Sentenza N. 150 del 1971
Corte Costituzionale
Data generale
30/06/1971
Data deposito/pubblicazione
30/06/1971
Data dell'udienza in cui è stato assunto
18/06/1971
MICHELE FRAGALI – Prof. COSTANTINO MORTATI – Prof. GIUSEPPE CHIARELLI –
Dott. GIUSEPPE VERZÌ – Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI – Prof.
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – Dott. LUIGI OGGIONI – Dott. ANGELO DE MARCO
– Avv. ERCOLE ROCCHETTI – Prof. ENZO CAPALOZZA – Prof. VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI – Prof. VEZIO CRISAFULLI – Dott. NICOLA REALE – Prof. PAOLO
ROSSI, Giudici,
primo, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il
16 ottobre 1970 dal pretore di Parma nel procedimento penale a carico
di Lamberti Giovanni, iscritta al n. 27 del registro ordinanze 1971 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 74 del 24 marzo
1971.
Udito nell’udienza pubblica del 3 giugno 1971 il Giudice relatore
Vincenzo Michele Trimarchi.
Nel procedimento penale a carico di Giovanni Lamberti imputato del
reato di cui agli artt. 81 e 388, comma secondo, del codice penale,
“essendosi, più volte, fino al 13 maggio 1970 e successivamente,
rifiutato di consegnare la figlia alla moglie cui era stata assegnata
il 9 maggio 1970 dal presidente del tribunale di Modena in sede di
giudizio di separazione” il pretore di Parma, su eccezione di parte,
sollevava, con ordinanza del 16 ottobre 1970, la questione incidentale
di legittimità costituzionale dell’art. 707, comma primo, del codice
di procedura civile, “nella parte in cui con l’inciso “senza assistenza
di difensore” sancisce il divieto della rappresentanza tecnica davanti
al presidente del tribunale nel procedimento di separazione personale
dei coniugi”, in riferimento all’art. 24, comma secondo, della
Costituzione.
Sotto il profilo della rilevanza il pretore, premesso che il
giudice penale, dovendo decidere in ordine all’imputazione di cui
all’art. 388 del codice penale, deve esercitare “un sindacato sul
provvedimento della cui applicazione si discute (regolare formazione
del titolo, esecutività del medesimo, ecc.)”, osservava che
l’eventuale declaratoria di illegittimità dell’articolo 707, comma
primo, del codice di procedura civile “renderebbe nulla in radice
l’ordinanza 9 maggio 1970 del presidente del tribunale di Modena da cui
è scaturito l’obbligo dell’affidamento alla madre della figlia minore,
facendo di conseguenza venir meno il presupposto del delitto di cui al
capo di imputazione”.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, lo stesso
pretore riteneva che con il divieto di assistenza a mezzo di difensore
si perviene all’assurdo che l’esercizio del diritto di difesa è
precluso alle parti proprio in un procedimento in cui vengono emessi
provvedimenti destinati a produrrre effetti tra le parti stesse ed
anche nei confronti di altre persone ed in cui perciò l’assistenza del
patrono sarebbe oltremodo necessaria per consentire a ciascuna delle
parti di esporre e far valere le proprie ragioni e di interloquire
sull’attività tecnica del giudice. E non varrebbe sostenere in
contrario che nella specie si tratta di un procedimento o di
provvedimenti di carattere volontario (c.d. volontaria giurisdizione):
sarebbe iniquo, infatti, richiamandosi unicamente a determinate
categorie giuridiche, negare l’applicabilità dell’art. 24, comma
secondo, alla detta fase del procedimento; e comunque, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, con la volontaria giurisdizione il
diritto di difesa ed il principio del contraddittorio non sono
incompatibili.
Davanti a questa Corte non si costituiva nessuna delle parti
private e non spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri.
1. – Con l’ordinanza indicata in epigrafe il pretore di Parma
denuncia, per violazione dell’art. 24, comma secondo, della
Costituzione l’art. 707, comma primo, del codice di procedura civile
“nella parte in cui, con l’inciso ” senza assistenza di difensore”,
sancisce il divieto della rappresentanza tecnica davanti al presidente
del tribunale nel procedimento di separazione personale dei coniugi”.
2. – La questione, così prospettata, è inammissibile per difetto
di rilevanza.
La Corte ritiene che la decisione di essa non possa influire nel
processo penale nel corso del quale si è avuta l’ordinanza di
rimessione.
Non vale sostenere in contrario, come si legge nella detta
ordinanza, che il pretore chiamato a giudicare sulla responsabilità
penale di un marito imputato del reato di cui agli artt. 81 e 388,
comma secondo, del codice penale, per essersi più volte rifiutato di
consegnare la figlia alla moglie cui era stata assegnata dal presidente
del tribunale competente, nel corso di un giudizio di separazione
personale ancora pendente tra i coniugi, debba stabilire se dal
provvedimento civile derivino o meno gli obblighi cui si riferisce il
citato art. 388 e debba operare un sindacato sul provvedimento della
cui applicazione si discute; e che quindi l’eventuale declaratoria di
illegittimità del citato art. 707, comma primo, “renderebbe nulla in
radice l’ordinanza” del presidente del tribunale, facendo di
conseguenza venire meno il presupposto del delitto di cui al capo di
imputazione.
Il citato art. 707, comma primo, viene, infatti, applicato, come la
Corte ha precisato in altre occasioni (sentenze n. 60 del 1970 e n. 6
del 1971), dal presidente del tribunale. E può essere legittimamente
considerato dal tribunale in sede di definizione del giudizio di primo
grado, e dagli altri organi della giurisdizione civile, nei
procedimenti di appello, di cassazione, di rinvio e di revocazione, ed
eventualmente anche in sede di opposizione all’esecuzione dei
provvedimenti emessi a sensi dell’art. 708, comma terzo.
Ma non può essere applicato o considerato dal giudice penale, che
sia chiamato a conoscere ad es. del reato di cui all’art. 570 del
codice penale (cfr. cit. sentenza n. 6 del 1971) o, come nella specie,
di quello previsto e punito dagli artt. 81 e 388 dello stesso codice.
Presupposto necessario e sufficiente per la configurabilità del
reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice è
l’emissione da parte del giudice stesso di un provvedimento
immediatamente esecutivo. E tale non può non dirsi quello
legittimamente emesso dal presidente del tribunale competente a sensi e
per gli effetti di cui al detto art. 707, comma primo, ed al successivo
art. 708, e giusta il disposto dell’articolo 189, comma primo, delle
disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.
Al giudice penale, in casi come quello in esame, in sostanza resta
inibito di sindacare la legittimità del provvedimento giurisdizionale,
esecutivo ed ineseguito, fermo restando peraltro il controllo
sull’esistenza dell’atto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile per difetto di rilevanza la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 707, comma primo, del codice di
procedura civile, proposta, con l’ordinanza indicata in epigrafe, in
riferimento all’art. 24, comma secondo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 giugno 1971.
GIUSEPPE BRANCA – MICHELE FRAGALI –
COSTANTINO MORTATI – GIUSEPPE
CHIARELLI – GIUSEPPE VERZÌ –
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI –
FRANCESCO PAOLO BONIFACIO – LUIGI
OGGIONI – ANGELO DE MARCO – ERCOLE
ROCCHETTI – ENZO CAPALOZZA – VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI – VEZIO CRISAFULLI
– NICOLA REALE – PAOLO ROSSI.