Sentenza N. 149 del 1969
Corte Costituzionale
Data generale
03/12/1969
Data deposito/pubblicazione
03/12/1969
Data dell'udienza in cui è stato assunto
27/11/1969
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
a) degli artt. 41, 42, 43 e 46 del R.D. legge 15 ottobre 1925, n.
2033, convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562 (repressione delle
frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e
di prodotti agrari), nonché degli artt. 44 e 45 del predetto R.D.
legge, nel testo modificato dagli artt. 1 e 2 della legge 27 febbraio
1958, n. 190;
b) dell’articolo unico della legge 30 dicembre 1959, n. 1234
(vigilanza per la repressione delle frodi nella preparazione e nel
commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari);
c) dell’art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945 (modificazioni ed
integrazioni al R.D. legge 15 ottobre 1925, n. 2033);
d) dell’art. 13 della legge 13 novembre 1960, n. 1407 (norme per la
classificazione e la vendita degli olii di oliva);
e) dell’art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (disciplina
igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e
delle bevande), nel testo modificato dalla legge 26 febbraio 1963, n.
441;
f) dell’art. 42 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (disciplina per la
lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle
paste alimentari);
g) degli artt. 93 e 94 del R.D. 1 luglio 1926, n. 1361 (regolamento
per l’esecuzione del R.D. legge 15 ottobre 1925, n. 2033);
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 giugno 1968 dal pretore di Brescia nel
procedimento penale a carico di Cremonesi Alessandro ed altro, iscritta
al n. 163 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968;
2) ordinanza emessa il 5 novembre 1968 dal pretore di Barra nel
procedimento penale a carico di Carola Vincenzo ed altro, iscritta al
n. 249 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 6 dell’8 gennaio 1969;
3) ordinanze emesse il 18 ottobre 1968 dal pretore di Camposampiero
e il 15 novembre 1968 dal pretore di Chiari nei procedimenti penali
rispettivamente a carico di Martellozzo Mario e di Lorini Carlo,
iscritte ai nn. 260 e 272 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969;
4) ordinanza emessa il 22 novembre 1968 dal pretore di S. Maria
Capua Vetere nel procedimento penale a carico di Russo Salvatore,
iscritta al n. 280 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1969;
5) ordinanza emessa il 7 dicembre 1968 dal pretore di Benevento nel
procedimento penale a carico di Colagiovanni Giorgio, iscritta al n.
284 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969;
6) ordinanze emesse il 3 e il 10 dicembre 1968 dal pretore di S.
Maria Capua Vetere e il 16 gennaio 1969 dal pretore di Chiusa nei
procedimenti penali rispettivamente a carico di Di Vilio Lorenzo,
Monaco Lucia, Romano Raffaele e Demetz Riccardo, iscritte ai nn. 48,
49, 50 e 61 del Registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
7) ordinanze emesse il 3 febbraio 1969 dal pretore di
Frattamaggiore, il 12 febbraio 1969 dal pretore di Castelfranco Veneto
e il 29 novembre 1968 dal pretore di Camposampiero nei procedimenti
penali rispettivamente a carico di Liquori Pasqua, Daminato Mario e
Beltrame Gino, iscritte ai nn. 84, 86 e 90 del Registro ordinanze 1969
e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 2
aprile 1969;
8) ordinanza emessa il 3 dicembre 1968 dal pretore di Conzaga nel
procedimento penale a carico di Rosiello Vincenzo ed altri, iscritta al
n. 98 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 91 del 9 aprile 1969;
9) ordinanze emesse il 31 gennaio 1969 dal pretore di Camposampiero
e il 28 febbraio 1969 dal pretore di Canosa di Puglia nei procedimenti
penali rispettivamente a carico di Marcato Mario ed altri e di Diaferio
Paolo ed altro, iscritte ai nn. 123 e 127 del Registro ordinanze 1969 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 105 del 23
aprile 1969;
10) ordinanza emessa il 14 marzo 1969 dal pretore di Guardia
Sanframondi nel procedimento penale a carico di Iaccarino Filomena,
iscritta al n. 145 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969;
11) ordinanza emessa il 13 marzo 1969 dal pretore di Volterra nel
procedimento penale a carico di Ales Giovanni, iscritta al n. 151 del
Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;
12) ordinanza emessa il 28 febbraio 1969 dal pretore di Sant’Elpidio
a Mare nel procedimento penale a carico di Valentini Luigi, iscritta al
n. 185 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 145 dell’11 giugno 1969. Visti gli atti
d’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di
costituzione di Martellozzo Mario; udito nell’udienza pubblica del 29
ottobre 1969 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio; uditi
l’avv. Rutilio Sermonti, per il Martellozzo, ed il sostituto avvocato
generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio
dei Ministri.
1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di Cremonesi
Alessandro e di Riboldi Domenico, imputati della contravvenzione di cui
all’art. 5 lett. d della legge 30 aprile 1962, n. 283, per aver
detenuto nel loro stabilimento formaggi ammuffiti ed avariati, il
pretore di Brescia ha sollevato una questione di legittimità
costituzionale concernente gli articoli 41 e 43-46 del R.D.L. 15
ottobre 1925, n. 2033 (convertito in legge 18 marzo 1926, n. 562)
contenente disposizioni sulla “repressione delle frodi nella
preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti
agrari”. Nella relativa ordinanza del 15 giugno 1968, con la quale
viene accolta la eccezione di costituzionalità proposta dalla difesa
degli imputati, si prospetta come non manifestamente infondato il
dubbio che tali disposizioni, limitatamente alla parte in cui esse “non
dispongono che nelle operazioni di prelevamento e di analisi dei
campioni si curi, in quanto è possibile, la presenza dell’imputato o
del suo difensore o del suo consulente tecnico”, violino gli artt. 24,
secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
Ad avviso del giudice a quo la questione definita in questi termini
non è preclusa dalle precedenti sentenze n. 63 del 1963 e n. 6 del
1965 di questa Corte e trova il suo fondamento nella circostanza che le
norme impugnate non consentono un’adeguata e tempestiva difesa
dell’interessato: quest’ultimo, infatti, non riceve alcuna notizia
circa la sottoposizione del prodotto all’analisi, non può intervenire
né di persona né a mezzo di difensore o di consulente, può perfino
trovarsi in condizione di ignorare l’avvenuto prelevamento dei
campioni. A queste carenze non pone rimedio la facoltà di chiedere la
revisione dell’analisi, che viene eseguita su un diverso campione e
spesso a notevole distanza di tempo, mentre, comunque, l’assenza
dell’interessato nelle operazioni di prelevamento e di prima analisi
facilita l’inosservanza delle cautele disposte dal regolamento e può
perfino pregiudicare il diritto alla revisione quando l’interessato non
riceva comunicazione dell’esito della operazione. Né, ad avviso del
pretore, varrebbe opporre che il giudice conserva i suoi istituzionali
poteri di valutazione dell’attendibilità del risultato dell’analisi.
La lesione del diritto di difesa si consuma per il solo fatto che non
è consentito all’interessato di intervenire e di difendersi nel
momento di formazione di una prova decisiva ed in tal modo si viola
l’art. 24 della Costituzione perché deve ritenersi che le analisi di
polizia giudiziaria costituiscano atti del procedimento: questi ultimi,
infatti, possono essere individuati come tali solo in base ad un
criterio teleologico, e non c’è dubbio che l’analisi prevista dalle
norme impugnate, destinata a documentare tecnicamente la denuncia
penale, appare preordinata al processo penale, nel quale, ad ogni modo,
certamente si inserisce la sua revisione, perché questa deve essere
richiesta all’autorità giudiziaria già investita dalla notizia del
reato.
La violazione dell’art. 3 della Costituzione viene denunciata sotto
un duplice profilo: a) sarebbe ingiustificato il diverso trattamento
fatto dalla legge in esame rispetto al trattamento assicurato, in via
generale, dagli artt. 222 e seguenti del codice di procedura penale,
nonostante che in entrambi i casi si sia in presenza di atti di polizia
giudiziaria; b) posto che la revisione disposta dall’autorità
giudiziaria è atto del procedimento, ingiustificato risulterebbe il
diverso regime della revisione ordinata dal medico o dal veterinario
provinciale e se anche a questa dovessero estendersi le guarantegie di
difesa, esse non potrebbero essere razionalmente escluse per le
operazioni di prelevamento e di prima analisi.
2. – Le stesse disposizioni – nonché l’art. 42 – del R.D.L. 15
ottobre 1925, n. 2033 – talvolta identificate attraverso la citazione
della legge 27 febbraio 1958, n. 190, che apportò modifiche al loro
testo originario – sono state denunciate, sempre nelle parti relative
alle modalità di prelievo e di analisi dei campioni, da altre nove
ordinanze: da alcune (ord. n. 260 del 1968, pretore di Camposampiero;
ord. n. 86 del 1969, pretore di Castelfranco Veneto) in riferimento
agli articoli 3 e 24 della Costituzione, da altre (n. 272 del 1968,
pretore di Chiari; n. 280 del 1968 e n. 50 del 1969 pretore di S.
Maria Capua Vetere; n. 151 del 1969, pretore di Volterra; n. 284 del
1968, pretore di Benevento; n. 145 del 1969, pretore di Guardia
Sanframondi; n. 185 del 1969, pretore di S. Elpidio) in riferimento al
solo art. 24.
Nella ordinanza n. 50 del 1969 del pretore di S. Maria Capua Vetere
il dispositivo sottopone al giudizio di questa Corte, oltre l’art. 41
del citato decreto del 1925, anche gli artt. 93 e 94 del R.D. 1 luglio
1926, n. 1361 (“regolamento per l’esecuzione” del predetto decreto),
l’art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945 (“modificazioni e
integrazioni” al decreto stesso), l’articolo unico della legge 30
dicembre 1959, n. 1234 (“vigilanza per la repressione delle frodi nella
preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti
agrari”), richiamati dall’art. 13 della legge 13 novembre 1960, n.
1407, modificata dalla legge 5 luglio 1961, n. 578: tutte queste
disposizioni vengono impugnate nei limiti in cui “esse consentono alla
polizia giudiziaria lo svolgimento di vere attività istruttorie senza
rispetto delle garanzie di difesa dell’indiziato”.
L’ordinanza n. 185 del 1969 del pretore di Sant’Elpidio estende,
invece, la denunzia all’art. 42 della legge 4 luglio 1967, n. 580,
contenente la “disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali,
degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari”.
I motivi di incostituzionalità prospettati dalle nove ordinanze
sono sostanzialmente analoghi a quelli illustrati nell’ordinanza del
pretore di Brescia. Va tuttavia messo in evidenza che gran parte dei
giudici richiamano i principi affermati da questa Corte nella sentenza
n. 86 del 1968,. con la quale venne dichiarata la parziale
illegittimità degli artt. 225 e 232 Cod. proc. pen., e sostengono che
tali principi non possono non condurre alla dichiarazione di
incostituzionalità delle disposizioni ora impugnate, perché anche a
proposito di queste vengono in considerazione atti di vera e propria
istruttoria qualificabili sia sotto il profilo soggettivo (cfr. art.
62 D.P. 10 giugno 1955, n. 987) sia sotto il profilo oggettivo come
atti di polizia giudiziaria preordinati al processo penale. Alcune
ordinanze osservano che secondo la giurisprudenza della Cassazione il
giudice di merito può sicuramente attingere le ragioni del suo
convincimento dalle analisi eseguite senza l’intervento
dell’interessato e ciò è legittimo anche quando – ad es. per
distruzione del campione – una perizia giudiziaria sia impossibile: su
quest’ultimo punto qualche giudice (ord. n. 260 del 1968 del pretore di
Camposampiero) esprime l’avviso che una perizia giudiziaria sarebbe
addirittura preclusa dal disposto dell’art. 455 del Cod. proc. pen.
Altre ordinanze, infine, deducono la illegittimità delle disposizioni
anche per quanto riguarda le operazioni di ispezione nei locali di
vendita e di prelievo di campioni: si tratterebbe di veri e propri atti
assimilabili alle perquisizioni ed ai sequestri, ciononostante non
assistiti da adeguate garanzie per la difesa dell’imputato.
3. – Nel giudizio promosso dall’ordinanza n. 163 del 1968 del
pretore di Brescia è intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato. Nei
relativi atti defensionali – deduzioni del 2 ottobre 1968 e memoria del
13 ottobre 1969 – si sostiene, in via preliminare, che in materia di
vigilanza sulla produzione e vendita di sostanze alimentari occorre far
riferimento alla legge 30 aprile 1962, n. 283, e non già alle
disposizioni del decreto del 1925 che attengono alla repressione del
lucro illecito derivante dalla preparazione e dal commercio di sostanze
di uso agrario non conformi alla legge. Nel merito l’Avvocatura,
facendo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte ed in particolare
alla sentenza n. 6 del 1965, sostiene l’infondatezza della questione
sia in riferimento all’art. 24 che in riferimento all’art. 3 della
Costituzione. Sotto il primo profilo, premesso che il prelievo dei
campioni e la prima analisi si riferiscono sicuramente ad un’attività
tipicamente amministrativa e preventiva e che anche la revisione opera
in un momento preliminare al processo penale, la difesa dello Stato
osserva che le disposizioni in esame non intaccano il potere del
giudice di disporre di ufficio o su richiesta di parte una nuova
perizia sui campioni prelevati, come si ricava dall’art. 2 della legge
n. 190 del 1958. Per quanto riguarda la violazione del principio di
eguaglianza l’Avvocatura ne sostiene la insussistenza sulla base della
considerazione che le norme impugnate si riferiscono ad una categoria
di persone determinate genericamente ed oggettivamente senza toccare le
condizioni soggettive di cui all’art. 3: né, sotto altro aspetto,
sarebbe lecito un qualsiasi paragone, istituito in nome della parità
di trattamento, fra disposizioni che attengono ad una fase,
amministrativa e disposizioni che regolano invece il processo penale.
Nel giudizio promosso dall’ordinanza n. 260 del 1968 del pretore di
Camposampiero si è costituito il signor Mario Martellozzo. Nell’atto
di deduzioni del 17 febbraio 1969 e nella successiva memoria del 10
ottobre vengono svolti ampiamente i termini della questione: si esclude
che questa si identifichi con la questione decisa da questa Corte con
la sentenza n. 63 del 1963, che ebbe riguardo solo al limite posto alla
scelta del perito da parte del giudice ed al vincolo che si sosteneva
derivasse dall’accertamento compiuto dal perito, o con l’altra
questione decisa con la sentenza n. 6 del 1965, relativa ad una
denuncia concernente l’obbligo del deposito di una cauzione; si mette
in evidenza che l’art. 24 della Costituzione vuole estendere al massimo
il diritto di difesa, che deve essere esercitabile per la decisione di
una causa; si ricorda la giurisprudenza della Cassazione, dalla quale
si ricava che gli atti di polizia giudiziaria, ed in particolare le
analisi, fanno parte del processo; si richiama la sentenza n. 86 del
1968 e si fa osservare che non varrebbe argomentare dalla libertà di
valutazione del giudice, perché altro è l’interpretazione di una
prova, altro è la sua formazione, che costituisce il vero e proprio
oggetto del presente giudizio. La difesa del Martellozzo, dopo aver
sintetizzato la questione in due fondamentali interrogativi (se, cioè,
gli atti disciplinati dalle norme impugnate abbiano incidenza sul corso
del processo e sulla decisione e se durante la loro formazione siano
tutelati i diritti della difesa), conclude chiedendone l’accoglimento.
4. – Con ordinanza 5 novembre 1968, n. 249 – emessa nel procedimento
penale a carico di Carola Vincenzo ed altri – il pretore di Barra ha
denunziato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, l’art. 1
della legge 30 aprile 1962, n. 283 (nel testo modificato dalla legge 26
febbraio 1963, n. 441), concernente la “disciplina igienica della
produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”,
nei limiti in cui tale norma consente ad organi di polizia giudiziaria
lo svolgimento di attività istruttorie senza il rispetto delle
garanzie di difesa dell’indiziato.
Basandosi soprattutto sui principi affermati da questa Corte nella
sentenza n. 86 del 1968, il pretore sostiene che il procedimento
relativo alle analisi, posto in essere da ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria (tali a norma dell’art. 3 della stessa legge), non
si colloca prima ed al di fuori del processo, perché si tratta di
indagini preordinate ad una pronuncia penale. Né varrebbe obiettare
che il giudice può disporre una nuova perizia o disattendere
motivatamente i risultati delle analisi: ciò è vero anche per il
giudice del dibattimento, e tuttavia la novella del 1955 e le pronunzie
della Corte, in osservanza del precetto della inviolabilità della
difesa, hanno a questo adeguato il regime giuridico della perizia
espletata nella fase istruttoria. Se si aggiunge – così prosegue
l’ordinanza – che talvolta una perizia giudiziaria può riuscire
impossibile per deterioramento o esaurimento dei campioni e,
ciononostante, il giudice può basare il suo convincimento sui
risultati delle analisi, si perviene al risultato che vere e proprie
perizie, spesso irripetibili, vengono preordinate ad un processo penale
senza alcuna garanzia né di contraddittorio né di difesa tecnico
professionale. Riguardo alle norme concernenti la comunicazione del
risultato delle analisi e la facoltà di chiederne la revisione il
pretore osserva che esse creano solo un’apparenza di contraddittorio:
sia perché non è sempre possibile stabilire in anticipo chi sia il
vero responsabile della produzione dell’alimento sia perché, comunque
agli indiziati non è consentita alcuna partecipazione difensiva in
questa delicatissima e spesso irreversibile fase delle indagini.
5. – L’Avvocatura dello Stato, costituitasi in difesa del Presidente
del Consiglio (atto 24 dicembre 1968), sostiene che tra le situazioni
esaminate nella sentenza n. 86 e quelle prese in considerazione
dall’attuale ordinanza di rinvio esistono profonde differenze, perché
mentre allora si discuteva di casi nei quali già traspariva lo status
di indiziato di reato, qui si verte in una ipotesi di accertamenti i
quali, sia per quanto riguarda le prime analisi sia per quelle
effettuate in sede di revisione, tutt’al più possono, non
necessariamente debbono risolversi in una denuncia penale: e giacché
al tempo di tali accertamenti non vi è status di imputato o di
indiziato che consenta od imponga la nomina del difensore (art. 390 del
Cod. proc. pen.), non è dato vedere come si potrebbe ad essi estendere
l’art. 304 bis del Codice di procedura penale. L’Avvocatura prosegue
mettendo in rilievo che l’eventualità della impossibilità di una
perizia giudiziaria a causa della irreperibilità di campioni eguali a
quelli analizzati è irrilevante non tanto in considerazione
dell’affidamento che danno gli istituti altamente specializzati
indicati dalla legge, quanto per la possibilità che l’interessato ha
di procedere al prelievo ed alla conservazione di altro campione sul
quale si possa, nel corso del processo, disporre un’indagine peritale.
Sulla base di tali considerazioni la difesa dello Stato chiede che la
questione sia dichiarata non fondata.
6. – La stessa questione di legittimità costituzionale è stata
proposta da altre sei ordinanze (n. 48 e n. 49, pretore di S. Maria
Capua Vetere; n. 61, pretore di Chiusa; n. 84, pretore di
Frattamaggiore; n. 98, pretore di Gonzaga; n. 127, pretore di Canosa di
Puglia) in riferimento all’art. 24 della Costituzione e da due
ordinanze (n. 90 del 1969 e n. 123 del 1969, pretore di Camposampiero)
in riferimento anche all’art. 3 della Costituzione. Tutti questi
provvedimenti impugnano l’art. 1 della legge 30 aprile 1962, n. 283,
nella parte relativa alle modalità di analisi dei prodotti alimentari
e nei limiti in cui esso consente ad organi di polizia giudiziaria lo
svolgimento di attività istruttoria senza il rispetto delle garanzie
di difesa dell’indiziato, adducendo motivazioni sostanzialmente
analoghe a quelle svolte dall’ordinanza n. 249 del 1968 del pretore di
Barra. Va peraltro rilevato: a) che il pretore di Camposampiero, in
aggiunta ad esse, denunzia corni ingiustificato il diverso trattamento
fatto dalla legge speciale rispetto al trattamento assicurato, in
generale, dal Codice di procedura penale, dopo la sentenza n. 86 del
1968 di questa Corte; b) che il pretore di Gonzaga ritiene
manifestamente infondata la questione nella parte che attiene ai
prelievi dei campioni, giacché l’eventuale introduzione dell’obbligo
di preventivo avviso degli interessati vanificherebbe l’efficacia della
relativa operazione.
7. – Nell’udienza pubblica le parti costituite hanno illustrato le
rispettive tesi e conclusioni.
1. – Le ordinanze indicate in epigrafe propongono identiche o
analoghe questioni di legittimità costituzionale e pertanto i relativi
giudizi, congiuntamente discussi nell’udienza pubblica, vengono riuniti
e decisi con unica sentenza.
2. – Un primo gruppo di ordinanze denunzia la disciplina che gli
artt. 41-46 del R.D. legge 15 ottobre 1925, n. 2033 (convertito in
legge 18 marzo 1926, n. 562, e modificato dalla legge 27 febbraio 1958,
n. 190), concernente la repressione delle frodi nella preparazione e
nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, dettano
per il prelievo dei campioni, per la loro analisi e per la revisione di
questa. Tali disposizioni vengono impugnate in riferimento all’art. 24
della Costituzione – e da alcune ordinanze anche in riferimento
all’art. 3 – in quanto precludono all’interessato l’esercizio di una
qualsiasi difesa in relazione alla formazione di atti che, posti in
essere dalla polizia giudiziaria e preordinati ad un processo penale,
possono in questo venir utilizzati per una pronuncia di colpevolezza.
La Corte ha avuto modo di esaminare gli artt. 44 e 45 dello stesso
decreto in due precedenti occasioni: nella prima (sent. n. 63 del 1963)
al fine di accertare se la revisione delle analisi, demandata ad
istituti tassativamente indicati dalla legge, vincoli il giudice
all’accertamento compiuto dal perito, con conseguente compromissione
sia del diritto di difesa che della funzione giurisdizionale; nella
seconda (sent. n. 6 del 1965) per verificare se l’onere di un
preventivo deposito imposto a chi chieda la revisione contrasti con gli
artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
Risulta evidente che le due questioni, nonostante la parziale
identità delle disposizioni impugnate e delle norme costituzionali di
raffronto, ebbero un contenuto diverso da quella ora in esame, sicché
le dichiarazioni di infondatezza allora pronunciate non costituiscono
precedenti ai quali utilmente si possa far riferimento per la
definizione degli attuali giudizi.
3. – Il profilo di costituzionalità sul quale la Corte ora è
chiamata a pronunziarsi richiede, in primo luogo, che si accerti se la
complessa attività che la legge demanda alla pubblica autorità in
tema di prelievo dei campioni, di analisi e di revisione di analisi
delle sostanze di uso agrario e dei prodotti agrari possa rientrare in
quel procedimento nel quale il secondo comma dell’art. 24 della
Costituzione vuole sia garantita la difesa come diritto inviolabile.
A tal proposito la Corte, richiamando in modo particolare i principi
affermati nella sentenza n. 86 del 1968 o da essa desumibili, ritiene
che se al termine “procedimento” si desse un significato restrittivo,
con conseguente esclusione di tutte le attività poste in essere al di
fuori del normale intervento del giudice, il principio costituzionale
di cui si discorre perderebbe gran parte della sua effettività. Ed
invero in un sistema processuale, quale è quello vigente, in cui
l’assunzione di vere e proprie prove di reità – e, quindi, la
formazione di atti che nel giudizio non hanno minore efficacia di
quelli tipicamente istruttori – può avvenire in una fase anteriore o
preliminare rispetto al processo, l’esclusione della partecipazione
difensiva dell’interessato non può non essere considerata come
illegittima preclusione dell’esercizio di un diritto che la
Costituzione definisce “inviolabile”. Sembra indubbio, in altri
termini, che se la legge ordinaria, collocando la formazione delle
prove a carico di un soggetto, ad opera di una pubblica autorità,
fuori del vero e proprio processo, potesse farne discendere
l’inapplicabilità delle garanzie difensive, il principio vigorosamente
affermato dall’art. 24 della Costituzione correrebbe il rischio di
essere sostanzialmente eluso.
Queste ragioni già indussero la Corte, nella citata sentenza dello
scorso anno, a ritenere che nel concetto di “procedimento” rientrino
anche gli atti di polizia giudiziaria. Va tuttavia ricordato che in
quella occasione fu ben chiarito che la dichiarazione di parziale
illegittimità dell’art. 225 del Codice di procedura penale “non
preclude alla polizia giudiziaria lo svolgimento di proprie indagini,
ma pone limiti a quelle che si risolvono in veri e propri atti
istruttori”. Deve ora esser ribadito che la linea di demarcazione fra
indagini generiche ed atti istruttori si identifica necessariamente col
momento in cui, in qualsiasi modo, un soggetto risulti indiziato di
reità. Questa demarcazione è da considerare essenziale per evitare
che la nozione di procedimento si dilati al di là di quei confini che
sono da ritenere necessari e sufficienti per garantire a tutti il
diritto di difesa: il quale, come è ovvio, non può essere operante
prima che un indizio di reato ci sia e prima che esso si soggettivizzi
nei confronti di una determinata persona. A partire da quel momento –
già rilevante per la vigente legge processuale (art. 78, secondo
comma, Cod. proc. pen.), che proprio ai fini della tutela dell’imputato
dà di questo una definizione estesa a chi “è indicato come reo o
risulta indiziato di reità” – devono operare i meccanismi idonei a
garantire almeno un minimo di contraddittorio, di assistenza e di
difesa.
4. – Applicando gli anzidetti principi all’attuale questione, si
deve ritenere che sono infondate le censure che investono quelle
disposizioni (artt. 41, 42, 43 e 46) che si riferiscono all’attività
di prelievo dei campioni ed alla prima analisi: conclusione negativa
che discende dalla considerazione che finché l’indagine tecnica non ha
portato alla conclusione che “le sostanze analizzate non rispondono, in
tutto o in parte, alle condizioni o ai requisiti prescritti” non c’è
né indizio di reato né indiziato di reità. Prelievo di campioni ed
analisi rientrano in una tipica attività amministrativa di controllo
alla quale – anche al fine di una rigorosa e necessaria tutela della
salute pubblica e, cioè, di un diritto dell’individuo e di un
interesse della collettività che l’art. 32 della Costituzione
considera fondamentali – sono assoggettati tutti coloro che preparano e
commerciano sostanze di uso agrario e prodotti agrari. I relativi atti,
che non presuppongono affatto un indizio di reato, sono, dunque,
espressione di un potere formalmente e sostanzialmente amministrativo.
La dichiarazione di infondatezza si estende anche ad alcune
disposizioni legislative di integrazione o di modificazione del decreto
n. 2033 del 1925 che si riferiscono ai prelievi dei campioni e che sono
state impugnate dal pretore di S. Maria Capua Vetere (ord. n. 50 del
1969) congiuntamente ed in relazione all’art. 41 del predetto decreto.
Si tratta dell’art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945, che abilita
i funzionari e gli agenti delegati dalle amministrazioni a procedere
direttamente al sequestro della merce ed al prelievo dei campioni;
dell’articolo unico della legge 30 dicembre 1959, n. 1234, che consente
ai funzionari ed agenti di accedere liberamente ed anche di notte nei
locali di produzione e di commercio delle sostanze agrarie; e dell’art.
13 della legge 13 novembre 1960, n. 1407, contenente “norme per la
classificazione e la vendita di oli di oliva”, nella parte in cui rende
applicabili alla materia sia l’art. 41 del decreto del 1925 sia le
altre disposizioni legislative innanzi indicate. Ai poteri di vigilanza
e di prelievo dei campioni si riferiscono anche gli artt. 93 e 94 del
R.D. 1 luglio 1926, n. 1361, ma la relativa questione, proposta dalla
stessa ordinanza, deve essere dichiarata inammissibile in quanto essa
investe un regolamento di esecuzione e, quindi, un atto non avente
forza di legge.
5. – Passando all’esame dell’art. 44 che disciplina la revisione
dell’analisi, si deve osservare che se durante le operazioni di
prelievo e di prima analisi manca il presupposto necessario perché
possa venire in discussione il diritto di difesa, diversa è la
situazione a partire dal momento in cui l’analisi stessa abbia dato
esito sfavorevole.
La legge dispone (art. 44, primo comma) in proposito che il capo del
laboratorio trasmetta una denuncia alla competente autorità
giudiziaria e, nel contempo, dia comunicazione dell’esito dell’indagine
all’interessato: quest’ultimo potrà impugnarlo inoltrando alla stessa
autorità una richiesta di revisione (art. 44, terzo comma), che sarà
espletata da uno degli istituti indicati nell’art. 45.
È evidente che nel momento stesso in cui risulta che le sostanze
non rispondono alle condizioni ed ai requisiti previsti dalla legge,
colui al quale viene addebitato il reato deve essere messo in grado di
difendersi. E se è vero che il potere di chiedere la revisione,
accordatogli dalla legge, rappresenta di per sé un mezzo di difesa,
non è men vero che la fase di revisione – nonostante che si svolga
quando un indizio di reità è già sorto e, per di più, quando
l’autorità giudiziaria è già stata investita dalla denuncia – non è
assistita da quelle garanzie che gli artt. 304 bis, ter e quater del
Codice di procedura penale (col necessario presupposto
dell’applicazione dell’art. 390 per quanto riguarda la nomina del
difensore) stabiliscono per gli atti peritali che vengono assunti nella
fase istruttoria, formale o sommaria, del processo.
Queste carenze inducono a ritenere che la disciplina in esame
incorra in una parziale illegittimità costituzionale. Per contrastare
siffatta conclusione non vale rilevare che l’istanza viene inoltrata
all’autorita giudiziaria né che questa conserva i normali poteri di
libera valutazione dei risultati della revisione e può, se lo ritiene
opportuno, disporre una nuova perizia. Per quanto riguarda il primo
punto, l’innovazione introdotta dall’art. 1 della legge 27 febbraio
1958, n. 190, ha ben scarso significato sotto il profilo qui
considerato, perché non è dato vedere in che modo il diritto di
difesa dell’interessato si arricchisca per il solo fatto che l’istanza
di revisione non è direttamente rivolta agli istituti competenti a
norma di legge, ma all’autorità giudiziaria. Più approfondita
considerazione merita il secondo argomento. Ad avviso della Corte è
certo che il giudice, non vincolato nel suo giudizio dai risultati
dell’analisi o della sua revisione (cfr. sent. n. 63 del 1963), può
motivatamente discostarsene tenendo anche conto degli elementi di
valutazione critica offertigli dall’imputato e può anche nominare un
perito per nuove indagini: in questi sensi, del resto, è costantemente
orientata la giurisprudenza ordinaria. Questi complessi poteri del
giudice, tuttavia, dimostrano solo che la disciplina in esame non
intacca il principio costituzionale secondo il quale “il giudice è
soggetto soltanto alla legge” (art. 102 Cost.). Ma tale principio, che
pur costituisce cardine essenziale di un ordinamento che riconosca e
garantisca il diritto di difesa (che, ovviamente, sarebbe gravemente
pregiudicato ove a chi giudica non venisse garantita la più assoluta
indipendenza), non è di per sé sufficiente a soddisfare quel diritto:
occorre che la parte sia titolare di adeguati poteri processuali e
possa esser presente là dove si assumono quelle prove che il giudice
poi valuterà e prenderà a base del suo convincimento. Nel caso
attuale non conta che il giudice possa disattendere i risultati della
revisione. Conta, invece, che, fondandosi su di essi, egli possa
pervenire ad una pronunzia di colpevolezza, nonostante che l’imputato
non abbia potuto partecipare alle relative operazioni con quelle
facoltà difensive che la stessa legge processuale considera essenziali
nella fase istruttoria: facoltà, giova aggiungere, che il legislatore
non ha ritenuto affatto superflue per il fatto che il giudice del
dibattimento conserva di fronte alle perizie istruttorie i suoi poteri
di valutazione e di nuove indagini peritali (art. 314, ultimo comma).
L’art. 44 deve essere pertanto dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui per la revisione delle analisi esso
esclude le garanzie di difesa previste dagli artt. 390, 304 bis, ter e
quater del Codice di procedura penale.
La questione avente ad oggetto l’art. 45 dello stesso decreto deve
essere invece dichiarata non fondata, perché quella disposizione non
riguarda le modalità del procedimento di revisione, ma si limita ad
indicare gli istituti competenti ad effettuarla e ad imporre l’onere
della cauzione.
6. – Le conclusioni ora raggiunte in ordine alla parziale
illegittimità costituzionale dell’art. 44 del R.D.L. n. 2033 del 1925,
l’analoga pronunzia alla quale infra (n. 7) si perverrà per l’art. 1
della legge 30 aprile 1962, n. 283, e, infine, la parziale
illegittimità del secondo comma dell’art. 222 e del primo comma
dell’art. 223 del Codice di procedura penale dichiarata con la sentenza
n. 148 pronunziata in data di oggi fanno considerare assorbito il
profilo di illegittimità per violazione dell’art. 3 proposto dal
pretore di Brescia (ord. n. 163 del 1968), dal pretore di Camposampiero
(ord n. 260 del 1968) e dal pretore di Castelfranco Veneto (ord. n. 86
del 1969). Ed infatti, a seguito delle suddette statuizioni,
all’indiziato di reato – si tratta delle procedure di revisione
previste dalle due leggi speciali o delle operazioni tecniche affidate
dal codice alla polizia giudiziaria – spetteranno tutte le garanzie
predisposte per le perizie assunte nella fase istruttoria.
7. – Le ragioni esposte a proposito del R.D. legge 15 ottobre 1925,
n. 2033, conducono ad un’analoga dichiarazione di parziale
illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 30 aprile 1962,
n. 283, concernente la disciplina igienica della produzione e vendita
delle sostanze alimentari e delle bevande, impugnato da un secondo
gruppo di ordinanze. Anche qui le ispezioni, i prelievi dei campioni e
la loro prima analisi si inquadrano nella vigilanza amministrativa a
tutela della salute pubblica e, in quanto intervengono prima che ci sia
un indiziato di reato, non possono essere considerati atti processuali
di istruttoria: la revisione delle analisi, invece, per i motivi già
innanzi illustrati, deve essere assistita dalle normali garanzie
difensive. Rispetto al decreto del 1925 non costituisce rilevante
differenza la circostanza che nella procedura prevista dalla legge in
esame – salvo il caso di frode tossica o comunque dannosa alla salute
(art. 1, ultimo comma, nel testo risultante dalle modifiche apportate
dalla legge 26 febbraio 1963, n. 441) – la denuncia all’autorità
giudiziaria avviene solo in caso di inutile decorrenza del termine per
la richiesta di revisione e quando quest’ultima abbia confermato il
risultato della prima analisi. Ed infatti, sulla base delle
considerazioni svolte nel n. 3 e secondo i principi affermati nella
sentenza n. 86 del 1968, l’esercizio del diritto di difesa non può
dipendere dal fatto che l’autorità giudiziaria sia stata già
investita dalla denuncia o dal rapporto. Del resto val la pena di
rilevare che il confronto tra la disciplina dettata dal R.D.L. n. 2033
del 1925 e quella contenuta nella legge n. 283 del 1962 conferma
l’esattezza di tale impostazione: sarebbe infatti del tutto illogico ed
irrazionale applicare le garanzie di difesa quando l’istanza di
revisione segue alla denuncia e viene rivolta all’autorità giudiziaria
e negarle quando, pur spiegando lo stesso grado di efficacia nel
successivo processo, l’esito della revisione condiziona l’obbligo di
denuncia.
8. – Le stesse considerazioni fin qui svolte valgono a giustificare,
in identici termini e sempre limitatamente alla revisione della prima
analisi, la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale
dell’art. 42 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (concernente la
disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati,
del pane e delle paste alimentari), denunziato dal pretore di
Sant’Elpidio a Mare (ord. n. 185 del 1969). Anche a proposito della
disciplina contenuta in questa legge non può influire sulla decisione
qualche particolarità ad essa peculiare. Tanto è a dirsi della
facoltà che – nei casi di denuncie immediate di delitti contemplati
dagli artt. 438-452 del Codice penale – l’ottavo comma dell’impugnato
art. 42 attribuisce all’autorità giudiziaria, alla quale si lascia la
scelta di disporre la revisione nei modi previsti dalla legge stessa
ovvero la perizia ai sensi degli artt. 314, 391 e 398 del Codice di
procedura penale. Ed invero se la predetta autorità può optare per la
revisione da eseguire a cura dell’Istituto superiore di sanità, non si
possono negare all’interessato quelle garanzie delle quali egli
indubbiamente godrebbe ove si procedesse alle normali perizie. Ancora
una volta si può constatare quanto sarebbe arbitrario far dipendere da
una diversità di meccanismi procedurali la presenza o l’assenza della
difesa nella formazione di atti istruttori di identica efficacia.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 44 del regio
decreto legge 15 ottobre 1925, n. 2033 (contenente disposizioni sulla
“repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze
di uso agrario e di prodotti agrari”), convertito in legge 18 marzo
1926, n. 562, nel testo modificato dalla legge 27 febbraio 1958, n.
190, nella parte in cui per la revisione delle analisi esclude
l’applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del Codice di
procedura penale;
2) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge
30 aprile 1962, n. 283 (contenente la “disciplina igienica della
produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”)
nella parte in cui per la revisione delle analisi esclude
l’applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del Codice di
procedura penale;
3) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 42 della
legge 4 luglio 1967, n. 580 (contenente la “disciplina per la
lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle
paste alimentari”) nella parte in cui per la revisione delle analisi
esclude l’applicazione degli artt. 390, 304 bis, ter e quater del
Codice di procedura penale;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
concernenti: a) gli artt. 41, 42, 43, 45 e 46 del regio decreto-legge
15 ottobre 1925, n. 2033, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione; 6) l’art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945
(“modificazioni e integrazioni al R.D.L. 15 ottobre 1925, n. 2033”), in
riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione; c) l’articolo
unico della legge 30 dicembre 1959, n. 1234 (“vigilanza per la
repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze
di uso agrario e di prodotti agrari”), in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione; d) l’art. 13 della legge 13 novembre 1960, n. 1407
(“norme per la classificazione e la vendita di oli di oliva”), in
riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
5) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 93 e 94 del regio decreto 1 luglio 1926, n.
1361 (“regolamento per l’esecuzione del R.D.L. 15 ottobre 1925, n.
2033”), in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo
della Consulta, il 27 novembre 1969.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI – COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ – GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – FRANCESCO
PAOLO BONIFACIO – LUIGI OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE ROCCHETTI –
ENZO CAPALOZZA – VINCENZO MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI – NICOLA
REALE – PAOLO ROSSI.