Sentenza N. 111 del 1970
Corte Costituzionale
Data generale
26/06/1970
Data deposito/pubblicazione
26/06/1970
Data dell'udienza in cui è stato assunto
17/06/1970
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – AVV. ERCOLE ROCCHETTI
– Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE –
Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
primo e ultimo comma, del codice di procedura penale, promossi con le
seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 22 maggio 1968 dalla Corte di cassazione –
sezione seconda penale – nel procedimento penale a carico di Leone
Italo, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 1968 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 305 del 30 novembre 1968;
2) ordinanza emessa il 10 dicembre 1968 dalla Corte d’appello di
Caltanissetta nel procedimento penale a carico di Coljanni Michele
Vincenzo Nunzio, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1969 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52 del 26
febbraio 1969.
Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1970 il Giudice
relatore Michele Fragali.
La Corte di cassazione (ordinanza 22 maggio 1968) e la Corte di
appello di Caltanissetta (ordinanza 10 dicembre 1968) hanno sottoposto
a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del comma
primo dell’art. 501 del codice di procedura penale, limitatamente
all’inciso “prima che sia cominciata la discussione finale”, e l’ultimo
comma di detto articolo. Le norme sono state ritenute in contrasto con
l’articolo 24 della Costituzione, perché non consentono
l’interrogatorio del contumace comparso durante il dibattimeno dopo
l’inizio della discussione; in tal modo, secondo le due ordinanze,
l’imputato rimane privato dell’esercizio di un diritto che è
fondamentale per la sua difesa.
Non v’è stata costituzione di parte.
1. – Le due cause riguardano la stessa norma e debbono essere
decise con unica sentenza.
2. – Il divieto di procedere ad interrogatorio dell’imputato
contumace comparso durante la discussione finale, oggetto delle
ordinanze indicate in epigrafe e delle norme con esse denunziate, non
è in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto di difesa.
La Corte ha altre volte deciso che questo diritto può essere
regolato dalla legge, sia nel modo sia nel tempo, per evitare sviamenti
dallo scopo della protezione datagli, e soprattutto per evitare che sia
attuato in maniera ingiustificatamente dilatoria o del tutto sterile,
così da pregiudicare l’ordinata amministrazione della giustizia, che
è un’esigenza di interesse generale, e lo stesso svolgimento della
funzione giurisdizionale, che non è nella disponibilità privata. Il
diritto di difesa, è vero, va garantito in ogni stato e grado del
procedimento; ma, non potendo affidarsene l’esercizio alla mera
discrezione dell’interessato, la legge può ritenere conchiusa una fase
del processo ed immutabilmente fissate le situazioni che vi si sono
costituite, perché il processo possa progredire verso la decisione
finale e se ne impedisca l’indefinito protrarsi: è questa un’esigenza
logica prima che giuridica (sentenza di questa Corte 25 marzo 1970, n.
50). A tale esigenza risponde la norma denunciata.
La fase istruttoria, nel dibattimento, si conclude con l’inizio
della discussione finale, secondo valutazioni di politica giudiziaria
insindacabili in sede costituzionale (sentenza predetta); e si intende
come si favorirebbero le pretestuosità e la dilatorietà, ove la
comparizione del contumace potesse interrompere quella discussione o
potesse farla rinnovare. La norma denunciata non esclude, del resto,
l’applicazione dell’art. 468, terzo comma, del codice di procedura
penale, che, a pena di nullità, impone al presidente o al pretore di
dare la parola all’imputato e al difensore alla fine della discussione,
se lo domandano; ed è ovvio che, in tal modo, pur non potendosi
esigere che in quella fase le sue dichiarazioni assumano il contenuto e
la forma di un interrogatorio, il contumace comparso è messo in grado
di esporre i punti essenziali della propria difesa, dei quali il
giudice non può non tener conto nella decisione che è chiamato a
pronunciare.
Inoltre, la proibizione contenuta nelle norme denunciate non
preclude l’interrogatorio nella fase di appello né la presentazione
di prove nuove e l’istanza di rinnovare le prove assunte; il giudice è
financo abilitato a rinnovare in tutto o in parte il dibattimento (art.
50 cod. proc. pen.). In modo che l’unico pregiudizio che il divieto
stesso produce al contumace comparso sta, tutt’al più, nella perdita
della prima fase del primo grado di cognizione; ma ciò accade perché
l’imputato non vi era presente.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
del primo comma dell’art. 501 del codice di procedura penale per
l’inciso “prima che sia cominciata la discussione finale” e dell’ultimo
comma dello stesso articolo, promossa dalla Corte di cassazione con
ordinanza 22 maggio 1968 e dalla Corte d’appello di Caltanissetta con
ordinanza 10 dicembre 1968, in riferimento all’art. 24 della
Costituzione.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della
Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta il 17 giugno 1970.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.