Sentenza N. 12 del 1965
Corte Costituzionale
Data generale
12/03/1965
Data deposito/pubblicazione
12/03/1965
Data dell'udienza in cui è stato assunto
04/03/1965
ANTONINO PAPALDO – Prof. NICOLA JAEGER – Prof. GIOVANNI CASSANDRO –
Prof. BIAGIO PETROCELLI – Dott. ANTONIO MANCA – Prof. ALDO SANDULLI –
Prof. GIUSEPPE BRANCA – Prof. MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO
MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott.
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO,
Giudici,
comma, del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (T.U. delle norme concernenti
la disciplina della circolazione stradale), promosso con ordinanza
emessa il 21 dicembre 1963 dal Pretore di Nardò nel procedimento
penale a carico di Camisa Cosimo, iscritta al n. 10 del Registro
ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
n. 47 del 22 febbraio 1964.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri:
udita nell’udienza pubblica del 5 novembre 1964 la relazione del
Giudice Antonino Papaldo;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti,
per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Con ordinanza 21 dicembre 1963, emessa dal Pretore di Nardò nel
procedimento penale a carico di Cosimo Camisa, è stata sollevata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, del
T.U. delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale
15 giugno 1959, n. 393; ordinanza notificata all’imputato e al
Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti dei
due rami del Parlamento, rispettivamente, il 4 e 14 gennaio 1964 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il 22 del mese
successivo.
Il Pretore ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità relativa alla norma predetta, in base alla
quale il Prefetto, per motivi di sicurezza pubblica, per esigenze di
carattere militare o per motivi di pubblico interesse, conformemente
alle direttive del Ministero per i lavori pubblici, può sospendere
temporaneamente la circolazione di tutte o di alcune categorie di
utenti sulle strade, fuori dei centri abitati.
Nella norma denunziata vengono riscontrate due carenze, che
sarebbero causa di illegittimità costituzionale della norma stessa:
questa non prescrive in modo espresso ed univoco per i provvedimenti
prefettizi né l’obbligo della motivazione né quello della pubblicità
idonea perché l’utente della strada interessato possa rispettarli e
difendersi adeguatamente.
Premesso che tali carenze non potrebbero provocare una
dichiarazione di illegittimità del provvedimento prefettizio perché
esistenti nella legge, l’ordinanza richiama le decisioni di questa
Corte in ordine alla legittimità dell’art. 2 della legge di pubblica
sicurezza.
Ed alla stregua dei principi che, secondo il Pretore, furono
enunciati in dette sentenze, l’ordinanza rileva che l’omessa
prescrizione da parte del legislatore dell’obbligo di adeguata
motivazione e di efficace e precisa pubblicità fa apparire non
manifestamente infondato il contrasto della norma denunziata con i
principi generali dell’ordinamento giuridico, con quelli del sistema
costituzionale italiano e più particolarmente con i seguenti articoli
della Costituzione:
1) art. 3. Sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza la
norma in base a cui può essere emanato un provvedimento prefettizio
che imponga il divieto di circolazione ad una determinata categoria di
utenti della strada in base a motivi generici i quali non consentano di
apprezzare la concreta, specifica ragione che ha determinato il
provvedimento;
2) art. 16. Questa norma, che tutela la libertà di circolazione su
qualsiasi parte del territorio nazionale salvo le limitazioni che la
legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza,
sarebbe violata da una legge che attribuisce il potere all’autorità
amministrativa di imporre divieti di circolazione senza delimitare, con
il mezzo di una adeguata motivazione e di una efficace pubblicità, la
discrezionalità dell’organo cui il potere è stato attribuito;
3) art. 24. Il diritto di difesa sarebbe palesemente pregiudicato
dalle carenze di cui sopra;
4) art. 25, secondo comma. La violazione di questa norma
deriverebbe dal fatto che, trattandosi di norma incriminatrice il cui
precetto è costituito in definitiva da un provvedimento prefettizio
recepito dalla norma stessa, il mancato obbligo di una pubblicità che
offra analoghe idonee garanzie di quelle stabilite per la legge in
senso proprio mette il cittadino in condizione di essere punito non in
base ad una legge entrata in vigore prima del fatto commesso.
In questa sede la parte privata non si è costituita. È
intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale nelle sue
deduzioni, depositate il 5 marzo 1964, sostiene che le censure mosse
dal Pretore di Nardò sarebbero infondate.
1) Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale,
il principio di eguaglianza sarebbe violato solo quando la norma, di
cui si assume la illegittimità, fosse stata emanata in odio a singole
persone, e non quando riguardasse categorie di cittadini ed in vista di
peculiari situazioni, che meritano una disciplina particolare.
2) L’art. 16 della Costituzione nel sancire per ogni cittadino la
libertà di circolare in qualsiasi parte del territorio nazionale,
salve le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi
di sanità e di sicurezza, si riferirebbe a limitazioni di ordine
generale, ad impedimenti cioè che riguardano tutti i cittadini,
indipendentemente dal tramite attraverso il quale la circolazione è
posta in essere. La norma in esame si riferisce, invece, ad un certo
tramite della circolazione, e, cioè, alle strade. Ora, se al cittadino
è impedito di circolare su certe strade, nulla vieta al medesimo di
raggiungere gli stessi risultati di circolazione servendosi di altri
tramiti, spostandosi dall’una all’altra località con altri mezzi.
Si sarebbe dunque fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 16
della Costituzione, onde non vale considerare se il Pretore abbia
esattamente identificato il tipo di riserva previsto dalla norma e, in
caso affermativo, se risulti o meno che il legislatore ordinario abbia
dettato congrui criteri al Prefetto ai fini dell’emanazione
dell’ordinanza.
3) Quanto al contrasto con l’art. 24 della Costituzione,
l’Avvocatura deduce che, a prescindere dal non puntuale richiamo della
citata norma costituzionale, l’obbligo della motivazione degli atti
amministrativi è deducibile dai principi generali dell’ordinamento
giuridico, per il quale ogni atto, che non sia discrezionale in senso
assoluto, deve essere congruamente motivato.
Per quanto riguarda l’obbligo di conveniente pubblicazione, due
sono i rilievi che la difesa della Stato muove alla tesi del Pretore.
In primo luogo si dubita dell’esattezza dell’affermazione secondo
cui tale obbligo non sarebbe previsto dalla legislazione in materia di
circolazione, l’Avvocatura sostiene che, stando all’esatto testo
dell’art. 2 del regolamento di esecuzione approvato con D.P.R. 30
giugno 1959, n. 420, quale risulta pubblicato nella Gazzetta Ufficiale,
tutte le ordinanze, da chiunque provengano, e quindi anche quelle del
Prefetto, debbono essere portate a conoscenza degli interessati
dall’Ente proprietario della strada a cui l’ordinanza si riferisce.
In secondo luogo si rileva che l’obbligo di conveniente pubblicità
dei provvedimenti è inerente ai principi. Se un’ordinanza di quel tipo
non sia adeguatamente resa pubblica, non può certo affermarsi che
sussista l’obbligo di osservarla da parte di chi non la conosce, in
quanto non gli è stato dato di conoscerla.
4) Sarebbe infondata anche l’ultima questione. Non si può
equiparare la pubblicità del provvedimento prefettizio alla
pubblicazione della legge penale. Ma, a parte l’esattezza
dell’equiparazione, il Pretore non avrebbe considerato che
l’ordinamento giuridico penale offre gli strumenti per la soluzione del
caso sottoposto al suo giudizio.
L’Avvocatura rileva che l’insussistenza di aspetti dell’elemento
soggettivo del reato determina conseguenze a tutti note, senza che
occorra risalire ad inesistenti violazioni di norme costituzionali.
1. – Dopo aver constatato che l’art. 3, primo comma, del T.U. 15
giugno 1959, n. 393, delle norme sulla disciplina della circolazione
stradale (cosiddetto Codice della strada) omette la prescrizione
dell’obbligo di adeguata motivazione e di efficace e precisa
pubblicità dei provvedimenti prefettizi in tema di circolazione
stradale, il Pretore rileva che questo difetto renderebbe illegittima
la norma per contrasto con i principi generali dell’ordinamento
giuridico, con quelli del sistema costituzionale italiano e più
particolarmente con gli artt. 3, 16, 24 e 25, secondo comma, della
Costituzione.
Per quanto si riferisce alla generica censura di contrasto con i
principi generali dell’ordinamento giuridico e con quelli del sistema
costituzionale italiano, la Corte, mancando il richiamo delle norme
costituzionali che sarebbero state violate, ritiene che si possa
ricercare nel contesto dell’ordinanza il concreto significato della
proposta censura.
Per questa indagine, l’unico punto di riferimento è il richiamo
che fa il Pretore ai principi enunciati dalla Corte nelle due sentenze
del 20 giugno 1956, n. 8, e 23 maggio 1961, n. 26, sulla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge di pubblica
sicurezza.
Pur senza mettere in rilievo le notevoli differenze tra le
ordinanze previste dalla norma or citata della legge di pubblica
sicurezza e quelle previste dalla disposizione qui denunziata, le une
attinenti ad una larghissima sfera di potere e le altre relative ad un
campo ben delimitato, è da precisare che le questioni decise con
quelle due sentenze e la questione ora in esame non muovono dallo
stesso punto di partenza, giacché nelle questioni sull’art. 2 della
legge di pubblica sicurezza si deduceva l’illegittimità della
disposizione che conferiva quei poteri al Prefetto per contrasto con
varie norme della Costituzione, e fondamentalmente con quelle contenute
negli artt. 70, 76 e 77, mentre nella questione ora proposta il Pretore
non contesta la legittimità della norma denunziata in relazione ai
poteri del Parlamento anzi, sotto questo aspetto, presuppone tale
legittimità.
Il punto comune tra quelle questioni e l’attuale si trova nella
denunzia di contrasto delle norme impugnate con i principi
dell’ordinamento giuridico e del sistema costituzionale italiano.
Nell’ordinanza di rimessione sembra che si voglia affermare che
questa Corte nella sua prima decisione concernente l’art. 2 della legge
di pubblica sicurezza avrebbe dichiarato che l’obbligo di motivazione e
di pubblicazione delle ordinanze discenda dai principi dell’ordinamento
giuridico. Ora, è da rilevare che in quella sentenza si auspicò che i
canoni che il legislatore avrebbe dovuto tenere presenti ai fini di
rendere il testo legislativo “formalmente più adeguato al carattere
dei poteri attribuiti al Prefetto” erano i seguenti: “… adeguata
motivazione; efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento
non abbia carattere individuale; comformità del provvedimento stesso
ai principi dell’ordinamento giuridico”. Ma la carenza della
enunciazione dell’obbligo di motivazione e di pubblicazione non fu
ritenuta dalla Corte come fonte di illegittimità costituzionale; tanto
vero che la norma non venne allora dichiarata illegittima.
La seconda sentenza pervenne alla dichiarazione di illegittimità
per aver rilevato che il testo dell’art. 2, secondo una interpretazione
che era nel frattempo prevalsa nella pratica amministrativa e
giudiziaria, non poneva adeguate remore all’arbitrio dell’organo
amministrativo;
Nella motivazione si chiariva che l’illegittimità dell’art. 2
sussiste soltanto nei limiti in cui esso attribuisce ai Prefetti il
potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi
dell’ordinamento giuridico, “intesa questa espressione nei sensi sopra
indicati”: ossia nei sensi che l’applicazione della norma sia tale da
violare i diritti dei cittadini e da menomare la tutela
giurisdizionale.
Dal richiamo fatto dal Pretore alle due decisioni sull’art. 2
della legge di pubblica sicurezza si può trarre un solo elemento di
concretezza circa il significato della generica censura di contrasto
con i principi generali dell’ordinamento giuridico e del sistema
costituzionale; ed è questo: la norma denunziata sarebbe illegittima
perché, nell’attribuire un potere di ordinanza senza enunciare
espressamente l’obbligo di motivazione e di pubblicità, non
delimiterebbe a sufficienza la sfera di discrezionalità del Prefetto.
2. – Che la norma denunziata non enunci espressamente un obbligo di
motivazione del provvedimento prefettizio, è fuori discussione.
Tale omissione, tuttavia, non ha conseguenza ai fini della
questione di legittimità costituzionale proposta in questa sede.
Anche se, nella perdurante mancanza di una legge generale sul
procedimento amministrativo, non è facile trovare una disposizione
espressa che sancisca se ed in quali casi sussista l’obbligo di
motivazione, è da ritenere che, sulla base di principi che si possono
considerare come ormai saldamente acquisiti, l’atto amministrativo che
apporta limitazioni ai diritti deve essere sempre congruamente
motivato.
E poiché è fuori dubbio che le ordinanze di cui trattasi,
limitando il diritto di circolazione sopra una strada pubblica, devono
congruamente esporne le ragioni, anche per richiamare le direttive del
Ministro per i lavori pubblici alle quali il Prefetto è tenuto a
conformarsi, la mancata enunciazione dell’obbligo di motivazione non ha
l’effetto di rendere illimitata o non facilmente controllabile la sfera
di discrezionalità dell’organo amministrativo, in quanto l’obbligo
sussiste ugualmente anche nel silenzio della legge.
La mancata indicazione dell’obbligo di motivazione non è nemmeno
causa di constrasto con le norme costituzionali specificamente invocate
nell’ordinanza.
Non sussiste contrasto con il principio di eguaglianza sancito
nell’art. 3.
È da premettere che i divieti che il Prefetto può stabilire
devono essere giustificati da contingenti esigenze inerenti al buon uso
della strada, alla incolumità degli utenti, ad altre ragioni di
pubblico interesse, e non dovranno mai, quei divieti, essere
preordinati ad ingiustificati vantaggi o svantaggi di singoli o di
gruppi.
Se un’ordinanza in materia di circolazione stradale fosse
preordinata non a regolare l’uso della strada per legittimi scopi di
pubblico interesse, ma a rendere impossibile o ad ostacolare il libero
movimento di singoli o di gruppi o ad agevolare il movimento di altri,
a scopo di persecuzione o di favoritismo, il provvedimento sarebbe
illegittimo; ma l’illegittimità non risiederebbe nella norma che ha
conferito il potere, bensì nell’atto amministrativo che, violando la
norma, ne abbia travisato gli scopi per servirsene come strumento per
la violazione dei diritti.
Ora, poiché il campo esclusivo di applicazione della norma è
quello (per indicarlo con una espressione sintetica) del buon uso della
strada, l’accertamento della legittimità dell’ordinanza prefettizia
può essere compiuto su basi oggettive, essendo agevolmente
controllabili, anche alla stregua delle direttive ministeriali, i fini
per i quali l’ordinanza era stata preordinata ed i mezzi predisposti
per raggiungerli.
Per le stesse considerazioni è da ritenersi infondata la questione
riguardante la violazione dell’art. 16 della Costituzione.
Occorre, però, precisare che con le ordinanze in questione i
diritti di libertà garantiti con l’art. 16 potrebbero essere violati
solo di riflesso.
L’art. 16 attiene ai diritti della persona umana, la cui libertà
di movimento non può essere limitata se non nei casi e con le garanzie
assicurate dalla detta norma.
L’uso delle strade, come l’uso di altri beni pubblici, può essere
regolato anche sulla base di esigenze che, sebbene trascendano il campo
della sicurezza e della sanità, attengano al buon regime della cosa
pubblica, alla sua conservazione, alla disciplina che gli utenti
debbono osservare, alle eventuali prestazioni che essi sono tenuti a
compiere e così via. E pertanto le ordinanze in questione, quando
limitano la circolazione per realizzare il buon uso della strada, non
sono in contrasto con l’art. 16, anche se la limitazione sia imposta
per ragioni non attinenti alla sicurezza ed alla sanità. Come si è
accennato, i diritti garantiti dall’art. 16 potrebbero essere violati
solo di riflesso, quando, prendendo a pretesto il raggiungimento di
scopi riguardanti il buon uso della strada, l’ordinanza tendesse a
raggiungere scopi non previsti dalla norma, anzi contrastanti con essa
o con altre norme di grado ancora più elevato.
Quindi, anche rispetto all’art. 16, è da dirsi ciò che si è
osservato in riferimento all’art. 3: non è illegittima la norma che
attribuisce il potere, anche se eventualmente può essere illegittimo
l’atto amministrativo con cui il potere sarà esercitato.
Ugualmente infondata è la questione nei riguardi dell’art. 24
della Costituzione.
Questa norma assicura il diritto di difesa nei procedimenti
giurisdizionali. Ora, la norma impugnata non è tale da importare
alcuna menomazione di tale diritto. In giudizio dovrà essere
certamente esibita l’ordinanza, della cui inosservanza si discute ed il
giudice dovrà previamente accertarne la legittimità, mentre
l’interessato avrà tutte le possibilità di giustificare il proprio
comportamento. Si aggiunga che, poiché la motivazione deve ritenersi
d’obbligo anche nel silenzio della legge, la mancanza o la
insufficienza della motivazione può essere causa, solo per ciò, di
illegittimità dell’ordinanza e può pertanto determinarne la
disapplicazione da parte del giudice. Se, poi, l’ordinanza sarà, come
deve essere, congruamente motivata, l’interessato troverà in essa gli
elementi in base ai quali potrà predisporre la sua difesa.
Non è fondata la questione relativa alla violazione dell’art. 25,
secondo comma, a causa della dedotta omissione circa l’obbligo di
motivazione. Un atto entra in vigore in dipendenza di determinati
adempimenti formali, che nulla hanno a che vedere col fatto che l’atto
abbia questo o quel contenuto, questa o quella forma o che, in
particolare, l’atto sia o non sia motivato.
La carenza dell’obbligo di motivazione non offre, dunque, alcuna
ragione di contrasto con l’art. 25, a parte se, come si vedrà fra
poco, l’art. 25 sia invocabile rispetto alle ordinanze previste dalla
norma denunziata.
