Sentenza N. 111 del 1980
Corte Costituzionale
Data generale
16/07/1980
Data deposito/pubblicazione
16/07/1980
Data dell'udienza in cui è stato assunto
10/07/1980
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott.
MICHELE ROSSANO – Prof. ANTONINO DE STEFANO – Prof. LEOPOLDO ELIA –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI, Giudici,
primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, convertito con modificazioni in
legge 12 agosto 1974, n. 351 (provvedimenti urgenti sulla proroga dei
contratti di locazione e di sublocazione degli immobili urbani),
promosso con ordinanza emessa il 3 gennaio 1976 dal pretore di
Chiavenna, nel procedimento civile vertente tra Fibioli Speranza e
Bianchi Giuseppe, iscritta al n. 293 del registro ordinanze 1976 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 145 del 3
giugno 1976.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 1979 il Giudice relatore
Antonino De Stefano;
udito l’avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Con ordinanza emessa il 3 gennaio 1976, nel procedimento civile
vertente tra Fibioli Speranza e Bianchi Giuseppe, il pretore di
Chiavenna ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’articolo 1 bis, comma
primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236, nel testo inserito dalla legge
di conversione 12 agosto 1974, n. 351.
Si legge nell’ordinanza che il 1 settembre 1970 la Fibioli aveva
preso in affitto un appartamento per il canone mensile di lire 35.000,
comprensivo di spese; appartamento che era stato successivamente
acquistato dal Bianchi, il quale, con decorrenza 1 dicembre 1973, aveva
elevato il canone a lire 43.000, spese escluse. Ricevuta il 7 marzo
1975 l’intimazione a lasciare l’appartamento per finita locazione e per
morosità, sia in relazione ai canoni che alle spese condominiali, la
Fibioli chiedeva che, ai sensi della legge n. 351 del 1974, il canone
venisse rapportato a quello dovuto alla data del 1 gennaio 1971.
Osserva il pretore che “nella fattispecie trattasi di contratto di
locazione di una abitazione in cui il conduttore non dimora
abitualmente (art. 1 u.c. legge 351), stipulato dopo il 1 dicembre 1969
e soggetto pertanto alle disposizioni dell’art. 1 bis legge 351, e
cioè alla riduzione del canone a partire dal 1 ottobre 1974 a quello
originario, aumentato del 10 per cento”; per contro, lo stesso art. 1
bis prevede che nessun aumento sia richiedibile dal locatore che non
abbia già praticato aumenti dal 1 gennaio 1969 in poi. Secondo il
giudice a quo, tale norma comporta una evidente disparità di
trattamento, tanto più ingiusta in quanto viene a premiare il locatore
più esigente che ha preteso continui aumenti, magari violando la
legge, e a danneggiare il locatore che invece ha favorito il
conduttore.
Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocato generale
dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità della
sollevata questione. Una volta che lo stesso giudice a quo ha affermato
che il rapporto di locazione dedotto in giudizio (avente ad oggetto
un’abitazione in cui il conduttore non dimorava abitualmente) rientrava
nella previsione dell’art. 1, ultimo comma, del d.l. n. 236 del 1974,
come modificato dalla legge di conversione n. 351 del 1974, con la
conseguenza che a tale rapporto non erano applicabili né la proroga,
né gli aumenti previsti dai precedenti commi dello stesso art. 1, non
poteva poi il giudice medesimo discettare della incostituzionalità
dell’art. 1 bis, primo comma, dello stesso provvedimento, atteso che il
terzo comma di questo articolo disciplina compiutamente proprio i
contratti di locazione non ricadenti, come quello di specie, nelle
previsioni di cui all’art. 1. La disposizione denunciata, quindi, quale
identificata dal giudice nel primo comma dell’art. 1 bis, sarebbe prima
facie inapplicabile al rapporto controverso. A parte ciò, lo stesso
giudice, nel rimettere la questione alla Corte con ordinanza del 3
gennaio 1976, non avrebbe preso neanche in esame l’eventuale incidenza
della normativa a quella data sopravvenuta con il d.l. 25 giugno 1975,
n. 255, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 1975, n.
363.
All’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato ha ribadito la
richiesta che sia dichiarata inammissibile la proposta questione di
legittimità costituzionale.
1. L’ordinanza del pretore di Chiavenna sottopone alla Corte la
questione se sia costituzionalmente illegittimo, per contrasto con
l’art. 3 della Costituzione, l’art. 1 bis, primo comma, del d.l. 19
giugno 1974, n. 236, nel testo inserito dalla legge di conversione 12
agosto 1974, n. 351, nella parte in cui prevede che nessun aumento di
canone possa essere richiesto dal locatore che non abbia già praticato
aumenti, dovendo l’ammontare del canone corrispondere a quello dovuto
alla data del 1 gennaio 1971; mentre riconosce un aumento contenuto
entro il dieci per cento sul canone dovuto alla data del 1 gennaio
1971, al locatore che avesse già praticato aumenti nello stesso
periodo.
