Sentenza N. 134 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
15/07/1969
Data deposito/pubblicazione
15/07/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
01/07/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI – Dott. GIUSEPPE VERZÌ –
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO –
Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO – Avv. ERCOLE ROCCHETTI –
Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – Prof. VEZIO
CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO ROSSI, Giudici,
della legge regionale siciliana 9 marzo 1959, n. 3, riprodotto
nell’art. 5, n. 3, del testo unico regionale 20 agosto 1960, n. 3,
sulla composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni
comunali della Regione siciliana, promosso con ordinanza emessa il 22
luglio 1967 dal tribunale di Siracusa sul ricorso di Cortese Antonino
ed altri contro Giuliano Antonino ed altri in materia di contenzioso
elettorale, iscritta al n. 227 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 9 dicembre 1967 e
nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 48 del 28 ottobre
1967.
Visto l’atto di costituzione di Giuliano Antonino;
udita nell’udienza pubblica del 18 giugno 1969 la relazione del
Giudice Vezio Crisafulli;
udito l’avv. Armando Corpaci, per il Giuliano.
1. – Con ordinanza emessa il 22 luglio 1967 nel corso di un
procedimento promosso su ricorso di Cortese Antonino ed altri contro
Giuliano Antonino ed altri in materia di contenzioso elettorale, il
tribunale di Siracusa ha sollevato – accogliendo una eccezione di parte
– questione di legittimità costituzionale relativamente alla
dispozione di cui all’art. 5, n. 3, della legge regionale siciliana 9
marzo 1959, n 3 riprodotto nell’art. 5, n. 3, del testo unico regionale
20 agosto 1960, n. 3, per contrasto con l’art. 13 del decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito nella legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, contenente lo Statuto della
Regione siciliana.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza il giudice a quo
osserva che la disposizione impugnata, nel testo pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana, ove si legge la
formulazione “… istituti dipendenti, sovvenzionati “o” sottoposti a
vigilanza del comune stesso”, sarebbe difforme da quella approvata del
26 febbraio 1959, ove, come si evince dal contenuto della nota al
riguardo trasmessa al tribunale dal vicesegretario generale
dell’assemblea in data 7 luglio 1967, la formulazione accolta nel
processo verbale e nel relativo resoconto stenografico suona: “…
istituti dipendenti, sovvenzionati “e” sottoposti a vigilanza del
comune stesso”. L’accennato contrasto evidenzierebbe, pertanto,
secondo l’ordinanza, un vizio formale nell’iter di formazione della
legge, per violazione dell’art. 13 dello Statuto.
Sotto il profilo della rilevanza il giudice a quo motiva che la
questione in esame è tale da influire sulla decisione del procedimento
pendente, avendo questo per oggetto la ineleggibilità del resistente a
consigliere comunale, in quanto componente del consiglio di
amministrazione di istituti che potrebbero rientrare nella normativa in
contestazione.
L’ordinanza risulta ritualmente notificata e comunicata, nonché
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 307 del 9 dicembre 1967 e nella
Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 48 del 28 ottobre 1967.
2. – Si è costituito innanzi a questa Corte il sig. Giuliano
Antonino con deduzioni depositate in data 20 dicembre 1967, chiedendo
una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
denunciata, sia in base agli argomenti già fatti propri dall’ordinanza
di rinvio, sia richiamandosi alle precedenti sentenze n. 57 del 1957 e
n. 9 del 1959 di questa Corte, relativamente alla possibilità di
controllo sull’attività interna delle assemblee legislative al fine di
accertare la rispondenza tra i testi normativi promulgati e quelli
effettivamente votati ed approvati. Aggiunge la difesa della parte che
nella specie sono da considerare violati anche gli artt. 121 e 127
della Costituzione, secondo i quali la potestà legislativa delle
regioni è esercitata dai consigli regionali, e conclude ponendo in
evidenza che nel caso in esame sotto nessun profilo potrebbe trovarsi
giustificazione in un intervento coordinatore del Presidente
dell’assemblea, che può ritenersi ammissibile solo in quanto non
alteri la sostanza del testo originariamente votato.
Con successive deduzioni depositate il 6 marzo ed il 10 aprile 1969
la difesa del Giuliano riprende e sviluppa ulteriormente gli argomenti
già svolti.
Alla pubblica udienza la difesa del Giuliano ha insistito nelle sue
conclusioni.
1. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dal
tribunale di Siracusa si accentra sulla difformità tra il testo
dell’art. 5, n. 3, della legge regionale siciliana 9 marzo 1959, n. 3,
così come promulgato dal Presidente della Regione e pubblicato in
Gazzetta, e il testo che, stando alle risultanze del resoconto
stenografico, sarebbe stato in realtà approvato dall’Assemblea
regionale, nella seduta pomeridiana n. CDLXXXIV del 21 febbraio 1959.
La disposizione in oggetto, relativa alle cause di ineleggibilità a
consigliere comunale, si riferisce – nel testo promulgato e pubblicato
– a “coloro che ricevono uno stipendio o salario dal comune o da enti o
istituti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del comune
stesso” nonché ai “loro amministratori”; si rileva che tale
formulazione trae origine da un emendamento, presentato da cinque
deputati regionali a norma dell’art. 102, terzo comma, del regolamento
interno dell’Assemblea regionale siciliana ed approvato senza
discussione, il quale peraltro, nel resoconto medesimo, è riprodotto –
per la parte che qui interessa – con la diversa dizione: “…
dipendenti sovvenzionati e sottoposti a vigilanza del comune”.
Secondo l’assunto, il testo promulgato non corrisponderebbe
pertanto a quello approvato (per la sostituzione della particella “o”
alla “e” dopo la parola “sovvenzionati”) con conseguente violazione
dell’art. 13 dello Statuto della Regione siciliana.
È da osservare preliminarmente che, come rammentato nella
motivazione dell’ordinanza e come risulta dagli atti di causa, in
seguito a richiesta del tribunale, il vice Segretario generale
dell’Assemblea regionale, in una comunicazione scritta diretta allo
stesso tribunale, aveva precisato che l’emendamento approvato recava
originariamente la dizione “dipendenti sovvenzionati o sottoposti a
vigilanza”. Successivamente questa Corte ha provveduto ad acquisire dal
Segretario generale dell’Assemblea copia fotostatica dell’emendamento
(dove effettivamente la formula adoperata risulta con la particella
“o”) come pure del messaggio con il quale il Presidente della Regione,
per la promulgazione di sua competenza, il testo della legge approvata
in una redazione perfettamente conforme a quella risultante poi dalla
promulgazione. Lo stesso Segretario generale confermava la rispondenza
del resoconto stenografico al processo verbale della seduta
assembleare: ciò che può ritenersi sufficiente ai fini dell’attuale
giudizio.
2. – La questione non è fondata. Per accertare la regolarità del
procedimento di formazione delle leggi ed in particolare, come si rende
necessario nel caso presente, la conformità del testo promulgato
rispetto a quello approvato, questa Corte può e deve valersi di tutti
gli elementi utili per ricostruire la realtà di quanto avvenuto nel
corso del procedimento, e in primo luogo, perciò, delle varie
pubblicazioni (parzialmente e lacunosamente disciplinate nei
regolamenti assembleari) destinate a dare pubblica notizia dei lavori
legislativi, interpretandone secondo i comuni canoni logici il
significato e l’esatta portata. Processi verbali, resoconti sommari e
stenografici, messaggi dei presidenti delle assemblee legislative, sono
altrettanti mezzi di prova, particolarmente autorevoli, a nessuno dei
quali però è riconosciuta efficacia privilegiata. Giacché, se così
fosse, la garanzia del rispetto delle norme costituzionali sarebbe
concretamente rimessa all’organo attestante una “verità legale”
incontrovertibile, anziché al giudice della costituzionalità delle
leggi.
Né rileva in contrario la provenienza di tali atti, o di alcuni
tra essi, da pubblici ufficiali, quali sono i Presidenti delle Camere e
delle Assemblee regionali, essendo risaputo che non tutti gli atti
formati da pubblici ufficiali sono atti pubblici facenti fede fino a
querela di falso.
Più particolarmente, d’altronde, e ferme restando le
considerazioni sopra esposte, il messaggio presidenziale, come questa
Corte ha già avuto occasione di affermare (sent. 3 marzo 1959, n. 9),
è istituzionalmente rivolto ad attivare l’organo cui spetta porre in
essere la fase successiva del procedimento legislativo (sia esso la
seconda Camera, come nel Parlamento nazionale dopo la prima
approvazione, sia il Presidente competente a promulgare, come nel caso
delle leggi regionali e delle leggi statali dopo intervenuta la seconda
approvazione): l’efficacia delle attestazioni in detto messaggio
contenute, è, dunque, circoscritta – al più – all’ambito dei rapporti
tra gli organi concorrenti a vario titolo al procedimento predetto.
Quanto poi al processo verbale delle sedute, è sufficiente
osservare che esso si considera formato con l’approvazione nella seduta
successiva e che è sottoscritto dal Presidente e dal Segretario
funzionanti in tale seduta, e non già in quella cui esso ha
riferimento: di guisa che, a tutto concedere, esso non potrebbe far
fede, in ipotesi, che dell’avvenuta approvazione, e cioè del consenso
dei presenti al momento della lettura.
3. – Pertanto, nella specie, come non sarebbe sufficiente ad
escludere la sussistenza del vizio denunciato dal tribunale di Siracusa
la circostanza che il testo trasmesso dal Presidente dell’Assemblea
regionale al Presidente della Regione è identico a quello
successivamente promulgato, così all’opposto non può essere argomento
decisivo per una declaratoria di illegittimità costituzionale la
circostanza (che può considerarsi pacifica) che tanto il resoconto
stenografico quanto il processo verbale della seduta dell’Assemblea in
cui la legge venne approvata rechino una diversa dizione.
Una serie di univoci indizi concorre viceversa a far concludere che
la formula risultante dal verbale e dal resoconto (“dipendenti
sovvenzionati “e” vigilati”) è dovuta a mero errore materiale, ed è
appena il caso di avvertire che un errore di verbalizzazione o di
trascrizione non può determinare un vizio di costituzionalità delle
leggi. Si evince, infatti, dalla documentazione in atti che il testo
dell’emendamento presentato adoperava la particella “o”, e non la “e”,
che appare in verbale e nel resoconto; che nell’indire la votazione il
Presidente chiarì all’Assemblea che l’emendamento stesso riproduceva
testualmente l’art. 15, n. 3, della corrispondente legge statale (testo
unico per la composizione e l’elezione degli organi delle
amministrazioni comunali 16 maggio 1960, n. 570, che reca infatti la
disgiuntiva “o” e che in base ai comuni principi sull’efficacia delle
leggi era pienamente conoscibile nel suo tenore letterale); che nessuno
ebbe a muovere rilievi di sorta né furono presentati emendamenti
diversi o controemendamenti;
che prima della votazione finale, il Presidente chiese ed ottenne
alla unanimità di essere autorizzato a procedere a coordinamento, in
considerazione – tra l’altro – degli “emendamenti aggiuntivi” che erano
stati approvati (tra i quali era quello trasfuso nella disposizione
denunciata).
4. – Alla correzione dell’errore materiale non essendosi proceduto
in sede di lettura del verbale (seduta CDLXXXV del 27 febbraio 1959),
ha successivamente provveduto il Presidente dell’Assemblea all’atto di
trasmettere la legge al Presidente della Regione.
Non è necessario attardarsi sui limiti entro i quali la facoltà
di coordinamento può legittimamente essere concessa ed esercitata,
poiché certamente la correzione di errori materiali rientra nella
nozione la più restrittiva che si voglia darne, così come vi rientra
anche la eventuale correzione lessicale dei testi per confermarne la
dizione alla sostanza. Ripristinando il tenore letterale della
disposizione che era stata proposta al voto dell’Assemblea, il
Presidente ne ha al tempo stesso ripristinato il proprio significato:
il solo d’altronde, che la formula potesse correttamente voler
esprimere, sia per lo specifico riferimento, che precedette la
votazione, alla corrispondente legge statale, sia anche alla stregua di
considerazioni di ordine logico più generali, trattandosi di una
elencazione di situazioni di ineleggibilità che l’uso erroneo della
particella “e” in luogo della “o”, non vale a trasformare, da ipotesi
alternativamente previste, in elementi integranti di una sola ed unica
ipotesi, e perciò tali da dover necessariamente ricorrere
congiuntamente.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5, n. 3, della legge regionale siciliana 9 marzo 1959, n. 3,
recante aggiunte e modifiche alla legge regionale 5 aprile 1952, n. 11,
sulla composizione ed elezione degli organi delle amministrazioni
comunali della Regione siciliana, sollevata con l’ordinanza di cui in
epigrafe in riferimento all’art. 13 dello statuto della Regione
siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 luglio 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
GIUSEPPE CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ
– GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.