti di coloro che sono legati da un
rapporto di servizio con lo Stato, ma anche a carico di funzionari di
enti pubblici, tra cui le Regioni (sentenze n. 62 del 1973; n. 211
del 1972; n. 68 del 1971; n. 110 del 1970; n. 143 del 1968), ad
istanza del Procuratore Generale della Corte dei conti o su denuncia
dell’amministrazione o ad iniziativa diretta del predetto Procuratore
Generale (art. 43 del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi
alla Corte dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n.
1038).
Il Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione
dei giudizi, agisce nell’esercizio di una funzione obiettiva e
neutrale. Egli rappresenta l’interesse generale al corretto
esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni
amministrative e contabili, e cioè un interesse direttamente
riconducibile al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti
generali ed indifferenziati; non l’interesse particolare e concreto
dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri
enti pubblici in relazione agli scopi specifici che ciascuno di essi
persegue, siano pure essi convergenti con il primo.
Egli vigila per l’osservanza delle leggi, per la tutela cioè
dello Stato e per la repressione dei danni erariali conseguenti ad
illeciti amministrativi, ma non effettua un controllo diretto ad
accertare se i provvedimenti delle autorità amministrative siano
stati emanati con l’osservanza delle leggi e con il rispetto dei
criteri della buona e regolare amministrazione. La legge non gli
attribuisce l’amplissimo potere di svolgere indagini a propria
discrezionalità in un ampio settore dell’amministrazione senza che,
secondo le circostanze, sia presumibile la commissione di illeciti
produttivi di danni. Non è sufficiente, cioè, la mera supposizione.
Il suo intervento non può basarsi su mere ipotesi.
Lo stesso Procuratore Generale resta abilitato alle specifiche
istruttorie e al promuovimento della conseguente azione (sentenza n.
421 del 1978).
Il giudizio di responsabilità mutua le sue forme dal processo
civile per quanto applicabili (art. 26 del Regolamento approvato con
regio decreto n. 1038 del 1933) con la vigenza, però, relativamente
all’aspetto istruttorio, sia del principio dispositivo che di quello
inquisitorio, con ampia possibilità di produzione di prove
consentita a tutte le parti del giudizio e con la possibilità del
giudice di integrare il materiale probatorio anche al di là delle
allegazioni delle parti. La commistione è da porsi in relazione
all’interesse che si persegue e alla finalità che il giudizio è
diretto a realizzare, cioè la reintegrazione del pubblico patrimonio
che è quella stessa che fonda il potere del Procuratore Generale di
agire d’ufficio al di fuori ed anche contro le determinazioni
dell’amministrazione ed anche dopo l’acquisizione dei visti e pareri
degli organi amministrativi di controllo. Ed è la stessa Corte che
può demandare, se del caso, specifica attività istruttoria al
Procuratore Generale.
Ma, indipendentemente ed anche prima della citazione e
anteriormente al giudizio, il Procuratore Generale può chiedere in
comunicazione atti e documenti in possesso di autorità
amministrative e giudiziarie e può anche disporre accertamenti
diretti (art. 74 del Regolamento approvato con regio decreto n. 1038
del 1933), così potendosi rivolgere, per l’area che interessa, alla
Commissione di controllo di cui è anche membro un magistrato della
stessa Corte dei conti.
Il potere che si esercita deve, tuttavia e in ogni caso, essere
ispirato ad un criterio di obiettività, di imparzialità e
neutralità, specie perché ha un fondamento di discrezionalità.
La discrezionalità richiede cautele e remore maggiori se sia
diretta ad un interesse giurisdizionale, cioè alla acquisizione di
elementi necessari ad una eventuale pronuncia del giudice. Deve
essere determinata da elementi specifici e concreti e non da mere
supposizioni.
Nella fattispecie, la richiesta del Procuratore Generale non è
suffragata da elementi concreti e specifici, ma si fonda su mere
ipotesi e astratte supposizioni e si dirige, in modo del tutto
generico, ad un intero settore di attività amministrativa, svolta
per un rilevante periodo di tempo, ormai remoto, e già, in massima
parte e tempestivamente assoggettata ai controlli istituzionali.
Il potere che si vorrebbe esercitare viene così a costituire,
stanti i termini in cui è posta la relativa richiesta, una vera e
propria attività di controllo da parte di un organo che per legge
non è abilitato ad effettuarlo. Onde risulta lesa la sfera,
ampiamente discrezionale, di autonomia organizzativa della Regione
ricorrente, garantita dagli artt. 117, 118, 123, 128 della
Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Procura
Generale della Corte dei conti, ordinare alla Regione Lombardia,
indipendentemente dalla contestazione di specifiche ipotesi di
responsabilità, la trasmissione dell’elenco completo di tutti gli
incarichi professionali di qualsiasi genere conferiti da organi
regionali a persone fisiche o giuridiche nel periodo compreso fra il
1° gennaio 1982 ed il 15 marzo 1988;
Annulla, conseguentemente, le note della Procura Generale della
Corte dei Conti in data 15 marzo 1988 e 7 giugno 1988, prot. n.
243240/VTR.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1989.
Il Presidente: SAJA
Il redattore: GRECO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 9 marzo 1989.
Il direttore della cancelleria: MINELLI