Sentenza N. 117 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
08/07/1969
Data deposito/pubblicazione
08/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
30/06/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA –
Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott.
NICOLA REALE, Giudici,
della legge 2 agosto 1897, n. 382, contenente provvedimenti per la
Sardegna, promosso con ordinanza emessa il 1 febbraio 1968 dal pretore
di Sassari nel procedimento penale a carico di Pirastru Antonio Maria
Giorgio, iscritta al n. 48 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 dell’11 maggio 1968.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
udita nell’udienza pubblica del 21 maggio 1969 la relazione del
Giudice Giovanni Battista Benedetti;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con verbale del 5 luglio 1966 i carabinieri di Nulvi elevavano a
carico di Pirastru Antonio Maria Giorgio la contravvenzione prevista e
punita dagli artt. 10 e 15 del regio decreto 14 luglio 1898, n. 404,
che approva il regolamento per la repressione dell’abigeato e del
pascolo abusivo in Sardegna, per aver omesso di esibire agli agenti
della forza pubblica, che ne avevano fatto richiesta, i bollettini
relativi ad alcuni capi di bestiame ovino e bovino da lui condotti al
pascolo. Con sentenza istruttoria del 7 giugno 1967 il pretore di
Sassari dichiarava non doversi procedere contro il Pirastru in ordine
alla contravvenzione contestata ritenendo che il fatto non costituisse
reato. E ciò in quanto il citato regolamento è da considerarsi atto
amministrativo illegittimo nella parte in cui (art. 15) prevede la
sanzione di cui all’art. 434 del Codice penale (Zanardelli) per la
violazione di norme create dallo stesso regolamento; l’art. 3, n. 3,
della legge di delega 2 agosto 1897, n. 382, invero, non prevedeva la
sanzione di cui all’art. 434, ma solo le pene indicate dagli articoli
424 e 426 dello stesso Codice, si che il Governo aveva ecceduto dai
limiti della delega conferitagli.
Contro tale sentenza proponeva appello il procuratore della
Repubblica presso il tribunale di Sassari sostenendo, per contro, la
piena legittimità del regolamento.
Con sentenza del 17 agosto 1967 il giudice istruttore, in
accoglimento dell’appello, annullava la sentenza ordinando la
restituzione degli atti allo stesso pretore per l’ulteriore corso del
procedimento a carico dell’imputato.
Con ordinanza 1 febbraio 1968, pronunciata in udienza, il pretore –
in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla difesa dell’imputato –
ha proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, n. 3,
della legge delegante del 1897 in riferimento all’art. 25, comma
secondo, della Costituzione osservando, in punto di rilevanza della
proposta questione, che l’applicabilità del regolamento esecutivo di
cui al regio decreto n. 404 del 1898 dipende dalla legittimità
costituzionale della legge autorizzativa. Rileva poi l’ordinanza che la
norma impugnata sarebbe in contrasto col precetto costituzionale che
riserva esclusivamente al legislatore l’esercizio della potestà
punitiva sia perché attribuì all’esecutivo un potere discrezionale in
materia penale delegandogli la facoltà di emanare con regolamenti
precetti penalmente sanzionati senza dettare alcun criterio al quale
l’esecutivo dovesse attenersi in ordine alla specificazione dei singoli
elementi della fattispecie di reato che avrebbero dovuto essere
configurate; sia perché conferì al Governo la facoltà di emanare
regolamenti che prevedessero illeciti configurabili come delitti e come
contravvenzioni, ma nel far ciò, lasciò arbitro il Governo, per
quanto attiene ai delitti, di scegliere discrezionalmente tra le pene
previste dall’art. 424 e quelle contemplate dall’art. 426 del Codice
Zanardelli, mentre, per quanto riguarda le contravvenzioni, non fissò
alcun criterio, neppure di massima, che delimitasse il potere del
Governo in ordine alla determinazione della misura della pena.
L’ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 120 dell’11
maggio 1968.
Nel presente giudizio la parte privata non si è costituita. È,
invece, intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con
deposito di atto di intervento in cancelleria in data 23 marzo 1968.
Osserva l’Avvocatura, che le disposizioni di cui al regolamento del
1898 non hanno l’asserita natura esecutiva, ma appartengono alla
cosiddetta categoria dei regolamenti delegati, cui era riconosciuta,
prima della riforma costituzionale repubblicana, l’intrinseca
potenzialità di innovare le norme fissate con disposizioni primarie.
In base all’ordinamento costituzionale del tempo in cui fu emanato il
regolamento in esame deve quindi, ritenersi atto avente forza di legge
e conseguentemente, ove la Corte ne fosse stata investita, avrebbe
potuto occuparsi dell’esame di costituzionalità delle sue norme.
Riguardo all’imputazione contestata al Pirastru – omessa esibizione
agli agenti della forza pubblica della ricevuta o dei bollettini
relativi al bestiame (art. 10) – l’Avvocatura nota che trattasi di
ipotesi contravvenzionale, consistente nell’inosservanza di un
provvedimento legalmente dato dall’autorità competente per ragioni di
pubblica sicurezza, già prevista dall’art. 434 del Codice del tempo.