2. L’ordinanza è stata emessa anteriormente all’entrata in vigore
(30 luglio 1978) della legge 27 luglio 1978, n. 392, che ha dettato
nuova disciplina delle locazioni di immobili urbani. Peraltro, la Corte
rileva che, in virtù dell’art. 82 della sopravvenuta legge, ai giudizi
in corso alla data anzidetta continuano ad applicarsi ad ogni effetto
le norme precedenti, come quella denunciata, sulla quale, quindi,
ritiene di portare il suo esame, senza richiedere al giudice a quo
conferma della rilevanza della sollevata questione.
3. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità per
irrilevanza della questione nel giudizio a quo, opposta dall’Avvocatura
dello Stato, la quale assume, come esposto in narrativa, che la
denunciata norma non sia applicabile al caso in concreto da decidere,
trattandosi di abitazione in cui il conduttore non dimorava
abitualmente.
L’eccezione va disattesa. Ben vero che, per effetto dell’ultimo
comma dell’art. 1 del citato d.l. n. 236 del 1974, come modificato
dalla legge di conversione n. 351 del 1974, le disposizioni di cui ai
commi precedenti dello stesso articolo non si applicano alle locazioni
relative ad immobili adibiti ad uso di abitazione, diversi da quelli in
cui il conduttore dimori abitualmente; ma le norme inapplicabili a
siffatte locazioni sono quelle relative alla proroga dei contratti in
corso, ed all’aumento dei canoni per i contratti ininterrottamente
prorogati anteriori al 1 marzo 1947 e per quelli, egualmente prorogati,
stipulati tra il 1 marzo 1947 ed il 1 gennaio 1953. Il successivo art.
1 bis, invece, stabilisce al primo comma, per le locazioni in corso
alla data di entrata in vigore della legge di conversione, in base a
contratti stipulati successivamente al 1 dicembre 1969, la riduzione
del canone all’ammontare dovuto alla data del 1 gennaio 1971; qualora
su tale canone siano stati comunque praticati aumenti, questi ultimi
sono ridotti in misura tale che gli aumenti stessi non risultino
superiori al dieci per cento del canone dovuto alla stessa data del 1
gennaio 1971. Questa norma, a differenza di quelle dettate dal
precedente art. 1, si applica a tutti i contratti di locazione di
immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, e non soltanto a quelli
prorogati: dai lavori preparatori è dato, infatti, desumere che la
mens legis era quella di incidere sui canoni di tutti i contratti
recenti, come primo passo per la progettata applicazione dell’equo
canone. Del resto la Corte, investita di una censura di
incostituzionalità rivolta all’art. 1 ter del d.l. 25 giugno 1975, n.
255, nel testo inserito dalla legge di conversione 31 luglio 1975, n.
363, il cui primo comma mantiene ferme le disposizioni contenute nel
primo comma dell’art. 1 bis ora in esame, ha già ritenuto, con la
sentenza n. 33 del 1980, che esso prevede la possibilità di riduzione
del canone per tutti i conduttori, ivi compresi quelli non beneficiari
della proroga legale.
Ora, nel giudizio a quo, il rapporto controverso non è certo
soggetto alla proroga disposta dal richiamato art. 1, per effetto
dell’ultimo comma dello stesso articolo; ma, essendo sorto a seguito di
contratto stipulato dopo il 1 dicembre 1969 (precisamente il 1
settembre 1970), ed essendo in corso alla data di entrata in vigore
della legge n. 351 del 1974, ricade de plano nella sfera di
applicazione del primo comma del successivo art. 1 bis, che è appunto
la norma denunciata.
Né a ciò osta il successivo terzo comma dello stesso articolo 1
bis, egualmente richiamato a sostegno della tesi del
l’inammissibilità. Ché anzi esso, con il disporre che i canoni delle
locazioni in corso alla data di entrata in vigore della legge di
conversione, relativi ad immobili urbani adibiti ad uso di abitazione
non soggetti alla proroga di cui al precedente art. 1, possono “alla
scadenza del contratto” essere aumentati in misura non superiore al
cinque per cento del canone “determinato a norma dei commi precedenti”,
conferma testualmente l’applicabilità del primo comma dello stesso
art. 1 bis ai contratti non prorogati.
L’Avvocatura dello Stato obietta altresì che il giudice a quo non
avrebbe preso in esame l’eventuale incidenza della normativa
intervenuta alla data di emissione dell’ordinanza (3 gennaio 1976) con
il d.l. 25 giugno 1975, n. 255, convertito con modificazioni in legge
31 luglio 1975, n. 363. Ma a superare tale obiezione vale ricordare
che il primo comma dell’art. 1 ter del richiamato provvedimento
dispone, come dianzi già accennato, che rimangano ferme le
disposizioni contenute nel primo comma dell’art. 1 bis in parola.
4. Esaurito con ciò l’esame delle eccezioni pregiudiziali, e
venendo al merito della questione proposta dal pretore di Chiavenna, la
Corte ritiene che la stessa non sia fondata.
Secondo il giudice a quo la denunciata norma violerebbe il
principio costituzionale dell’eguaglianza, in quanto, avendo come
destinatari i locatori di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione,
a seguito di rapporti instaurati dopo il 1 dicembre 1969,
avvantaggerebbe quelli che comunque avessero aumentato il canone,
consentendo loro di conservare, malgrado la disposta riduzione, una
maggiorazione entro il dieci per cento del canone loro dovuto alla data
del 1 gennaio 1971, mentre danneggerebbe i locatori che non avessero
praticato aumenti, i quali continuerebbero a percepire il canone
nell’ammontare loro dovuto alla su indicata data del 1 gennaio 1971. La
incostituzionalità, ove riconosciuta dalla Corte, comporterebbe la
eliminazione della seconda parte del primo comma dell’art. 1 bis, in
guisa che tutti i locatori, avessero o meno praticato aumenti,
percepirebbero il canone esclusivamente nell’ammontare loro dovuto al 1
gennaio 1971.
Giova in proposito premettere che – come ha affermato la Corte
nella già menzionata sentenza n. 33 del 1980, nei confronti sia dello
stesso art. 1 bis, denunciato sotto diversi profili di
incostituzionalità, che dell’art. 1 ter del d.l. n. 255 del 1975, come
modificato dalla legge di conversione n. 363 del 1975, nonché delle
ulteriori disposizioni di riduzione dei canoni di locazione –
l’introduzione generalizzata di meccanismi di contenimento e riduzione
del canone non è priva di razionalità, “rivelandosi preordinata ad
una obiettiva perequazione e livellamento dei corrispettivi locatizi,
sia come misura congiunturale per resistere alle spinte
inflazionistiche e speculative in atto, sia in vista della
precostituzione di una base omogenea per la successiva (allora già
profilata) istituzione dell’equo canone”.
In siffatta prospettiva non irrazionalmente il legislatore ha
operato con la denunciata norma, tenendo presente il dato dell’ingente
aumento dei canoni di locazione di immobili urbani ad uso abitativo,
verificatosi nell’ambito della maggior parte dei contratti stipulati
successivamente al 1 dicembre 1969, cui non poteva applicarsi il blocco
introdotto dalla legge 26 novembre 1969, n. 833. Sui canoni così
aumentati ha inteso dunque incidere la disposta riduzione, con il
correttivo della consentita maggiorazione fino al dieci per cento;
mentre resta invariata la situazione, quantitativamente circoscritta,
dei canoni non aumentati, restringendosi peraltro il preesistente
divario tra i primi e i secondi.
Torna perciò puntuale il richiamo a quanto già ritenuto dalla
Corte nella sentenza n. 3 del 1976, in ordine ad analoga questione di
costituzionalità concernente il comma secondo dell’art. 1 della legge
6 novembre 1963, n. 1444. La norma veniva in quella sede denunciata
per asserito contrasto con l’art. 3 della Costituzione, appunto nella
parte in cui – attraverso la prevista riduzione autoritativa di canoni
maggiorati in misura eccedente determinate percentuali – veniva in
pratica a legittimare aumenti già apportati o concordati, senza
contemporaneamente consentire i medesimi aumenti per i canoni rimasti
invariati. Ma la Corte escluse la prospettata lesione del precetto di
eguaglianza, osservando che la disposizione impugnata operava in
realtà nei confronti di due distinte categorie di locatori: di quelli,
cioè, che non avevano richiesto aumenti prima dell’entrata in vigore
della legge (così facendo presumere di ritenere i canoni stessi per
loro equi e remunerativi) e di quelli, invece, che avevano apportato
maggiorazioni, ai quali soltanto poteva rivolgersi la prevista
riduzione del canone, razionalmente contenuto in limiti percentuali.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 bis, comma primo, del d.l. 19 giugno 1974, n. 236
(provvedimenti urgenti sulla proroga dei contratti di locazione e di
sublocazione degl’immobili urbani), nel testo inserito dalla legge di
conversione 12 agosto 1974, n. 351, sollevata, in riferimento all’art.
3 della Costituzione, con l’ordinanza del 3 gennaio 1976 del pretore di
Chiavenna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1980.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO
ASTUTI – MICHELE ROSSANO – ANTONINO
DE STEFANO – LEOPOLDO ELIA –
GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE –
BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO
MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO
MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA –
VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere