Sentenza N. 116 del 1981
Corte Costituzionale
Data generale
07/07/1981
Data deposito/pubblicazione
07/07/1981
Data dell'udienza in cui è stato assunto
23/06/1981
GIULIO GIONFRIDA – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Dott. MICHELE ROSSANO –
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO
BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN –
Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO
ANDRIOLI – Prof. GIUSEPPE FERRARI, Giudici,
primo, secondo e terzo, e 14, comma secondo, u.p., della legge Il
agosto 1973, n. 533 (Disciplina delle controversie individuali di
lavoro e delle controversie in materia di previdenza e di assistenza
obbligatorie) promosso con ordinanze emesse il 17 febbraio ed il 6
aprile 1977 dal Tribunale di Roma nei procedimenti civili riuniti
vertenti tra Bruscia Gerolamo ed altro e il Ministero di grazia e
giustizia e nel procedimento civile vertente tra Avezzano Comes
Giuseppe ed altro e il Ministero di grazia e giustizia, rispettivamente
iscritte ai numeri 162 e 447 del registro ordinanze 1977 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 134 e 320 del 1977.
Visti l’atto di costituzione di Bruscia Gerolamo ed altro e gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 febbraio 1981 il Giudice
relatore Guglielmo Roehrssen;
uditi l’avv. Giuseppe Avezzano Comes, per Bruscia Gerolamo ed altro
e l’avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Nel corso dei giudizi civili promossi da alcuni avvocati, per
ottenere che fosse dichiarato il loro diritto al pagamento dei compensi
professionali dal Ministero di grazia e giustizia, in relazione
all’attività esplicata in numerosi processi di lavoro nei quali erano
stati nominati difensori d’ufficio ex art. 13 della legge n. 533 del
1973 e nei quali avevano ottenuto dal pretore la liquidazione di tali
onorari ex art. 14, secondo comma, della legge anzidetta, il Tribunale
di Roma ha sollevato, con ordinanza emessa il 17 febbraio 1977,
questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 24
della Costituzione, degli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14,
secondo comma, ultima parte, della legge 11 agosto 1973, n. 533.
Nell’ordinanza si osserva che con sentenza non definitiva di pari
data era stato affermato che il provvedimento di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato previsto nell’art. 13 della legge n. 533
del 1973, pur essendo un atto oggettivamente amministrativo è, da un
punto di vista soggettivo, atto giurisdizionale, in quanto emesso da un
giudice, mentre invece il provvedimento di nomina del difensore
d’ufficio e quello di liquidazione del compenso, sono atti
soggettivamente ed oggettivamente giurisdizionali. La liquidazione del
compenso, in particolare, contenuta nella sentenza che conclude il
giudizio nel quale il difensore d’ufficio abbia prestato la sua opera,
è destinata a fare stato nei confronti dell’Amministrazione della
giustizia che dovrà procedere al relativo pagamento, pur restando
questa estranea a tutta la procedura di ammissione al gratuito
patrocinio, di nomina del difensore e di liquidazione del compenso.
Ne deriva – secondo l’ordinanza – che le norme sull’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato contenute nella legge n. 533 del 1973,
prevedono una procedura che si conclude con provvedimenti
giurisdizionali che incidono sul patrimonio di un terzo (lo Stato) e
fanno stato nei suoi confronti, senza che abbia alcuna possibilità di
difesa o di gravame, in violazione all’art. 24 della Costituzione e con
la possibilità di frodi e danni per l’Amministrazione dello Stato, a
seguito di accaparramento di cause prive di fondamento, tanto più che
l’ammesso al gratuito patrocinio ha diritto di scegliersi il difensore.
Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che
ove venisse dichiarata l’illegittimità costituzionale di una delle
norme impugnate “potrebbe venire meno, in tutto o in parte, il diritto
degli attori di pretendere le somme di cui in citazione sulla base
della causa petendi da loro prospettata”.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito dinanzi a questa
Corte esponendo che l’Amministrazione aveva già sostenuto nei giudizi
a quibus l’inopponibilità ad essa di sentenze emesse in processi
svoltisi tra altre parti ed assumendo che i crediti ex art. 14 della
legge n. 533 dovevano essere, pur dopo la liquidazione da parte del
pretore, accertati e verificati con decreto dell’Intendente di finanza,
previa prenotazione a debito. Ha sostenuto quindi che la liquidazione
ex art. 14 della legge n. 533 non può essere ritenuta una pronuncia
coperta da giudicato nei confronti dell’Amministrazione dello Stato e
come “titolo di spesa” impegnativo per il bilancio statale e che, sulla
base di tale interpretazione, la questione deve essere dichiarata non
fondata.
Davanti a questa Corte si sono costituite pure le parti private
chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Esse hanno
dedotto che l’atto di ammissione al gratuito patrocinio non è un atto
di soluzione di una lite, che richieda il contraddittorio con lo Stato,
ma pur essendo atto “formalmente e funzionalmente giurisdizionale” è
un atto che accerta l’esistenza dei requisiti per godere di un pubblico
servizio (il gratuito patrocinio), emanato dal giudice quale “portatore
degli interessi generali e degli interessi dello Stato-amministrazione
rispetto alla richiesta del cittadino”. L’esigenza di evitare
possibili frodi sarebbe assicurata dal potere concesso all’Intendente
di finanza dall’art. 11 della legge n. 533 di chiedere, nel corso della
causa, la revoca del provvedimento di ammissione al gratuito
patrocinio.
Identica questione è stata proposta pure con altra ordinanza del 6
aprile 1977 dello stesso Tribunale di Roma e nel relativo giudizio si
è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri svolgendo difese
e conclusioni uguali a quelle sopra riportate.
1. – Le ordinanze indicate in epigrafe sollevano entrambe questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 13, primo, secondo e terzo
comma, e 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973, n. 533 (recante
“Disciplina delle controversie individuali di lavoro e delle
controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie”),
in riferimento all’art. 24 della Costituzione, sicché, avendo lo
stesso oggetto, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con
unica sentenza.
2. – La Corte è chiamata a decidere se gli artt. 13, primo,
secondo e terzo comma, e 14, secondo comma, della legge 11 agosto 1973,
n. 533, siano in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, prevedendo
l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, la nomina del
difensore d’ufficio e la liquidazione del relativo compenso, con
provvedimenti giurisdizionali che fanno stato nei confronti della
pubblica Amministrazione senza che questa abbia partecipato al
procedimento nei quali furono emessi e senza che abbia alcuna
possibilità di difesa o di gravame.
3. – La questione non è fondata.
Ad avviso della Corte occorre prendere le mosse dall’esame del
contenuto della legge n. 533 del 1973, nella parte che qui interessa.
Questa legge, nel dettare la nuova disciplina processuale delle
controversie di lavoro e previdenziali, anticipando in parte la più
generale normativa sul patrocinio statale per i non abbienti (Senato
della Repubblica, VI legislatura, disegno di legge n. 453) ha per ora
introdotto questa forma di patrocinio per le controversie indicate e,
come risulta dai lavori preparatori, nell’organizzare il relativo
servizio ha voluto seguire criteri di particolare semplicità e
rapidità.
In omaggio a questi criteri, il legislatore ha abbandonato il
sistema già seguito dal R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, in tema di
gratuito patrocinio (preveduto anche dal suddetto progetto sul
patrocinio statale per i non abbienti), consistente nell’affidare i
relativi compiti ad appositi organi amministrativi ed ha ritenuto,
invece, opportuno inserire la procedura predetta nel seno del
procedimento giurisdizionale in ordine al quale deve svolgersi l’opera
defensionale.
Perciò la legge ha affidato al giudice dinanzi al quale si svolge
il giudizio la attività all’uopo necessaria, che si concreta
essenzialmente nella ammissione al beneficio, previo accertamento della
esistenza delle condizioni sostanziali per la concessione del beneficio
medesimo (art. 13, secondo comma), nella scelta del difensore (art. 13,
terzo comma) e, infine, nella liquidazione dei diritti, delle
competenze e degli onorari spettanti al difensore (art. 14, secondo
comma).
Da tutta questa attività, come appare evidente, rimane estraniata
l’Amministrazione dello Stato, ai cui organi sono affidati, dalla legge
in esame, due soli compiti.
Il primo (art. 11, settimo comma) consiste nella facoltà accordata
all’Intendente di finanza di prospettare al giudice, in qualsiasi stato
della causa, gli elementi di cui egli sia in possesso in ordine alla
esistenza ed alla persistenza dei requisiti di legge per l’ammissione
al beneficio, chiedendo la revoca del relativo provvedimento: questo
intervento (sebbene definito ricorso) si concreta in una forma di
collaborazione, la quale, mentre ha lo scopo di fornire al giudice
tutti gli elementi del caso e di conseguire la più esatta osservanza
della legge, non intacca i poteri del giudice, al quale soltanto spetta
di adottare le decisioni definitive in argomento (art. 11, settimo
comma, cit.).
Il secondo compito, a sua volta, di carattere meramente esecutivo,
è successivo e conseguenziale al provvedimento del giudice e consiste
nel provvedere al pagamento della spesa liquidata dal giudice a norma
dell’art. 14 nonché alla prenotazione a debito per la eventualità
della ripetizione degli onorari a norma dello stesso art. 14, primo
comma. È appena il caso di avvertire che quest’ultimo compito non
poteva essere affidato al giudice, il quale non amministra i capitoli
del bilancio della spesa: di conseguenza l’art. 14 ha posto la regola
che il giudice fissa l’ammontare del credito del difensore ed i
competenti organi amministrativi provvedono alla esecuzione, la quale,
contrariamente a quanto rileva l’Avvocatura generale dello Stato, non
consente alcun sindacato sul contenuto del provvedimento del giudice
competente.
In questo contesto e se questa è l’organizzazione del servizio
adottata dal legislatore in base ad una scelta discrezionale, le
censure mosse dai giudici a quibus alla normativa esaminata, in quanto
non consentirebbe alla Amministrazione dello Stato di intervenire nel
procedimento e di impugnare i provvedimenti del giudice non hanno
pregio: a parte che una qualche forma di intervento è preveduta
dall’art. 11, penultimo comma, le censure stesse poggiano, infatti, su
una pretesa contrapposizione fra il giudice e l’Amministrazione statale
che invece non trova alcun riscontro nel sistema della legge n. 533, la
quale, come si è visto, ha ritenuto più congruo ed opportuno affidare
la applicazione delle norme in questione non alla Amministrazione
attiva, ma al giudice, il quale agisce in luogo della medesima.
Né si possono condividere le considerazioni svolte dall’Avvocatura
dello Stato circa la possibilità che si verifichino frodi nella scelta
dei difensori, trattandosi, se mai, di meri inconvenienti che, d’altro
canto, non potrebbero essere eliminati da una qualsiasi ingerenza di
Organi amministrativi.
Tutto ciò posto, è da escludere che si possa ravvisare nel
sistema riferito una violazione dell’art. 24 della Costituzione a danno
dell’Amministrazione dello Stato.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 13, primo, secondo e terzo comma, e 14, secondo comma,
della legge 11 agosto 1973, n. 533 (recante “Disciplina delle
controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di
previdenza e di assistenza obbligatorie”), sollevata in riferimento
all’art. 24 della Costituzione con le ordinanze del Tribunale di Roma
di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 giugno 1981.
F.to: LEONETTO AMADEI – GIULIO
GIONFRIDA – EDOARDO VOLTERRA –
MICHELE ROSSANO – GUGLIELMO ROEHRSSEN
– ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO
PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO
LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI –
GIUSEPPE FERRARI.
GIOVANNI VITALE – Cancelliere