Anche prescindendo dalla delega contenuta nell’art. 3, n. 3, della
legge n. 382 del 1897, l’ipotesi contravvenzionale contestata si
sarebbe potuta ravvisare in ogni caso, in base alla semplice
sussistenza del precetto dell’art. 10 del regolamento, precetto la cui
formulazione appariva indipendente da qualsiasi attribuzione di
facoltà da parte del legislatore al Governo.
Passando poi all’esame della questione di costituzionalità nei
termini proposti dal giudice a quo, l’Avvocatura osserva che trattasi
di questione che va riguardata dall’angolo visuale dell’ordinamento del
tempo in cui fu emanata la legge delegante.
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione, pur essendo
affidata al legislativo, come facoltà originaria, la potestà di
stabilire reati e pene, si poteva con i cosiddetti regolamenti delegati
attribuire all’esecutivo la competenza permanente di regolare una data
materia con norme prevalenti alle leggi di emanazione parlamentare. Nel
caso di specie il legislatore confermando al Governo la potestà di
creare norme giuridiche ne ha limitato però la sanzione entro certe
pene poste a disposizione dall’esecutivo e quindi a maggior ragione
deve riconoscersi la legittimità della norma impugnata.
Conclude, pertanto, l’Avvocatura chiedendo che la Corte voglia
dichiarare infondata la proposta questione.
1. – Con l’ordinanza in epigrafe viene sollevata, in riferimento
all’art. 25, comma secondo, della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 3, n. 3, della legge 2 agosto
1897, n. 382, portante provvedimenti per la Sardegna, con il quale fu
“data facoltà al Governo di provvedere con speciali regolamenti alla
repressione dell’abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggiamenti
alle private proprietà, con facoltà di comminare sia la confisca
degli animali trovati in contravvenzione, come le pene stabilite dagli
artt. 424 e 426 del Codice penale”. Secondo il giudice a quo la norma
impugnata avrebbe violato il principio della riserva di legge in
materia penale per aver lasciato all’esecutivo larghi poteri, sia in
ordine alla configurazione dei singoli reati, sia in ordine alla scelta
e determinazione delle pene che avrebbero dovuto essere comminate per
le trasgressioni delle norme regolamentari emanande. E in conseguenza
di ciò, il Governo, con il regolamento approvato con il regio decreto
14 luglio 1898, n. 404, poté arbitrariamente scegliere, per quanto
attiene ai delitti, tra le sanzioni previste dagli artt. 424 e 426 del
codice del 1889 e far ricorso, per ipotesi di reati contravvenzionali,
alla pena stabilita dall’art. 434 non citato nella legge di
autorizzazione. In punto di rilevanza dell’indicata questione il
pretore di Sassari osserva che nel giudizio dinanzi ad esso pendente
deve stabilirsi se l’imputato debba o meno rispondere della
contravvenzione prevista e punita dagli artt. 10 e 15 del regolamento
del 1898, emanato in forza della ripetuta delega, e pertanto
l’applicabilità di dette norme dipende dalla legittimità
costituzionale della legge autorizzativa.
2. – La questione sottoposta all’esame della Corte è analoga a
quella decisa con sentenza n. 73 del 1968 sicché i motivi esposti in
quella occasione valgono a risolvere puntualmente l’attuale giudizio.
Anche nel presente caso sia la legge impugnata, sia il regolamento
che da essa ha tratto origine sono stati emanati in epoca anteriore
all’entrata in vigore della vigente Carta costituzionale, e la
questione non verte sul punto se la norma denunciata, in quanto
attribuisce all’esecutivo un potere normativo in materia penale, abbia
o non violato il sistema di competenze previsto dall’ordinamento
costituzionale del tempo, ma se possa o meno considerarsi conforme al
precetto della riserva di legge sancito dalla nuova Costituzione.
Nei termini indicati, e in relazione allo scopo per il quale figura
proposta, la questione è manifestamente irrilevante. Quand’anche la
Corte ritenesse che la norma autorizzante contenuta nella legge n. 382
del 1897, avuto riguardo alla ampiezza dei poteri conferiti
all’esecutivo, sia in contrasto con l’art. 25, secondo comma, della
Costituzione, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale non
produrrebbe quegli effetti in considerazione dei quali la questione è
stata proposta.
Si tratterebbe invero d’illegittimità sopravvenuta e per
conseguenza la pronuncia d’incostituzionalità non potrebbe avere
alcuna incidenza sulla validità o legittimità di atti che siano stati
emanati – e tale è il caso del regolamento n. 404 del 1898 –
nell’esercizio del potere conferito alla norma autorizzante in epoca
anteriore all’entrata in vigore della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, “portante
provvedimenti per la Sardegna” sollevata dal pretore di Sassari con
ordinanza 10 febbraio 1968, in riferimento all’art. 25, comma secondo,
della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ERCOLE ROCCHETTI – ENZO
CAPALOZZA – VTNCENZO MICHELE
TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE.