Sentenza N. 137 del 1999
Corte Costituzionale
Data generale
22/04/1999
Data deposito/pubblicazione
22/04/1999
Data dell'udienza in cui è stato assunto
14/04/1999
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI,
dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo
ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),
come modificato dal d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con
ordinanza emessa il 19 maggio 1998 dal Tribunale di sorveglianza di
Torino, iscritta al n. 653 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie
speciale, dell’anno 1998.
Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
relatore Giuliano Vassalli.
permesso premio, reclamo proposto da persona condannata anche per il
delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che
dopo avere espiato oltre tredici anni di pena detentiva, aveva
chiesto che al proprio caso si applicasse la sentenza costituzionale
n. 445 del 1997, il Tribunale di sorveglianza di Torino premesso che
il Gruppo di osservazione e trattamento del carcere aveva predisposto
un programma di trattamento approvato dal Magistrato di sorveglianza
che esplicitamente valutava in modo favorevole l’eventuale
concessione di permessi premiali, ma che lo stesso Magistrato di
sorveglianza aveva dichiarato inammissibile la richiesta di
concessione del permesso, ostandovi il disposto dell’art. 4-bis della
legge 26 luglio 1975, n. 354, e che l’invocata sentenza della Corte,
riferentesi alla semilibertà, non era direttamente estensibile al
beneficio richiesto ha, con ordinanza del 19 maggio 1998, sollevato,
in riferimento all’art. 27, primo e terzo comma della Costituzione,
questione di legittimità del predetto art. 4-bis della legge n. 354
del 1975, nella parte in cui preclude l’accesso al beneficio del
permesso premio ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni
previste dall’art. 58-ter della stessa legge, abbiano comunque
maturato le condizioni per l’accesso a tale beneficio prima
dell’entrata in vigore del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
In particolare il Tribunale rimettente espone che il soggetto in
questione, pur “riconosciuto colpevole di gravi reati in materia di
traffico di sostanze stupefacenti con un ruolo non marginale” e
trovantesi in una posizione tale da “lasciare legittimamente ritenere
la presenza di margini di possibile collaborazione persino dopo
l’entrata in vigore della legge n. 356/1992”, risultava tuttavia
“aver serbato per tutto il periodo di reclusione ultradecennale una
condotta corretta e rispettosa, senza aver riportato alcuna nota
disciplinare, ed aver fattivamente partecipato ad una attività
lavorativa inframuraria, sino a che ciò era stato compatibile con le
sue condizioni di salute, riportando perciò anche un encomio nel
carcere”, che “aveva coltivato interessi culturali durante la
detenzione incrementando le proprie risorse psichiche”, che aveva
“beneficiato complessivamente di 675 giorni di liberazione
anticipata, costituenti evidente riconoscimento della lunga
partecipazione all’opera di rieducazione”, tanto da aver meritato la
sopra menzionata positiva relazione di sintesi del Gruppo di
osservazione e trattamento del carcere, seguita da un programma di
trattamento approvato dal Magistrato di sorveglianza ed includente,
come sopra detto, l’eventuale concessione di permessi premio.
Il Tribunale rimettente sottolinea in particolare che all’epoca
dell’entrata in vigore della legge n. 356 del 1992 il detenuto aveva
raggiunto le condizioni per essere ammesso ai permessi premio e che
nel corso degli anni successivi non risultava essersi mai discostato
dalla partecipazione al trattamento penitenziario.
2. – Rileva il giudice a quo che l’esame delle decisioni della
Corte sulla norma denunciata (ad iniziare con la sentenza n. 306 del
1993 per terminare con la decisione sopra ricordata) conduce a
ravvisare “una chiara linea evolutiva fondata sulla valorizzazione
del contenuto dell’art. 27, primo e terzo comma della Costituzione”,
nel senso di una affermazione di principio della “relativa
costituzionalizzazione” delle posizioni giuridiche acquisite nel
corso del trattamento penitenziario. Così da profilare come
contrastanti con la funzione rieducativa della pena quelle modifiche
legislative che, incidendo sul trattamento penitenziario già in via
di sviluppo, provochino una regressione di tale trattamento pure in
assenza di una condotta deviante del detenuto o dell’effettivo
persistere della pericolosità sociale del detenuto stesso.
Il Tribunale aggiunge che, pur dovendosi riconoscere al
legislatore, “come materia di discrezionalità politica”, la concreta
configurazione del rapporto tra le varie funzioni della pena, si deve
tuttavia rilevare che quando “il rapporto tra i progressi compiuti
dal detenuto sulla via della revisione delle proprie attitudini
devianti e la risposta dell’ordinamento in tema di graduale
allentamento delle modalità di espiazione della pena abbia già
avuto uno sviluppo concreto e sicuramente dimostrabile”, si può
determinare un grave urto tra la funzione rieducativa e
quell’intervento legislativo che “paralizzi ulteriori sviluppi di un
percorso già iniziato e consolidato dalla vigenza di determinate
regole”. Sempre secondo l’ordinanza del giudice rimettente, in questi
casi “la modifica della soglia della ammissibilità dei benefici
penitenziari in peius contrasta sicuramente con la funzione
rieducativa della pena poiché compromette non solo gli sviluppi
futuri del trattamento, ma anche i percorsi già compiuti”.
A questo punto il Tribunale di sorveglianza si domanda “quale debba
considerarsi il momento in cui l’evoluzione del trattamento
penitenziario consolida una posizione che il legislatore non può
più comprimere senza il sacrificio della funzione rieducativa della
pena”; e trova congrua la risposta fornita dalla citata sentenza n.
445 del 1997 di questa Corte, secondo la quale l’intervento
legislativo ingiustificatamente ablatorio, perché contrastante con
l’art. 27 della Costituzione, si verifica quando esso incide su
soggetti che al momento della nuova legge avevano già maturato le
condizioni per essere ammessi al trattamento più favorevole,
sussistendo al contempo le condizioni oggettive e soggettive per la
concessione.
Senonché la suddetta sentenza – prosegue il giudice rimettente –
si riferisce esplicitamente ad un caso di ammissione alla
semilibertà, mentre nel caso esaminato in sede di reclamo si tratta
di una richiesta di permesso premio. Di qui la ritenuta permanenza
dell’ostacolo frapposto dall’art. 4-bis primo periodo, della legge 26
luglio 1975, n. 354, così come modificato dall’art. 15, comma 1, del
d.-l. n. 306 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1992, n. 356, e la conseguente necessità di sottoporre
all’esame della Corte “il dubbio circa il contrasto con l’art. 27
commi 1 e 3 dell’art. 4-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, come
modificato dalla legge 7 agosto 1992 n. 504 (recte: 356), nella parte
in cui preclude l’accesso al beneficio di cui all’art. 30-ter Ord.
pen. ai detenuti che, pur non trovandosi nelle condizioni di cui
all’art. 58-ter Ord. pen., abbiano comunque maturato i termini di
ammissibilità della concessione di tale beneficio prima dell’entrata
in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed a tale data risultassero
nelle condizioni per l’ottenimento del beneficio stesso”.
3. – Quanto alla rilevanza della proposta questione di legittimità
costituzionale il Tribunale rimettente osserva che la natura di
“giudizio allo stato degli atti” propria del procedimento di
sorveglianza ed il carattere preliminare della valutazione in punto
di ammissibilità del beneficio non consentono di formulare una sorta
di anticipato giudizio di concessione ostacolato unicamente dal
disposto della norma denunciata; ma che ciò non basta per escludere
la rilevanza dato che fino a quando non venga rimosso il divieto
derivante dall’art. 4-bis l’ammissibilità stessa del permesso
premio non potrebbe essere discussa.
4. – Nel giudizio non si è costituita la parte privata né ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
reclamo proposto contro il diniego di permesso premio da un detenuto
considerato non inseribile tra i soggetti di cui all’art. 58-ter
dell’Ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975, come
modificata dal d.-l. n. 306 dell’8 giugno 1992, convertito dalla
legge 7 agosto 1992, n. 356), ma che tuttavia risultava trovarsi al
momento dell’entrata in vigore del suddetto d.-l. 8 giugno 1992, n.
306, nelle condizioni per essere ammesso al beneficio richiesto, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale per contrasto con
l’art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione, “dell’art. 4-bis
della legge 26 luglio 1975 n. 354, come modificato dalla legge 7
agosto 1992, n. 504 (recte: n. 356), nella parte in cui preclude
l’accesso al beneficio dell’art. 30-ter Ord. pen., ai detenuti che,
pur non trovandosi nelle condizioni di cui all’art. 58-ter Ord. pen.,
abbiano comunque maturato i termini di ammissibilità della
concessione di tale beneficio prima
dell’entrata in vigore del d.l. 8 giugno del 1992, ed a tale data
risultassero nelle condizioni per l’ottenimento del beneficio
stesso”.
Il tribunale rimettente si riporta in proposito alla sentenza n.
445 del 1997 di questa Corte, con la quale è stato ritenuto che
“quando la condotta penitenziaria del detenuto ha consentito di
accertare il raggiungimento di uno stadio del percorso rieducativo
adeguato al beneficio da conseguire”, “la innovazione legislativa che
vieta la concessione di misure alternative alla detenzione finisce
per atteggiarsi alla stregua di un meccanismo a connotazioni
ablative, riproducendo così quei caratteri di “revoca” non fondata
sulla condotta colpevole del condannato che questa Corte ha già
censurato” (il riferimento è essenzialmente alla sentenza n. 306 del
1993).
Senonché – prosegue il Tribunale – con la suddetta sentenza n.
445 del 1997 questa Corte si era riferita ad un caso nel quale la
richiesta del detenuto era rivolta all’ottenimento dell’ammissione al
beneficio della semilibertà, mentre nel caso oggi in esame la
richiesta del detenuto è rivolta all’ottenimento di un permesso
premio. Di qui la sollevata questione di legittimità costituzionale
con specifico riferimento all’ammissibilità a fruire di tale
beneficio.
2. – La questione è fondata.
Il percorso compiuto dalla giurisprudenza di questa Corte, a
partire dalla sentenza n. 306 del 1993, per mantenere il rispetto del
principio rieducativo nella fase dell’esecuzione penale anche in
presenza di leggi con cui è stato ritenuto – per far fronte ai
pericoli creati dalla criminalità organizzata – di restringere gli
accessi alle misure alternative alla detenzione o a determinati
benefici penitenziari, è rievocato dall’ordinanza del giudice a quo
come già lo fu nella sentenza n. 445 del 1997, alla quale
l’ordinanza stessa particolarmente si richiama a fondamento della
questione sollevata.
Il punto di arrivo di tale percorso è rappresentato
dall’affermazione secondo cui non si può ostacolare il
raggiungimento della finalità rieducativa, prescritta dalla
Costituzione nell’art. 27, con il precludere l’accesso a determinati
benefici o a determinate misure alternative in favore di chi, al
momento in cui è entrata in vigore una legge restrittiva, abbia già
realizzato tutte le condizioni per usufruire di quei benefici o di
quelle misure. Fermo restando ovviamente, come rimarca la stessa
ordinanza di rimessione, che nella materia in esame il giudizio di
meritevolezza è dato sempre “allo stato degli atti” (donde anche le
previsioni di sempre possibili revoche o di dinieghi di nuova
concessione nel caso di benefici reiterabili nel tempo) e nella più
attenta valutazione ad opera del giudice competente di tutti gli
elementi sottopostigli nel momento nel quale è chiamato a
deliberare. In particolare (e il richiamo è qui doveroso rispetto a
taluni passaggi dell’ordinanza di rimessione) non potrebbe bastare
per ottenere un ulteriore beneficio il solo fatto di avere meritato,
già prima dell’entrata in vigore della legge modificatrice, i
benefici consistenti negli sconti di pena che prendono il nome di
liberazione anticipata. Occorrono infatti sempre altri requisiti
correlati ai caratteri del beneficio o della misura che si tratta di
concedere, e tutti nel segno della loro persistente attualità.
Occorre inoltre, in conformità con la costante giurisprudenza di
questa Corte, risalente alla sentenza n. 306 del 1993, che anche per
i soggetti di cui al primo periodo del comma primo dell’art. 4-bis
non sia accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la
criminalità organizzata (cfr. anche sentenze nn. 504 del 1995 e 445
del 1997). Ma pur con queste doverose cautele e precisazioni rimane
valido quanto affermato nella giurisprudenza di questa Corte, in
particolare nella sentenza n. 445 del 1997 sopra ricordata, nelle sue
proposizioni conclusive e nel suo contenuto essenziale.
E pertanto così come è stato affermato che non può essere negata
l’ammissione alla semilibertà nei confronti dei condannati che,
prima dell’entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del d.-l. 8
giugno 1992, n. 306 (convertito con modificazioni dalla legge 7
agosto 1992, n. 356), abbiano raggiunto un grado di rieducazione
adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la
sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata,
altrettanto non può non ripetersi, nei confronti degli stessi
soggetti e nel ricorrere di tutte le altre condizioni di legge, per
la ammissione al beneficio previsto dall’art. 30-ter dell’Ordinamento
penitenziario. Ed infatti il permesso premio, pur non potendo essere
ricondotto alla categoria delle misure alternative alla detenzione,
è, per il chiaro dettato della legge, una parte integrante del
programma di trattamento (comma 3 del suddetto art. 30-ter) e,
secondo proposizioni più volte ripetute in decisioni di questa
Corte, strumento di rieducazione in quanto consente un iniziale
reinserimento del condannato nella società (sentenze n. 188 del 1990
e n. 504 del 1995).
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1,
della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), nella parte in cui non prevede che il beneficio del
permesso premio possa essere concesso nei confronti dei condannati
che, prima della entrata in vigore dell’art. 15, comma 1, del d.-l. 8
giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
agosto 1992, n. 356, abbiano raggiunto un grado di rieducazione
adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la
sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 aprile 1999.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Vassalli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 22 aprile 1999.
Il direttore della cancelleria: Di Paola