3. – È controverso se la norma in esame stabilisca che l’ordinanza
prefettizia debba avere efficace pubblicità: il Pretore lo nega sulla
base di una interpretazione dell’art. 3 del testo unico e dell’art. 2
del regolamento di esecuzione, mentre l’Avvocatura afferma che la legge
ed in particolare il regolamento impongono l’obbligo di dare congrua
pubblicità all’ordinanza prefettizia.
A prescindere da ogni questione sull’effetto che una norma
regolamentare possa avere nei riguardi dell’interpretazione di una
norma legislativa sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale,
la Corte ritiene che, ai fini del decidere, non sia indispensabile
procedere all’interpretazione della norma denunziata sul punto se la
norma stessa (eventualmente in concomitanza con la disposizione
regolamentare) abbia o non prescritto una forma di pubblicità delle
ordinanze prefettizie limitatrici del traffico stradale. Tale
interpretazione non è necessaria, giacché, anche se la norma predetta
non imponesse alcuna forma di pubblicità, l’omissione non potrebbe
dirsi influente ai fini della proposta questione di legittimità
costituzionale.
È da premettere che, in sostanza, il Pretore ha rilevato la
carenza dell’obbligo di quella forma di pubblicazione che ha carrattere
permanente. In altri termini, sembra che la censura si riferisca
specificamente al difetto di disposizioni relative alla cosiddetta
segnaletica, nel senso che la norma impugnata sarebbe illegittima in
quanto non prescriverebbe che l’ordinanza prefettizia sia portata a
conoscenza degli utenti della strada mediante i consueti segnali
stradali. La mancata prescrizione di questa forma di pubblicazione
comporterebbe un esercizio troppo ampio ed incontrollato del potere del
Prefetto. E per questo la norma sarebbe in contrasto con i principi
dell’ordinamento giuridico e costituzionale, oltre che con gli articoli
della Costituzione dianzi ricordati.
L’assunto è infondato.
In base al principio di legalità, l’atto amministrativo che
contiene un ordine o un divieto – e questo è il caso in esame – non
può operare se non viene portato a conoscenza di chi deve prestarvi
obbedienza: principio che, al pari di quello relativo all’obbligo di
motivazione, vale pure nel silenzio della legge. E pertanto, anche se
la norma denunziata nulla disponesse in proposito, sussisterebbe
sempre, per l’autorità che emette l’ordinanza e per quelle che sono
preposte alla tutela del demanio stradale ed alla disciplina della
circolazione sulla strada, l’obbligo di adoperare tutti i mezzi
affinché gli utenti della strada siano posti in condizione di
conoscere le disposizioni alle quali sono chiamati ad uniformarsi.
Sarà compito del giudice accertare se l’ordinanza sia stata
regolarmente ed adeguatamente portata a conoscenza del pubblico in modo
da stabilire se essa sia efficace ai fini dell’adempimento dell’obbligo
di osservanza. E ciò costituisce una idonea garanzia a favore di tutti
gli utenti della strada; garanzia tale da neutralizzare ogni eventuale
tentativo di violazione degli artt. 3 e 16 della Costituzione.
Per quel che si riferisce all’art. 24, basterà dire che, in sede
di giudizio, l’autorità dovrà fornire la prova di avere dato al
pubblico adeguata conoscenza dell’ordinanza. Il giudice valuterà
questa prova sia al fine di stabilire se l’atto era operante, sia per
ogni altra decisione in ordine all’elemento subiettivo del reato,
tenendo presente che l’ordinanza è atto amministrativo e non fa parte
del precetto penale (si vedano in proposito le enunciazioni di questa
Corte nella sentenza 12 maggio 1964, n. 36).
Le stesse considerazioni mostrano l’inconsistenza della censura
basata sull’art. 25, secondo comma, della Costituzione.
Se l’ordinanza è atto amministrativo, non si possono applicare
alla sua pubblicazione ed agli effetti di essa i principi che valgono
per la pubblicazione e per l’entrata in vigore della legge penale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3, primo comma, del T.U. delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale, approvato con D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, in
riferimento agli artt. 3, 16, 24 e 25, secondo comma, della
Costituzione.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 4 marzo 1965.
GASPARE AMBROSINI – ANTONINO PAPALDO
– NICOLA JAEGER – GIOVANNI CASSANDRO
– BIAGIO PETROCELLI – ANTONIO MANCA –
ALDO SANDULLI – GIUSEPPE BRANCA –
MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI
– GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE
VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
– FRANCESCO PAOLO BONIFACIO.